Sentenza della Corte di cassazione, I sez. pen., 11 ottobre 2016, n. 44193

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Diritto penale contemporaneo

Nella sentenza sul caso Contrada c. Italia (2015), la Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per violazione del principio di legalità (art. 7 CEDU), ritenendo che il reato di ‘concorso in associazione mafiosa’, per il quale il ricorrente era stato condannato in via definitiva, fosse di origine giurisprudenziale e non ancora contemplato nell’ordinamento italiano alla data dei fatti contestati. Nel procedimento esecutivo di una sentenza di condanna a carico di Dell’Utri per lo stesso reato, la decisione della Corte europea è stata richiamata a fondamento di un ricorso per cassazione. Ciò in relazione all’art. 46 della CEDU, che obbliga gli Stati a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea nelle controversie in cui siano parti, obbligo che, a certe condizioni, si estende ai casi identici a quello deciso dalla Corte europea (sent. n. 49/2015 della Corte costituzionale).  La Corte di cassazione ha però ritenuto che dette condizioni non fossero presenti e che, in particolare, non vi fosse tra i casi Dell’Utri e Contrada quella “assoluta identità” che è presupposto per l’applicazione erga alios di sentenze definitive della Corte europea.

  • Vedi anche:

    Sentenza della Corte di cassazione, V sez. pen., 14 settembre 2016, n. 42996; Sentenza della Corte costituzionale 14 gennaio 2015, n. 49

  • Lingua originale: Italiano