Sentenza della Corte di cassazione, S.U., 26 giugno 2014, n. 4880

Alle Sezioni Unite è stata sottoposto il quesito se alla confisca di prevenzione – misura di sicurezza applicabile a beni che si sospettano illecitamente acquisiti – si applichi o meno il principio di irretroattività delle norme che la prevedono, come è pacifico per le sanzioni penali. A fronte di soluzioni non omogenee in dottrina e nella stessa giurisprudenza di cassazione, le Sezioni Unite hanno richiamato diverse pronunce della Corte europea dei diritti umani da cui si evince che la confisca di prevenzione prevista nella normativa italiana anti mafia non è assimilabile alla pena, e per essa non valgono quindi il principio della irretroattività della legge penale e il principio ne bis in idem posti dalla CEDU. Anche l’art. 1 del Primo Protocollo alla CEDU riconosce che gli Stati possono imporre limiti all’uso di beni purché finalizzati alla tutela di un interesse generale; l’unica condizione per la legittimità della confisca di prevenzione è dunque che la pericolosità sociale sussista al momento della confisca. Le Sezioni Unite hanno altresì chiarito che alla confisca di prevenzione non si collega nessuna efficacia “parasanzionatoria”, tale da renderla assimilabile a una pena nel senso chiarito dalla sentenza della Corte europea del 2014 sul caso Grande Stevens c. Italia.