G.U. 1 febbraio 2017, n. 5
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità sollevate dal TAR del Lazio relative all’art. 26, co. 3, d.l. n. 91/2014, convertito in l. n. 116/2014, in riferimento, tra l’altro, all’art. 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione alla tutela dei diritti economici (art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU) e all’art. 6, par. 3, del TUE, e all’art. 26, co. 2, d.l. n. 91/2014, convertito in l. n. 116/2014, in riferimento agli artt. 3, 41 e 77 Cost., ritenendo che tali disposizioni, volte a “rimodulare” in senso peggiorativo i regimi anteriori regolati dalle convenzioni con la GSE-Gestore dei servizi energetici spa, non fossero ingiustificate. La Corte ha affermato, infatti, che tali norme sono volte a rispondere ad un interesse pubblico e che il legislatore ha effettuato un equo bilanciamento tra l’esigenza di realizzare politiche sulle energie rinnovabili e la necessità di contenere gli oneri economici gravanti sui consumatori finali, garantendo comunque una equa remunerazione dell’investimento.
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 26, commi 2 e 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione III-ter, con tre ordinanze del 3 luglio, una del 7 luglio, cinque del 9 luglio, una del 23 giugno, tre del 24 giugno, due del 26 giugno, una del 30 giugno, due del 10 luglio, una del 20 luglio, una del 10 luglio, due del 24 giugno, una del 26 giugno, una del 10 luglio, tre del 20 luglio, una del 1° settembre, due del 3 luglio, una del 10 luglio, una del 20 luglio, una dell’8 luglio, due del 20 luglio, tre del 4 agosto, una del 20 luglio, cinque del 4 agosto, tre del 1° settembre, una del 24 giugno, una del 3 luglio, quattro del 4 agosto, una del 25 giugno e nove del 3 agosto 2015, rispettivamente iscritte ai nn. da 253 a 261, 265, da 266 a 274, da 279 a 287, da 293 a 302, da 309 a 317, da 324 a 329 del registro ordinanze 2015 ed ai nn. da 37 a 46 del registro ordinanze 2016, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 48, 49, 50, 51 e 52, prima serie speciale, dell’anno 2015 ed ai nn. 1 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione della Entec spa, della Apulia Renewable Energy srl, della Iniziative Solari srl, della Assorinnovabili ed altra, della Fima srl ed altre, della Alchimia Energy 3 srl ed altre, della San Vito srl, della O.T.T. Oceanic Transport Trailers spa, della Amber Turtle srl, del GSE-Gestore dei servizi energetici spa, nonché quelli, fuori termine, della Ph20 energy srl ed altre e gli atti di intervento della Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 dicembre 2016 e nella camera di consiglio del 7 dicembre 2016 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Valerio Onida per la Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE), Valerio Onida e Barbara Randazzo per la Entec spa e per la Assorinnovabili ed altra, Maria Alessandra Sandulli per la Apulia Renewable Energy srl, Stefania Maria Piscitelli per la Iniziative Solari srl, Andrea Maffettone per la Fima srl ed altre, Francesco Saverio Marini per la Alchimia Energy 3 srl ed altre, per la O.T.T. Oceanic Transport Trailers spa e per la Amber Turtle srl, Germana Cassar per la San Vito srl, Carlo Malinconico per il GSE-Gestore dei servizi energetici spa e gli avvocati dello Stato Vincenzo Nunziata e Maria Gabriella Mangia per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Nel corso di sessantatre giudizi amministrativi, di analogo contenuto – proposti da varie società e/o imprenditori individuali, titolari di uno o più impianti fotovoltaici con potenza nominale superiore a 200 kW e di altrettante convenzioni ventennali stipulate con il GSE-Gestore dei Servizi Energetici spa [da ora: GSE], i quali avevano chiesto l’annullamento di due decreti del Ministero dell’economia e delle finanze del 16 e 17 ottobre 2014, rimodulativi, con effetti per loro pregiudizievoli, delle tariffe incentivanti previste nelle suddette convenzioni – l’adito Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, ha sollevato, con le (altrettante) ordinanze in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
Detta norma, alla quale i decreti impugnati nei giudizi a quibus hanno dato applicazione (dal che, secondo il rimettente, la rilevanza della questione) – nella parte, appunto, in cui prevede che, a decorrere dal 2015, le tariffe relative all’energia prodotta dagli impianti suindicati siano rimodulate sulla base di tre prefissate opzioni, tutte peggiorative dei regimi anteriori regolati dalle convenzioni con il GSE, tra le quali l’operatore sarebbe stato, comunque, obbligato a scegliere, applicandosi, altrimenti, in via automatica, il terzo schema di rimodulazione (di cui alla lettera c) – viene denunciata per contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione, per lesione del principio dell’affidamento riposto su posizioni consolidate di vantaggio riconosciute da negozi «di diritto privato»; con gli stessi artt. 3 e 41 Cost., sotto i profili ulteriori della irragionevolezza e della disparità di trattamento tra operatori del settore; con gli articoli 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n. 848 e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, per sottrazione da parte dello Stato, di parte dei crediti spettanti ai ricorrenti produttori di energia da impianti fotovoltaici in virtù delle convenzioni stipulate con il GSE; e per violazione, da ultimo, dell’art. 77 Cost., in quanto adottata con decretazione d’urgenza, senza che ne ricorressero i presupposti giustificativi.
