L'Italia e l'applicazione del Diritto internazionale

Rassegna dell'Istituto di Studi Giuridici Internazionali
del Consiglio Nazionale delle Ricerche

Guida alla lettura del n. 3: anni 2016-2017

di Ornella Ferrajolo - Novembre 2019

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1. Il n. 3 della Rassegna prende in esame l’applicazione del diritto internazionale in Italia nel biennio 2016-2017 attraverso una selezione di oltre 300 ‘casi’ rilevanti, tratti dalla legislazione e dalla giurisprudenza, o da documentazione ufficiale prodotta nell’ambito delle procedure di controllo internazionale sull’applicazione di trattati
Di seguito, si segnalano alcuni casi, tra i più significativi per le ampie ricadute avute da norme o sentenze internazionali nell’ordinamento interno o, viceversa, perché indicativi di una non piena conformità di quest’ultimo – malgrado i provvedimenti di attuazione – a obblighi previsti dal diritto internazionale o, ancora, per il carattere di novità dei profili internazionalistici coinvolti rispetto ad altri già presenti nella prassi nazionale e documentati in precedenti numeri della Rassegna.

Per il resto, si invita il lettore a consultare l’insieme della documentazione selezionata, utilizzando la tavola delle Materie, gli Indici per trattato o per tipologia di documento o, ancora, il motore di ricerca per parole chiave.

2. Tra le più importanti novità del periodo considerato vi è l’adozione della prima legge organica sulla partecipazione dell’Italia a missioni internazionali (l. n. 145/2016), venuta opportunamente a delineare il quadro giuridico generale della disciplina che il Parlamento detta di volta in volta, per singole missioni o gruppi di missioni. L’ambito d’applicazione della l. n. 145 comprende le operazioni dell’ONU, dell’UE, di altre organizzazioni a cui l’Italia partecipa “o comunque istituite in conformità al diritto internazionale”; nonché l’invio di personale e beni militari italiani all’estero in esecuzione di trattati di alleanza, di altri accordi internazionali o, eccezionalmente, al fine di effettuare interventi umanitari, purché in linea con il diritto internazionale e la Costituzione italiana. La l. n. 145 è inoltre un tassello normativo del Piano nazionale con il quale l’Italia contribuisce al processo di attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che – a partire dalla n. 1325 del 2000 – promuovono l’azione degli Stati membri in tema di “donne, pace e sicurezza”.

A colmare una lacuna ancora più grave dell’ordinamento italiano è diretta la l. n. 110/2017, che ha introdotto il delitto di tortura nel codice penale. L’innovazione era stata sollecitata ripetutamente da organismi di controllo internazionali ed europei. Essa, infatti, era attesa da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione ONU contro la tortura (12 gennaio 1989) e altri trattati globali e regionali in materia, in primis la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), che vieta la tortura all’art. 3. Tuttavia, la nozione di tortura finalmente accolta nell’art. 613 bis c.p. (introdotto con l’art. 1 della l. n. 110) coincide solo in parte con la definizione internazionale consolidata, sia per la presenza di elementi ulteriori e potenzialmente restrittivi dell’ambito di applicazione, sia perché la qualità di “pubblico ufficiale” o “incaricato di pubblico servizio” del responsabile viene in rilievo non già come elemento costitutivo del reato, ma come mera circostanza aggravante. Primi casi di applicazione hanno infatti riguardato atti di tortura commessi da privati.

Su tali aspetti si sono giustamente appuntate nuove critiche dei comitati internazionali di controllo, durante e dopo la conclusione dell’iter parlamentare (ex pluribus: Comitato contro la tortura, Considerazione dei rapporti trasmessi dagli Stati parti secondo l’art. 19 della Convenzione in conformità al Protocollo opzionale sulla procedura dei rapporti, 5° e 6° rapporto periodico degli Stati parti dovuto nel 2016, Italia, CAT/C/ITA/5-6, 11 aprile 2016; Id.,Comunicazione n. 598/2014, Decisione adottata dal Comitato durante la 55ͣᵃ sessione (18 aprile-13 maggio 2016), CAT/C/57/D/598/2014, 13 giugno 2016; Id., Osservazioni conclusive sul quinto e sesto rapporto periodico congiunto dell’Italia, CAT/C/ITA/CO/5-6, 18 dicembre 2017). Coerenti con gli obblighi internazionali ed europei sono invece quelle disposizioni della l. n. 110 che – secondo gli orientamenti della Corte europea dei diritti umani (Hirsi Jamaa, 2012), condivisi anche dalla Corte di giustizia dell’UE (sent. Grande Sez., 14 maggio 2019, cause riunite C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17) – vietano espressamente l’espulsione, il respingimento o l’estradizione di stranieri per qualsiasi ragione, se possa derivarne il rischio di tortura (art. 3). Inversamente, è escluso il riconoscimento di qualsiasi immunità a persone accusate di tortura, ai fini dell’estradizione verso uno Stato richiedente, o della consegna a un tribunale penale internazionale (art. 4).

