Con questa sentenza la Corte d’appello di Catania, riformando la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, ha riconosciuto lo status di rifugiato a una donna originaria della Nigeria che aveva abbandonato il suo paese per sottrarsi alla pratica dell’infibulazione. La Corte ha ritenuto che la sottoposizione a pratiche di mutilazione genitale femminile costituisce una forma di violenza discriminatoria nei confronti delle donne e ha altresì ricordato che, secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti umani, tale pratica rientra nei trattamenti crudeli, inumani o degradanti vietati dall’art. 3 della CEDU.