2.− In tre delle su riferite ordinanze di rimessione (iscritte nel Ruolo ordinanze ai nn. 254 e 255 del 2015; 37 del 2016), il suddetto TAR Lazio ha esteso l’impugnativa al precedente comma 2 dello stesso art. 26 del citato d.l. n. 91 del 2014.
Quest’ultima disposizione – nella parte in cui interviene sulle modalità di corresponsione delle tariffe incentivanti, prevedendo, «dal secondo semestre 2014», che il GSE le eroghi «con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione», con effettuazione del «conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo» − si porrebbe, a sua volta, in contrasto, secondo il rimettente, con gli artt. 3, 41 e 77 Cost., per profili analoghi di lesione del principio dell’affidamento, di irragionevolezza e di incidenza su rapporti in corso con illegittima fonte normativa.
3.− In quarantasei, dei sessantatre, giudizi di cui si è detto, si sono ritualmente costituite le rispettive numerose parti ricorrenti dei processi principali, ciascuna delle quali ha svolto, tramite i propri difensori, diffuse e articolate argomentazioni adesive alla prospettazione del Tribunale amministrativo a quo.
3.1.− Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 37 del 2016, la Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) ha depositato atto di intervento adesivo, che, con ordinanza di questa Corte resa in udienza, è stato dichiarato inammissibile.
4.− In sette dei giudizi in esame (r.o. nn. 254, 256, 280, 281, 287, 324 del 2015 e 37 del 2016), si è costituito anche il GSE, per eccepire la «inammissibilità e infondatezza» della questione rispetto ad ognuno dei parametri evocati.
Premessa l’efficacia ex nunc delle norme denunciate in coerenza ai principi applicabili in tema di rapporti di durata, detto Gestore ha posto poi l’accento sulla natura, comunque, accessoria delle convenzioni agli atti amministrativi di concessione degli incentivi, che resterebbero condizionati alle esigenze del pubblico interesse.
Ha escluso, quindi, la configurabilità di un sinallagma tra incentivi ed investimenti, evidenziando, altresì, la sussistenza dell’elemento della prevedibilità del mutamento dell’incentivazione in base all’evoluzione della situazione precedente alla normativa vigente e alla convenzione quadro.
Ha sottolineato, infine, come – per essere le risorse per il finanziamento dei suddetti incentivi a carico non già della fiscalità generale, ma degli utenti dell’energia elettrica (attraverso la componente A3 della bolletta elettrica) – ragionevolmente il legislatore dal 2014, con il cosiddetto “intervento spalma incentivi obbligatorio”, avrebbe dato prevalenza al contenimento degli oneri economici gravanti sui consumatori finali dell’energia (utenti domestici e imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale) rispetto al mantenimento intatto dell’incentivazione delle fonti rinnovabili.
5.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato, a sua volta, atti di intervento (di sostanzialmente identico contenuto) nei giudizi relativi a tutte le ordinanze in epigrafe.
In via pregiudiziale, la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione per suo difetto di incidentalità, in quanto sollevata nel contesto di una asserita lis ficta, e per la sua inidoneità a surrogare un intervento riservato al potere discrezionale del legislatore. Nel merito, ha escluso la violazione di ciascuno dei parametri invocati.
Nel merito, anche secondo l’Avvocatura dello Stato, la disposizione censurata sarebbe giustificata dal perseguimento di un interesse pubblico prevalente comportante un sacrificio ragionevole e proporzionato dei contrapposti interessi delle parti private. Diversamente, il mantenimento dei pregressi sistemi di incentivazione avrebbe comportato che i costi del sistema continuassero a gravare sulla collettività, al solo scopo di conservare un’alta remunerazione di un numero esiguo di impianti (appartenenti alla platea di quelli eroganti una potenza superiore a 200 kW).
6.− Quasi tutte le parti costituite, con singole o congiunte memorie, hanno replicato alle eccezioni pregiudiziali dell’Avvocatura dello Stato, chiedendone il rigetto.