Ancora in relazione a crimini di diritto internazionale, la l. n. 115/2016 ha introdotto una nuova modifica delle norme di attuazione della Convenzione ONU contro la discriminazione razziale, prevedendo per i reati di discriminazione (delitti di propaganda razzista, di istigazione e di incitamento ad atti di discriminazione commessi per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi) la circostanza aggravante del ‘negazionismo’. Quest’ultimo può essere riferito al genocidio, ad altri crimini contro l’umanità, o a crimini di guerra; per la loro definizione, la l. n. 115 rinvia alle nozioni codificate nello Statuto della Corte penale internazionale (CPI).

In relazione a quest’ultimo, il Parlamento ha autorizzato con l. n. 200/2017 la ratifica dell’Emendamento adottato dall’Assemblea delle Parti nel 2015, volto a eliminare (mediante soppressione dell’art. 124) la possibilità per gli Stati parti di eccettuare temporaneamente dalla giurisdizione della CPI i crimini di guerra commessi sul loro territorio o da loro cittadini (facoltà di cui l’Italia non si era peraltro avvalsa, a suo tempo, nel ratificare lo Statuto). Manca tuttora, invece, una legge per la ratifica e l’esecuzione degli Emendamenti del 2010 che – dopo la decisione dell’Assemblea delle Parti divenuta operativa il 17 luglio 2018 – consentono ormai alla CPI di esercitare la propria competenza rispetto al crimine di aggressione.

In tema di terrorismo, è da menzionare la l. n. 153/2016. Oltre ad autorizzare la ratifica della Convenzione ONU per la soppressione di atti di terrorismo nucleare del 2005 e di alcune rilevanti Convenzioni del Consiglio d’Europa, essa rafforza ulteriormente la legislazione nazionale di contrasto. Al processo di adeguamento delle norme penali sostanziali, in atto da diversi anni, fanno riscontro le prime sentenze di condanna nei confronti di c.d. ‘foreign fighters’ e ‘lupi solitari’. Tra le pronunce rilevanti, si vedano G.u.p. Trib. Milano 23 febbraio 2016, n. 598 e Ass. Milano 25 maggio 2016, n. 3, nonché Ass. Milano 19 dicembre 2016, n. 8 (pubblicata nel 2017), sul noto caso Sergio.

Il 2016 è anche l’anno in cui la Corte europea dei diritti umani si è pronunciata sulla ‘extraordinary rendition’ del sospetto terrorista egiziano noto come Abu Omar, avvenuta a Milano nel 2003, ad opera di agenti della CIA in concorso con membri dei servizi segreti italiani (IV sez., 23 febbraio 2016, Nasr e Ghali c. Italia). La Corte europea, pur apprezzando l’operato dei giudici nazionali (su cui ampia documentazione pregressa è già ricompresa nella Rassegna), ha riscontrato la violazione del divieto di tortura, per omissione di atti di prevenzione da parte delle autorità italiane, nonché la violazione del diritto individuale a un ricorso effettivo. Infatti, l’azione repressiva della magistratura è stata sostanzialmente vanificata da comportamenti di altri organi dello Stato, che hanno reso impossibile, nei fatti, la punizione dei responsabili (apposizione del segreto di stato sulla documentazione probatoria relativa al ruolo svolto da agenti del SISMI, mancata richiesta di estradizione degli imputati stranieri, concessione della grazia ad alcuni di essi dopo la condanna in contumacia).

3. Nel biennio in esame, altre pronunce della Corte europea dei diritti umani – anch’esse ricadenti in materia penale – hanno avuto, o hanno continuato ad avere notevole incidenza sulla giurisprudenza italiana.

Sono anzitutto da segnalare gli ulteriori seguiti della sentenza Grande Stevens, con cui la Corte europea, nel 2014, ha censurato il cumulo di sanzioni amministrative e penali per reati relativi ad abusi di mercato sotto il profilo del principio ne bis in idem (art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU). Alla copiosa giurisprudenza nazionale applicativa di tale sentenza si sono aggiunte nuove pronunce della Corte di cassazione volte a precisarne maggiormente gli effetti interni (tra le altre: Cass., I sez. civ., n. 4114; II sez. civ., n. 3656; III sez. pen., n. 25815 e n. 38134, tutte del 2016; nonché Cass., IV sez. pen. n. 23171 del 2017). Anche la Corte costituzionale (sentt. n. 102 e n. 200 del 2016) è tornata sulla vexata quaestio della parziale inconciliabilità dell’art. 649 c.p.p. con l’interpretazione del ne bis in idem risultante dalla sentenza Grande Stevens, senza tralasciare gli aspetti collegati alla normativa italiana di recepimento del diritto dell’UE, specie in relazione all’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali. Infatti, l’interpretazione del principio ne bis in idem secondo la Corte di giustizia dell’UE non coincide del tutto con quella della Corte di Strasburgo, a cui i giudici italiani hanno l’obbligo di conformarsi. A conferma di tali incertezze interpretative, si vedano le ordinanze di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’UE da parte della Corte di cassazione (sez. tributaria civ. n. 20675 e II sez. civ. n. 23232, entrambe del 2016).

