Sentenza della Corte costituzionale 7 ottobre 2015, n. 230

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G.U. 18 novembre 2015, n. 46

La Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 80, co. 19, l. n. 388/2000 (legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti in Italia della pensione di invalidità civile per sordi. La Corte ha richiamato la propria precedente giurisprudenza (v., tra le altre, le sent. n. 40/2013 e n. 22/2015), nonché la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani in tema di non discriminazione (art. 14 CEDU), osservando che, come nei casi precedenti, anche la pensione di invalidità civile per sordi è una prestazione economica peculiare, dovuta all’esigenza di assicurare un ausilio a persone svantaggiate, affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti. La disposizione censurata operava inoltre una discriminazione irragionevole nei confronti dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti in Italia in relazione a diritti umani il cui godimento non può essere condizionato da elementi formali quale la titolarità della carta di soggiorno.

  • Vedi anche:

    Sentenza della Corte costituzionale 11 marzo 2013, n. 40

    Sentenza della Corte costituzionale 27 gennaio 2015, n. 22

  • Lingua originale: Italiano

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso dal Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, nel procedimento vertente tra J.D.P. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 12 dicembre 2014, iscritta al n. 33 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Udito nella camera di consiglio del 7 ottobre 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 12 dicembre 2014, il Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 32 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di invalidità civile per sordi e della indennità di comunicazione».

Premette il giudice a quo che J.D.P. ha convenuto in giudizio l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) per l’accertamento del diritto all’indennità di comunicazione ed alla pensione di invalidità civile per sordi, puntualizzando che il ricorrente è stato riconosciuto sordo «senza necessità di revisione» dall’apposita Commissione medica; in sede amministrativa, peraltro, l’INPS aveva negato le provvidenze richieste in quanto il richiedente non risultava «titolare di carta di soggiorno o permesso di soggiorno di lungo periodo».

Risultando il ricorrente sicuramente in possesso dei requisiti per conseguire i benefici richiesti, l’unico ostacolo alla relativa concessione sarebbe rappresentato dalla disposizione oggetto di censura, che subordina il riconoscimento delle provvidenze in questione, per l’appunto, alla titolarità della carta di soggiorno – ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo –, la quale, a sua volta, presuppone il possesso da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità.

Richiamata la sentenza di questa Corte n. 11 del 2009 e sottolineato come, nella situazione di specie, l’INPS abbia resistito insistendo nel valorizzare l’assenza, in capo al richiedente,«quantomeno del requisito del soggiorno in Italia da almeno 5 anni», il giudice a quo riporta, altresì, ampi stralci della sentenza n. 187 del 2010, segnalando come, alla luce di questa giurisprudenza, il requisito individuato come rilevante per i cittadini extracomunitari sia, in definitiva, il legale soggiorno nel territorio dello Stato: il quale requisito – si sottolinea – «non attiene alla stabilità della condizione, ma all’effettività della stessa in senso sostanziale».

Risulterebbero di conseguenza violati gli artt. 2, 3, 10, 32 e 38 Cost., in quanto la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con le «norme poste a tutela del diritto alla salute nonché in relazione al principio di non discriminazione degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale».

Né sarebbe possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata o un’applicazione estensiva delle pronunce di questa Corte «già espresse per altre prestazioni»; così come andrebbe «esclusa la possibilità di ravvisare un contrasto ai sensi dell’articolo 14 CEDU, trattandosi di norma di principio senza efficacia diretta nell’ordinamento».

2.– Nel giudizio non vi è stata costituzione di parti né vi sono stati interventi.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario di Milano, in funzione di giudice del lavoro, solleva, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 32 e 38 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di invalidità civile per sordi e della indennità di comunicazione».