Nel merito, hanno ribadito le censure di illegittimità costituzionale della normativa in esame tornando, in particolare, a sottolinearne la irragionevolezza, la non proporzionalità e l’effetto lesivo del principio dell’affidamento, anche in considerazione dell’assenza di un ponderato bilanciamento degli interessi in gioco e, comunque, di un ragionevole nesso tra lo scopo (di reperimento di risorse finanziarie) perseguito dal legislatore e l’intervento adottato, unilateralmente e autoritativamente modificativo di rapporti in corso.
Anche il GSE, nei giudizi in cui si è costituito, e il Presidente del Consiglio dei ministri, in tutti i giudizi in epigrafe, hanno depositato memorie, per reiterare, ed ulteriormente argomentare, le rispettive conclusioni di non fondatezza di tutte le questioni sollevate.
Considerato in diritto
1.– Con le sessantatre ordinanze di sostanzialmente identico contenuto, di cui si è in narrativa detto, il Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in riferimento agli articoli 3 e 41 della Costituzione ed agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n. 848 e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, e per contrasto, altresì, con l’art. 77 Cost.
1.1.− In tre delle suddette ordinanze (nn. 254 e 255 del 2015; 37 del 2016), il rimettente estende l’impugnativa al precedente comma 2 dello stesso art. 26 del d.l. n. 91 del 2014, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 77 Cost.
1.2.− I sessantatre giudizi − in quarantasei dei quali si sono ritualmente costituiti numerosi imprenditori e società ricorrenti, in sette dei quali si è costituito anche il Gestore dei Servizi elettrici spa (in acronimo: GSE) e, in tutti, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri – stante la coincidenza del petitum, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2.− L’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014, come convertito dalla legge n. 116 del 2014 − «Al fine [dichiarato sub comma 1] di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» − prevede nuove modalità di erogazione delle tariffe incentivanti dell’energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, riconosciute in base all’articolo 7 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno) e dall’articolo 25, comma 10, del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
E, in coerenza a tali obiettivi, nel denunciato suo comma 3, testualmente dispone che «A decorrere dal 1° gennaio 2015, la tariffa incentivante per l’energia prodotta dagli impianti di potenza nominale superiore a 200 kW è rimodulata, a scelta dell’operatore, sulla base di una delle seguenti opzioni da comunicare al GSE entro il 30 novembre 2014: a) la tariffa è erogata per un periodo di 24 anni, decorrente dall’entrata in esercizio degli impianti, ed è conseguentemente ricalcolata secondo la percentuale di riduzione indicata nella tabella di cui all’allegato 2 al presente decreto; b) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è rimodulata prevedendo un primo periodo di fruizione di un incentivo ridotto rispetto all’attuale e un secondo periodo di fruizione di un incentivo incrementato in ugual misura. Le percentuali di rimodulazione sono stabilite con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, da emanare entro il 1° ottobre 2014 in modo da consentire, nel caso di adesione di tutti gli aventi titolo all’opzione, un risparmio di almeno 600 milioni di euro all’anno per il periodo 2015-2019, rispetto all’erogazione prevista con le tariffe vigenti; c) fermo restando il periodo di erogazione ventennale, la tariffa è ridotta di una quota percentuale dell’incentivo riconosciuto alla data di entrata in vigore del presente decreto, per la durata residua del periodo di incentivazione, secondo le seguenti quantità: 1) 6 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 200 kW e fino alla potenza nominale di 500 kW; 2) 7 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 500 kW e fino alla potenza nominale di 900 kW; 3) 8 per cento per gli impianti aventi potenza nominale superiore a 900 kW. In assenza di comunicazione da parte dell’operatore il GSE applica l’opzione di cui alla lettera c)».