Con riguardo alla decisione della Corte europea sul caso Contrada (sent. IV sez., 14 aprile 2015), è invece venuto in rilievo il principio della irretroattività della legge in materia penale e, più in generale, il principio di legalità ex art. 7 della CEDU (nullum crimen, nulla poena sine lege). La Corte ha infatti ritenuto che la condanna di Bruno Contrada per ‘concorso esterno in associazione mafiosa’ (reato che si ricava dal combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p.) abbia integrato una violazione dell’art. 7, in quanto le condotte contestate all’imputato erano anteriori al consolidamento di tale reato nell’ordinamento italiano (che, secondo la Corte europea, sarebbe avvenuto per via giurisprudenziale e sarebbe giunto a compimento solo con la sentenza Demitry del 1994). Questa decisione ha sollevato questioni di diritto interno, anzitutto sul tema della revisione del giudicato penale a seguito di una sopravvenuta sentenza della Corte di Strasburgo (art. 46 della CEDU). Dopo l’iniziale rigetto dell’istanza di revisione (App. Caltanissetta 18 novembre 2015, pubblicata nel 2016), la questione è stata risolta dalla Cassazione (I sez. pen., n. 43112/2017) nel senso che non vi è un margine di discrezionalità dei giudici italiani nel conformarsi alle decisioni della Corte di Strasburgo; sicché la sopraggiunta inefficacia della sentenza definitiva nei confronti di Contrada poteva essere dichiarata anche dal giudice dell’esecuzione. Quanto alle ricadute su procedimenti ancora pendenti per lo stesso reato, la posizione della Cassazione è articolata: si vedano, in particolare, le sentenze della V sez. pen., n. 42996/2016; della I sez. pen., n. 44193/2016, Dell’Utri e, ancora, della I sez. pen., n. 53610/2017, con ampia disamina degli effetti da riconoscere non a tutte le sentenze della Corte europea ma a quelle c.d. ‘pilota’, o comunque espressione di un orientamento consolidato.

L’aspetto del ‘grado’ di consolidamento richiesto affinché sorga per il giudice italiano l’obbligo di conformarsi alle pronunce della Corte europea ha assunto rilievo anche in relazione alla sentenza della Grande Camera del 23 febbraio 2017 sul caso de Tommaso c. Italia. Come è noto, essa ha sollevato la questione della certezza del diritto con riguardo alla normativa sulle misure di prevenzione per motivi di pubblica sicurezza – restrittive della libertà di movimento e dei diritti economici di persone socialmente pericolose –, che la Corte europea ha giudicato formulata, per vari aspetti, in modo vago. I casi rilevanti in Rassegnaspaziano dalle decisioni con cui alcuni giudici hanno ritenuto insussistente l’obbligo di interpretazione conforme, in quanto la sentenza de Tommaso non esprimerebbe un orientamento consolidato (Trib. Milano n. 13/2017; nonché Trib. Palermo, I sez. pen.-misure di prevenzione, 28 marzo 2017, 16-19 maggio 2017 e 1° giugno 2017, n. 62), alle decisioni che invece ne affermano il valore vincolante per il giudice italiano, ma risolvono il conflitto per via interpretativa (Trib. Roma, sez. misure di prevenzione, n. 30/2017 e, soprattutto, Cass. pen., S.U., n. 40076/2017), fino alle ordinanze con cui dapprima due giudici di merito (App. Napoli, VIII sez. pen., 15 marzo 2017 e Trib. Udine, sez. pen., 4 aprile 2017) e successivamente la Cassazione (II sez. pen., n. 49194/2017) hanno inviato la questione al vaglio della Corte costituzionale.

4. La documentazione riguardante i diritti umani è, come sempre, molto ampia e in gran parte attinente alla protezione di soggetti vulnerabili, per i quali il diritto internazionale appresta particolari tutele. In questo contesto, il contrasto della discriminazione e della violenza nei confronti delle donne è stato scelto come tema di approfondimento per il n. 3 della Rassegna, anche perché l’adattamento alle Convenzioni rilevanti ratificate dall’Italia è oggetto di un processo legislativo e giurisprudenziale ancora in itinere (v. Focus). L’occasione di soffermarsi sul tema è data anche dalla pubblicazione delle Osservazioni conclusive del Comitato della Convenzione ONU contro la discriminazione nei confronti delle donne sul settimo Rapporto periodico presentato dall’Italia (CEDAW/C/ITA/CO/7, 24 luglio 2017).