Dopo aver richiamato e riportato la giurisprudenza di questa Corte – secondo cui, nei casi in cui si versi in tema di provvidenze destinate a fronteggiare esigenze di sostentamento della persona, qualsiasi discriminazione tra cittadini e stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondata su requisiti diversi dalle condizioni soggettive per essere ammessi, «finirebbe per risultare in contrasto con il principio sancito dall’art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo», per come in più occasioni interpretato dalla Corte di Strasburgo (sentenza n. 187 del 2010) –, il giudice a quo deduce che la limitazione derivante dalla disposizione censurata risulterebbe adottata «in violazione delle norme poste a tutela del diritto alla salute nonché in relazione al principio di non discriminazione degli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale».

2.– La questione è fondata.

2.1.– Come puntualmente rammentato dallo stesso giudice rimettente, questa Corte ha già avuto numerose occasioni di occuparsi, sotto diverse angolature ed in riferimento a differenti misure di carattere assistenziale, delle limitazioni previste per gli stranieri extracomunitari regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato, derivanti dalla disposizione ora nuovamente censurata: secondo questa l’assegno sociale e le provvidenze economiche che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di servizi sociali, sono concessi agli stranieri soltanto se titolari della “carta di soggiorno”, ora permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, recante «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo»), per il cui rilascio viene, fra l’altro, richiesto il possesso, da almeno cinque anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità.

La lunga serie delle relative decisioni ha preso avvio con alcune pronunce che si occupavano dei limiti di reddito imposti ai cittadini extracomunitari al fine di poter fruire della carta di soggiorno. In particolare, con la sentenza n. 306 del 2008, la disposizione in esame venne dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui escludeva che l’indennità di accompagnamento per inabilità – di cui all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili) – potesse essere attribuita agli stranieri extracomunitari soltanto perché non in possesso dei requisiti di reddito per ottenere la carta di soggiorno. Identica soluzione venne poi adottata con la sentenza n. 11 del 2009, in riferimento alla pensione di inabilità, di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili).

In entrambe le occasioni, la Corte ritenne irragionevole subordinare l’attribuzione di prestazioni assistenziali al possesso di un determinato livello minimo di reddito.

Con la sentenza n. 187 del 2010 – diffusamente evocata, come si è accennato, dal giudice a quo – la Corte ha poi iniziato a censurare la disposizione sotto il diverso versante dell’ingiustificata discriminazione nei confronti dei cittadini extracomunitari in riferimento alle diverse tipologie di provvidenze volta a volta prese in considerazione.

Con la richiamata sentenza, infatti, la disposizione venne dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui subordinava al requisito del possesso della carta di soggiorno (e, quindi, delle condizioni di durata della permanenza per poterla ottenere) l’assegno mensile di invalidità di cui all’art. 13 della richiamata legge n. 118 del 1971.

Fece seguito la sentenza n. 329 del 2011, con la quale la disposizione venne, ancora una volta, dichiarata costituzionalmente illegittima in relazione all’indennità di frequenza di cui all’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289 (Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla L. 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi). Nel frangente, la Corte sottolineò la vasta gamma degli interessi costituzionalmente protetti che venivano coinvolti: la tutela dell’infanzia e della salute, nonché le garanzie da assicurare alle persone disabili e ancora la salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il minore disabile si trova inserito, insieme all’esigenza di agevolare il futuro ingresso dello stesso minore nel mondo del lavoro e la sua partecipazione attiva alla vita sociale. Da qui, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché la violazione dei princípi di uguaglianza e dei diritti all’istruzione, alla salute ed al lavoro, tanto più gravi in quanto riferiti a minori in condizioni di disabilità.

Con la sentenza n. 40 del 2013, l’identica declaratoria di illegittimità costituzionale fu pronunciata in riferimento all’indennità di accompagnamento di cui all’art. 1 della citata legge n. 18 del 1980 ed alla pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971, già richiamata, trattandosi, anche in questo caso, di provvidenze destinate a favorire soggetti portatori di menomazioni fortemente invalidanti, la cui attribuzione era dunque destinata a soddisfare diversi valori di risalto costituzionale, e con una particolare evocazione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.