Nella coincidente prospettazione di tutte le ordinanze di rimessione, la norma suddetta contrasterebbe con:
gli artt. 3 e 41 Cost., determinando la lesione del principio di legittimo affidamento, in conseguenza della sua incidenza ingiustificata sulle posizioni di vantaggio consolidate e riconosciute contrattualmente ai fruitori degli incentivi, che non avrebbero potuto prevedere la sopravvenuta modifica peggiorativa del rapporto di durata precedentemente concluso con il GSE. E, con ciò, contravvenendo alle garanzie di stabilità dei regimi incentivati già in corso e mantenute in occasione delle pregresse rimodulazioni, con fisiologica ripercussione degli effetti negativi sulle scelte (ispirate al canone di “prudenza ed accortezza”) di libera iniziativa economica imprenditoriale dei titolari degli impianti produttori di energia alternativa a quella proveniente da fonte solare di potenza superiore a 200 kW, non adeguatamente compensati da un idoneo meccanismo statale in grado di coprire le prevedibili perdite finanziarie future;
gli stessi artt. 3 e 41 Cost., per l’irragionevolezza della ingiusta penalizzazione dei soli produttori (considerati di maggiori dimensioni) di energia alternativa a quella proveniente da fonte solare di potenza superiore a 200 kW, e per la disparità del trattamento loro riservato rispetto ad enti locali e scuole, titolari di impianti di pari potenza, esentati dalla rimodulazione degli incentivi; con ulteriore correlato vulnus al principio della concorrenza e della libertà di iniziativa economica per effetto del pregiudizio arrecato ai suddetti produttori impossibilitati ad operare sul mercato a parità di condizioni con gli altri produttori da fonte solare (e, più in generale, di energia rinnovabile);
gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 1, Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea, sul presupposto che tali parametri sovranazionali legittimino l’interferenza statale solo in presenza di un preminente interesse generale, mentre, nella specie, la sottrazione di parte dei crediti spettanti ai produttori di energia da impianti fotovoltaici in virtù delle convenzioni stipulate con il GSE non sarebbe giustificata, siccome lesiva del principio di proporzionalità, non risultando l’intervento della pubblica autorità adeguatamente bilanciato dalla finalità di diminuire le tariffe elettriche in favore di alcune categorie di consumatori;
l’art. 77 Cost., in relazione al difetto dei presupposti per provvedere nelle forme del decreto-legge, non riportando il preambolo del decreto, a differenza del titolo, alcuna motivazione a sostegno della specifica normativa disciplinata, oltretutto costituente parte di un insieme di misure eterogenee per le imprese non ispirate al perseguimento di una finalità unitaria e caratterizzata da contenuti non tutti suscettibili di applicazione immediata.
2.1.− Il precedente comma 2 dell’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 – con riferimento in questo caso, agli impianti di qualsiasi potenza nominale − a sua volta, dispone che «A decorrere dal secondo semestre 2014, il Gestore dei servizi energetici spa eroga le tariffe incentivanti di cui al comma 1, con rate mensili costanti, in misura pari al 90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione ed effettua il conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo. Le modalità operative sono definite dal GSE entro quindici giorni dalla pubblicazione del presente decreto e approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico».
Detta norma, incidente sulle modalità di applicazione della tariffa, violerebbe anch’essa, secondo il TAR rimettente, gli artt. 3, 41 e 77 Cost., oltre che per le ragioni già esposte in relazione al successivo comma 3, perché la sua dichiarata (sub comma 1) finalità di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi avverrebbe a scapito del fruitore degli stessi, il quale, in particolare per il primo anno, subirebbe il pregiudizio economico della ritardata percezione del 10 percento dell’incentivo (qualificato) in termini di «conguaglio», essendo differita al 30 giugno dell’anno successivo l’erogazione dell’incentivo dovuto in base alla produzione effettiva.
3.− Preliminarmente va confermata l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE) nel giudizio n. 37 del 2016, per le motivazioni di cui all’allegata ordinanza resa in udienza.
4.− Sempre in limine, va esaminata la duplice eccezione di inammissibilità, delle su riferite questioni, formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, rispettivamente:
(a) sul rilievo di un loro difetto di incidentalità, poiché prospettate attraverso «una lis ficta», in quanto «sub specie di impugnazione di provvedimenti amministrativi» i ricorrenti attiverebbero, in realtà, «un giudizio di impugnazione, “in via immediata e diretta”, dell’art. 26, commi 2 e 3, del d.l. n. 91 del 2014»;
(b) in ragione di una asserita non pertinenza del correlativo petitum al proprium del giudizio di costituzionalità, poiché «l’affermazione del (preteso) diritto alla conservazione delle condizioni preesistenti […] sarebbe realizzabile solo attraverso un vero e proprio “intervento additivo non rientrante nei poteri della Corte costituzionale ma nelle scelte discrezionali del legislatore”».
5.− Nessuna di tali eccezioni è fondata.
5.1.− Quanto alla prima, è sufficiente ricordare come l’incidentalità sia stata reiteratamente riscontrata nei casi (come appunto quello che ne occupa) in cui le doglianze mosse contro provvedimenti o norme secondarie non potrebbero altrimenti essere accolte che a seguito dell’eventuale accoglimento della questione di legittimità proposta nei confronti della disposizione di legge da quei provvedimenti applicata (sentenze n. 151 del 2009, punto 4.4; n. 303 del 2007, punto 6.1; n. 4 del 2000, punto 2.2, del Considerato in diritto).
Neppure vi è, del resto, nel caso di specie, l’asserita identità tra il petitum del giudizio incidentale di legittimità e il petitum dei giudizi a quibus. Infatti, l’eventuale accoglimento dell’impugnativa del d.l. n. 91 del 2014 non si identificherebbe con il petitum dei giudizi di merito, ma, rispetto a questi, costituirebbe solo la pregiudiziale logico-giuridica per l’accoglimento della duplice domanda dei ricorrenti volta all’annullamento dei provvedimenti impugnati ed all’accertamento del conseguente loro diritto alla corresponsione degli incentivi nella misura indicata nelle Convenzioni rispettivamente stipulate con il GSE.