In tema di minori, si segnalano la legge contro il ‘cyberbullismo’ (n. 71/2017); i Rapporti periodici congiunti V e VI trasmessi dall’Italia al Comitato della Convenzione sui diritti del fanciullo (CRC/C/ITA/5-6, 5 luglio 2017); e, per la giurisprudenza, diverse sentenze relative a reati di abuso e sfruttamento sessuale di minori, nonché l’innovativa decisione con cui, nel 2016, il Tribunale di Reggio Calabria ha privato della potestà genitoriale due coniugi, esponenti di spicco della mafia locale, in quanto incapaci di orientare la formazione del figlio verso valori socialmente condivisi.

Un’altra categoria di soggetti vulnerabili è quella dei migranti. La casistica del periodo 2016-17 è contrassegnata, ancora una volta, dalle critiche di organismi internazionali rispetto alle operazioni marittime dell’Italia nelle acque territoriali libiche (v. la lettera del Commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa al Ministro dell’interno Marco Minniti, CommHR/INM sf 0345-2017, e la risposta del Ministro, CommDH/GovRep(2017)15). Vi è poi il d.l. n. 13/2017 (c.d. ‘decreto Minniti-Orlando’), convertito in l. n. 46/2017, che ha introdotto alcune modifiche della normativa in vigore, principalmente allo scopo di accelerare le procedure di accertamento del diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o ad altre forme di protezione internazionale. Secondo alcuni, le misure in questione hanno avuto però l’effetto di affievolire le garanzie procedurali dei diritti dei richiedenti asilo. Sempre del 2017 è poi la l. n. 47, che ha rafforzato la protezione dei minori migranti non accompagnati.

Quanto all’emergere o al progressivo consolidarsi di ‘nuovi’ diritti e libertà individuali, la l. n. 76/2016 ha introdotto l’istituto, sconosciuto in precedenza all’ordinamento italiano, delle “unioni civili” tra persone dello stesso sesso (v. anche i d.lgs. di attuazione nn. 5, 6 e 7 del 2017). Al progresso realizzato con il superamento di consolidate discriminazioni di genere si è però accompagnata la mancata previsione di una disciplina specifica per l’adozione del figlio di uno dei componenti la coppia omogenitoriale da parte dell’altro componente (c.d. stepchild adoption), che è invece espressamente regolamentata in altri Stati europei. Su questo aspetto, l’orientamento emerso nella giurisprudenza italiana, volto a superare la lacuna legislativa mediante l’applicazione delle norme sulla “adozione in casi speciali”, è già documentato in casi – vecchi e nuovi – della Rassegna. Ad esso si è ora affiancata, ad opera della Cassazione, l’affermazione del principio secondo cui non è contrario all’ordine pubblico il riconoscimento in Italia dell’atto di nascita di un bambino nato all’estero da una coppia omogenitoriale mediante maternità surrogata, se il ricorso a tale pratica era legittimo nello Stato di nascita (Cass. n. 19599/2016). Analogamente, è da ritenere ormai consolidato per via giurisprudenziale il diritto dei figli di coppie omogenitoriali a mantenere una relazione familiare legalmente riconosciuta anche con il genitore non biologico (c.d. “genitore sociale”: Cass. n. 12692/2016).

Molto innovativa per l’ordinamento italiano è anche la l. n. 219/2017, che ha attuato almeno in parte il principio di autodeterminazione degli individui rispetto a stati di grave malattia e alla problematica del ‘fine vita’. Essa attribuisce a ogni persona maggiorenne capace d’intendere e di volere la facoltà di esprimere le proprie volontà in tema di trattamenti sanitari e di accettare o respingere determinati mezzi diagnostici o scelte terapeutiche, per il caso di futura impossibilità psico-fisica a manifestare il proprio consenso o dissenso (c.d. DAT, “disposizioni anticipate di trattamento”). Anche in questo caso, si è però omesso di disciplinare gli aspetti più controversi della materia, come ha evidenziato l’incriminazione di Marco Cappato per l’assistenza al suicidio prestata a Fabiano Antoniani (più noto come dj Fabo), su cui nel 2018 si è pronunciata anche la Corte costituzionale, chiedendo al Parlamento di legiferare. Della complessa vicenda giudiziaria, non ancora conclusasi, il n. 3 della Rassegna contiene soltanto – per limiti temporali – l’atto iniziale, ossia l’ordinanza di rinvio a giudizio dell’indagato (G.i.p. Trib. Milano 10 luglio 2017).

 

© Ornella FERRAJOLO e ISGI-CNR, novembre 2019.