Da ultimo, con la sentenza n. 22 del 2015, la disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima – per violazione degli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 della CEDU e all’art. 1 del relativo Primo Protocollo addizionale – con riguardo alla pensione di invalidità – di cui all’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) – e alla speciale indennità in favore dei ciechi parziali, di cui all’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti). Si osservò che la specificità dei connotati invalidanti delle persone non vedenti rendeva ancora più arduo, rispetto alle altre invalidità, subordinare la fruizione del beneficio al possesso della carta di soggiorno, cioè a un requisito di carattere meramente temporale, del tutto incompatibile con la indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni.

2.2.– Alla luce degli evocati principi, l’epilogo della questione all’esame non può non consistere in un identico esito demolitorio: la natura, infatti, e la funzione della pensione di invalidità civile per sordi – di cui alla legge 26 maggio 1970, n. 381 (Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti e delle misure dell’assegno di assistenza ai sordomuti), come successivamente modificata e integrata, tra l’altro, dalla legge 20 febbraio 2006, n. 95 (Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi) (che, all’art. 1, comma 1, ha disposto la sostituzione, nelle disposizioni legislative vigenti, del termine «sordomuto» con il termine «sordo») – nonché dell’indennità di comunicazione, di cui alla richiamata legge n. 508 del 1988, impongono di estendere alla situazione di specie la ratio decidendi posta a base delle predette pronunce, per ciò che attiene alla riconoscibilità delle provvidenze anche ai cittadini extracomunitari regolarmente permanenti nel territorio dello Stato, ancorché non in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

Si tratta, infatti, anche in questo caso, di prestazioni economiche peculiari, che si fondano sull’esigenza di assicurare – in una dimensione costituzionale orientata verso la solidarietà come dovere inderogabile (art. 2 Cost.), verso la tutela del diritto alla salute anche nel senso dell’accessibilità ai mezzi più appropriati per garantirla (art. 32 Cost.), nonché verso la protezione sociale più ampia e sostenibile (art. 38 Cost.) – un ausilio in favore di persone svantaggiate, in quanto affette da patologie o menomazioni fortemente invalidanti per l’ordinaria vita di relazione e, di conseguenza, per le capacità di lavoro e di sostentamento; beneficii erogabili, quanto alla pensione, in presenza di condizioni reddituali limitate, tali, perciò, da configurare la medesima come misura di sostegno per le indispensabili necessità di una vita dignitosa.

La discriminazione che la disposizione de qua irragionevolmente opera nei confronti dei cittadini extracomunitari legalmente soggiornanti, con l’attribuzione di un non proporzionato rilievo alla circostanza della durata della permanenza legale nel territorio dello Stato, risulta, d’altra parte, in contrasto con il principio costituzionale – oltre che convenzionale – di eguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.): essa, infatti, appare idonea a compromettere esigenze di tutela che, proprio in quanto destinate al soddisfacimento di bisogni primari delle persone invalide, appaiono per sé stesse indifferenziabili e indilazionabili sulla base di criteri meramente estrinseci o formali; sempre che, naturalmente, venga accertata la sussistenza degli altri requisiti richiesti per il riconoscimento del beneficio e sempre che – nell’ottica della più compatibile integrazione sociale e della prevista equiparazione, per scopi assistenziali, tra cittadini e stranieri extracomunitari, di cui all’art. 41 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – il soggiorno di questi ultimi risulti, oltre che regolare, non episodico né occasionale.

Su queste basi, la disposizione denunciata va, dunque, dichiarata costituzionalmente illegittima.

Deve da ultimo, ma non per ultimo, formularsi l’auspicio che il legislatore, tenendo conto dell’elevato numero di pronunce caducatorie adottate da questa Corte a proposito della disposizione ora nuovamente censurata, provveda ad una organica ricognizione e revisione della disciplina, ad evitare, tra l’altro, che il ripetersi di interventi necessariamente frammentari, e condizionati dalla natura stessa del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, possa avere riverberi negativi sul piano della tutela dell’eguaglianza sostanziale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di invalidità civile per sordi e della indennità di comunicazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 ottobre 2015.