5.2.− Priva di fondamento è anche la seconda eccezione, poiché ciò che i rimettenti auspicano è non già l’intervento “additivo”, che l’Avvocatura dello Stato assume riservato alla discrezionalità del legislatore, ma un intervento “demolitorio” della normativa impugnata, che ne elimini il deprecato automatico impatto in peius sulle condizioni dei rapporti in corso.
Vale a dire che ciò che richiedono i giudici a quibus non altro è che una declaratoria di illegittimità costituzionale della normativa denunciata: provvedimento che proprio (e solo) a questa Corte compete di adottare.
6.− Anche il GSE ha formulato varie eccezioni di inammissibilità.
Tali eccezioni – non avendo un contenuto ostativo all’esame delle questioni sollevate, ed essendo sostanzialmente, invece, rivolte a contestare le argomentazioni poste a base delle singole censure articolate nelle ordinanze di rimessione, eccependone, con formula di stile, la «inammissibilità e infondatezza» – vanno più propriamente rimesse al correlativo esame nel merito.
7.− La censura di violazione dell’art. 77 Cost., ancorché prospettata dal Tribunale a quo solo in via residuale, va esaminata con carattere di priorità, per essere logicamente pregiudiziale rispetto ad ogni altra doglianza, configurandosi come potenzialmente assorbente della sua valutazione in caso di eventuale accoglimento.
Nella (comune) prospettazione delle numerose ordinanze di rinvio, il contrasto del comma 3 e (nelle sole tre ordinanze di cui si è sopra detto anche) del comma 2 dell’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 è motivato sulla base della «circostanza che, pur rinvenendosi nel titolo del d.l. n. 91 del 2014 il riferimento al “rilancio e [al]lo sviluppo delle imprese” e al “contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche”, nel preambolo del provvedimento non si rinviene tuttavia esplicitazione di tali punti». Da ciò inferendosi che alle disposizioni censurate − in quanto eterogenee ed eccentriche rispetto al contenuto ed alle finalità del menzionato decreto – non potrebbero riferirsi i presupposti della straordinaria necessità ed urgenza, che legittimano l’adozione del decreto-legge. Presupposti, dai quali le disposizioni impugnate non potrebbero, per di più, ritenersi assistite anche perché recanti misure di non immediata applicazione.
7.1.− La censura così formulata è priva di fondamento.
7.1.1.− In primo luogo, non si ravvisa l’asserita estraneità delle disposizioni scrutinate rispetto al decreto-legge che le contiene.
Non si vede, infatti, quale rilievo possa attribuirsi al dato formale della mancata esplicitazione, nel preambolo, degli obiettivi (pur espressamente indicati nel titolo) relativi al rilancio dell’impresa ed al contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, una volta che l’intero (omogeneo) capo III del d.l. n. 91 del 2014 – rubricato «Disposizioni urgenti per le imprese» − contiene ben quattordici articoli (dal 23 al 30 sexies) dedicati al settore delle energie, ed all’interno di questo si colloca, appunto, il censurato art. 26 che (come indicato nell’incipit del suo comma 1) proprio quegli obiettivi si propone di realizzare nello specifico ambito delle energie prodotte da impianti fotovoltaici, in piena coerenza, quindi, con lo scopo unitario della «crescita economica», che accomuna i plurimi interventi operati dal decreto in esame, relativi a materie, se pur diverse, del pari, però, richiedenti rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare (ex plurimis, sentenze n. 22 del 2012, n. 128 del 2008, n. 171 del 2007).
7.1.2.− Neppure è poi fondato il rilievo per cui il decreto-legge conterrebbe «anche misure che non sono “di immediata applicazione”, come sancito dall’articolo 15, comma 3, l. n. 400/88», quali quelle sulla cedibilità di quota dell’incentivo ad un acquirente selezionato e sul recesso dai contratti di finanziamento (commi da 7 a 12 del citato art. 26), perché l’obiettivo immediato del decreto legge, con la rimodulazione delle incentivazioni sulla base dell’opzione effettuata dall’operatore e comunque, in caso negativo, con l’imposizione ex lege di una delle tre alternative, è d’immediata applicazione e ne realizza di per sé la finalità.
E ciò a prescindere dalla considerazione che la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito.
8.− Le censure di violazione dei residui parametri costituzionali ed europei evocati nelle ordinanze di rimessione condividono un motivo di fondo costituito dal vulnus che l’impugnato comma 3 dell’art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 avrebbe arrecato al legittimo affidamento riposto, dai fruitori degli incentivi in questione, nella conservazione delle posizioni di vantaggio consolidate loro riconosciute nelle convenzioni stipulate con il GSE.
8.1.− In linea di principio, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica costituisce un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (sentenze n. 822 del 1988 e n. 349 del 1985). Ma – come chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (in consonanza anche con quella della Corte EDU) – la tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò «anche se il loro oggetto sia costituito dai diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)», fermo restando tuttavia che dette disposizioni, «al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica[recte: giuridica]» (sentenza n. 822 del 1988; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016; n. 64 del 2014; n. 1 del 2011; n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999).
8.2.− L’esame della ratio e del contenuto della norma impugnata induce ad escludere che questa abbia inciso all’interno dei rapporti di durata, riconducibili alle convenzioni stipulate dai fruitori degli incentivi di che trattasi con il GSE, in modo irragionevole, arbitrario e imprevedibile, così da ledere – come si denuncia – il principio evocato.
Il legislatore del 2014 è intervenuto, infatti, in un contesto congiunturale nel quale – a fronte della remuneratività delle tariffe incentivanti per l’energia solare prodotta da fonte fotovoltaica, rivelatasi progressivamente più accentuata, sia rispetto anche ai costi di produzione (in ragione del repentino sviluppo tecnologico del settore), sia rispetto al quadro complessivo europeo – era venuto specularmente in rilievo il crescente peso economico di tali incentivi sui consumatori finali di energia elettrica (in particolare sulle piccole e medie imprese costituenti il tessuto produttivo nazionale).
Ed ha operato, con logica perequativa, al dichiarato fine di «favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili» (art. 26, comma 1, d.l. n. 91 del 2014) e di «pervenire ad una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici», prevedendo a tal proposito che i minori oneri per l’utenza derivanti dalla rimodulazione degli incentivi per gli impianti fotovoltaici siano, appunto, «destinati alla riduzione delle tariffe elettriche dei clienti di energia elettrica in media tensione e di quelli in bassa tensione […]» (art. 23 d.l. citato).
È, dunque, quello in esame un intervento che risponde ad un interesse pubblico, in termini di equo bilanciamento degli opposti interessi in gioco, volto a coniugare la politica di supporto alla produzione di energia da fonte rinnovabile con la maggiore sostenibilità dei costi correlativi a carico degli utenti finali dell’energia elettrica.
Gli incentivi al fotovoltaico rientrano, infatti, tra i cosiddetti oneri generali del sistema elettrico e sono posti (anche) a carico del cliente finale, che li paga direttamente, in ragione della copertura di cui alla componente A/3 della bolletta elettrica.
8.3.− Anche il TAR rimettente riconosce, del resto, che «non sono certo contestabili gli scopi complessivi avuti di mira dal legislatore che intende “pervenire a una più equa distribuzione degli oneri tariffari fra le diverse categorie di consumatori elettrici”, distribuendo tra costoro “i minori oneri per l’utenza” derivanti, tra le altre, dalle misure dell’art. 26», ma sostiene che la disposizione impugnata sarebbe, comunque, lesiva del principio dell’affidamento – in danno della platea dei titolari di impianti fotovoltaici con potenza superiore ai 200 KW – per il carattere «improvviso ed imprevedibile» dell’operata rimodulazione riduttiva di incentivi che, sulla base della pregressa legislazione di settore e in adesione alle indicazioni di carattere europeo, sarebbero stati loro concessi con garanzia di “stabilità”.
Al riguardo, i giudici a quibus richiamano la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale una mutazione ex lege dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in modo, appunto, «improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014 e n. 302 del 2010.
Ma un tal principio non può dirsi, in realtà, violato dalla normativa scrutinata.
In consonanza con le linee di indirizzo di fonte internazionale ed europea, la politica di supporto alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili ha preso avvio nel mercato interno, con le misure di incentivazione introdotte dal decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno) ed è proseguita con il successivo decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE).
L’art. 7 del citato d.lgs. n. 387 del 2003 – rubricato «Disposizioni specifiche per il solare» − prende, appunto, in considerazione la produzione di elettricità mediante conversione fotovoltaica della fonte solare e demanda a «uno o più decreti» interministeriali (del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e d’intesa con la Conferenza unificata) la definizione dei criteri di incentivazione, al fine, tra l’altro, di «garantire una equa remunerazione dei costi di investimento e di esercizio».
I decreti adottati in base a detto articolo 7 sono noti con la denominazione di “conti energia” e sono identificati con numero ordinale progressivo in relazione alle versioni via via succedutesi, con le quali sono state avviate cinque diverse procedure di accesso alle incentivazioni.
Ora è pur vero che, nel contesto di tale complessivo quadro normativo, l’introduzione del regime di sostegno delle energie rinnovabili si presenta assistito da caratteristiche di stabilità a lungo termine per rispondere all’esigenza di creare certezza per gli investitori; e che, su questa linea in particolare il d.lgs. n. 28 del 2011 – che, secondo il TAR avrebbe «amplificato» la percezione di una tale «stabilità» – dispone che «l’incentivo resta costante per tutto il periodo di diritto» (art. 24, comma 2, lettera c).
La garanzia di costanza dell’incentivo per tutto il periodo di diritto non implica però, come necessaria conseguenza, che la correlativa misura debba rimanere, per venti anni, immutata e del tutto impermeabile alle variazioni proprie dei rapporti di durata. Ciò ancor più ove si consideri che le convenzioni stipulate con il Gestore non sono riducibili a contratti finalizzati ad esclusivo profitto dell’operatore − che dovrebbe vedere ferme le condizioni iniziali, per vent’anni, anche ove le condizioni tecnologiche mutino profondamente − ma costituiscono strumenti di regolazione, volti a raggiungere l’obiettivo dell’incentivazione di certe fonti energetiche nell’equilibrio con le altre fonti di energia rinnovabili, e con il minimo sacrificio per gli utenti che pure ne sopportano l’onere economico.
Nella sequenza evolutiva della normativa di settore non mancano, del resto, indicazioni di segno contrario alla pretesa consolidazione di un “diritto quesito” dei fruitori dell’incentivo a conservarne immutata la misura originaria per l’intero ventennio di convenuta durata del rapporto.
Il citato d.lgs. n. 28 del 2011 (sub art. 23, comma 1) coniuga espressamente l’obiettivo della «stabilità nel tempo dei sistemi di incentivazione» con quelli di «armonizzazione con altri strumenti di analoga finalità e […] riduzione degli oneri di sostegno specifici in capo ai consumatori».
Su questa linea, il d.m. 6 agosto 2010 (terzo conto energia), adottato sulla base del precedente d.lgs. n. 387 del 2003, già richiamava la necessità di intervenire al fine di adeguare le tariffe incentivanti alla luce della decrescita dei costi della tecnica fotovoltaica per rispettare il principio di equa remunerazione degli investimenti.
Il d.m. 5 maggio 2011 (quarto conto energia), sub art. 2, comma 3, prevedeva, a sua volta, la possibilità di rivedere le modalità di incentivazione.
Nella Convenzione-tipo, approvata con delibera dell’AEEG del 6 dicembre 2012, si legge poi, testualmente (sub art. 17, punto 17.3), che «Il GSE si riserva di modificare unilateralmente le clausole della presente Convenzione che, per effetto di eventuali evoluzioni normative e regolamentari, siano in contrasto con il vigente quadro di riferimento».
E il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2014, n. 9, immediatamente precedente alla normativa censurata, ancora una volta sottolineava, in premessa, la «straordinaria necessità ed urgenza di emanare misure per l’avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas», quali fattori essenziali di rilancio della competitività delle imprese e di attrazione di investimenti nel nostro Paese.
Tutto ciò induce ad escludere che la rimodulazione degli incentivi attivata dalla disposizione impugnata presenti gli asseriti caratteri di “imprevedibilità”, risultando la stessa anzi, in qualche modo, preannunciata e finalizzata proprio ad assicurare la “stabilità” presa in considerazione dalle leggi istitutive degli incentivi al fotovoltaico, come caratteristica dell’intero sistema e non del singolo incentivo; oltre a costituire (nel quadro di un mercato “regolato” di settore, come quello di cui si discute) un elemento fisiologicamente riconducibile al rischio normativo di impresa.
8.4.− Dubita ancora il TAR rimettente che sia, comunque, irragionevole e sproporzionata «la leva» con cui il legislatore ha inteso operare con la disposizione impugnata.
Anche tale censura risulta, però, destituita di fondamento.
La denunciata rimodulazione dell’incentivo non incide radicalmente sugli investimenti effettuati, come (solo in astratto e senza concreti riscontri nei giudizi a quibus) si prospetta, ma appare viceversa declinata in modo da tener conto della loro sostenibilità.
In alternativa all’intervento, residuale, di riduzione della tariffa incentivante nella (non eccessiva) misura dal 6 all’8 per cento (per gli impianti di potenza nominale, rispettivamente, da 200 a 500, da 500 a 900, ovvero superiore a 900 kW) – ferma restandone l’erogazione ventennale – è lasciata, infatti, al titolare dell’impianto una diversa duplice opzione: quella, cioè, di bilanciare la riduzione dell’incentivo con il prolungamento, per ulteriori quattro anni, del periodo di sua erogazione, ovvero quella di affiancare ad un primo periodo di riduzione della tariffa incentivante un periodo successivo di suo incremento in «egual misura».
La rimodulazione della tariffa, così articolata, è, inoltre, accompagnata da benefíci compensativi, come la possibilità per i fruitori delle tariffe rimodulate di accedere a finanziamenti bancari per un importo massimo pari alla differenza tra l’incentivo attuale e l’incentivo rimodulato [finanziamenti di cui possono beneficiare, cumulativamente o alternativamente, sulla base di apposite convenzioni con il sistema bancario, di provvista dedicata o di garanzia concessa dalla Cassa Depositi e Prestiti (art. 26, comma 5)], o come la cessione degli incentivi ad un «acquirente selezionato tra i primari operatori finanziari europei» (art. 26, commi 7 e seguenti, del d.l. 91 del 2014).
Gli investimenti restano conclusivamente, in tal modo, salvaguardati dalla gradualità della rimodulazione, dalle varietà delle opzioni previste dalla legge e dalle misure compensative (che consentono di attenuare l’incidenza economica della riduzione dell’incentivazione), restandone, pertanto, assicurata l’equa remunerazione.
9.− Stante la sostanziale coincidenza degli indici sintomatici della lesione del principio dell’affidamento elaborati nella giurisprudenza di questa Corte e in quella delle Corti europee, resta conseguentemente esclusa anche la denunciata violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU, ed all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato UE.
Il principio di “protezione della proprietà”, esteso ai diritti di credito, di cui al citato art. 1 del Protocollo CEDU, non è di ostacolo infatti, ad interferenze da parte della pubblica autorità in presenza di un interesse generale (Corte EDU, sentenza 14 febbraio 2012, Arras e altri c. Italia) e, al fine della verifica di sussistenza di un tale interesse e della congruità delle sue modalità attuative, è riconosciuto, a ciascuno Stato membro, un ampio margine di apprezzamento (Corte EDU, sentenza della Grande Camera, 29 marzo 2010, Depalle c. Francia; Corte EDU, sentenza della Grande Camera, 26 giugno 2012, Herrmann c. Germania).
A sua volta, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella nota sentenza Plantanol GmbH & Co KG c. Hauptzollamt Darmstadt (C-201/08 del 10 settembre 2009), citata anche nelle ordinanze di rimessione, ha riconosciuto che l’abolizione anticipata di un regime di favore rientra nel potere discrezionale delle Autorità nazionali, incontrando ostacolo solo nell’affidamento che nel mantenimento dello stesso potrebbe porre l’«operatore economico prudente e accorto».
E, per quanto in precedenza osservato, l’intervento del legislatore, del quale qui si discute, non è stato imprevedibile né improvviso, per cui l’«operatore economico prudente e accorto» avrebbe potuto tener conto della possibile evoluzione normativa, considerate le caratteristiche di temporaneità e mutevolezza dei regimi di sostegno.
10.− Non maggior fondamento ha la denuncia di violazione degli artt. 3 e 41 Cost. in relazione agli ipotizzati profili di disparità di trattamento.
La diversa dimensione degli impianti, di potenza rispettivamente inferiore o superiore ai 200 kW, di per sé giustifica, infatti, la rimodulazione delle tariffe solo relativamente a quelli di portata eccedente i 200 kW, che assorbono la maggior quantità di incentivi, con corrispettivo maggior onere sul sistema.
L’esclusa riferibilità della rimodulazione agli impianti, di portata pur superiore ai 200 kW, nella titolarità di enti locali o scuole neppure poi autorizza a configurare la disparità di trattamento per tal profilo prospettata, stante l’evidente non omogeneità delle categorie di soggetti così comparate, e le ragioni di rispondenza a pubblico interesse della deroga in favore di enti e scuole.
Né maggior consistenza ha, infine, l’ipotesi adombrata di deteriore trattamento dei produttori da fonte solare rispetto agli altri percettori di incentivi parimenti finanziati dagli utenti attraverso i cosiddetti oneri generali di sistema.
Anche per questo aspetto, il giudice a quo (che pur fa riferimento all’accentuato sviluppo del fotovoltaico) non conferisce adeguato rilievo alle ragioni (tra cui la dimensione degli impianti) che sono alla base della diversificata normativa di accesso alle incentivazioni pubbliche, rispettivamente adottata per il fotovoltaico e per le altre fonti rinnovabili di energia.
11.− Non sussiste, infine, la lesione dell’autonomia privata, prospettata in ragione dell’incidenza, della contestata riduzione delle tariffe incentivanti, su «negozi di diritto privato».
A prescindere dalla accessorietà di detti “negozi” a provvedimenti di concessione dell’incentivo, viene, infatti, nel caso in esame, in rilievo il principio – più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte – per cui non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 203 del 2016, n. 56 del 2015, n. 247, n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009). Condizioni, queste, che, per quanto dimostrato, risultano entrambe rispettate dall’intervento di riduzione e rimodulazione degli incentivi qui scrutinato.
12.− Conclusivamente, l’impugnata disposizione di cui all’art. 26, comma 3, del d.l. n. 91 del 2014 supera il vaglio di costituzionalità in relazione ad ognuno dei parametri evocati nelle ordinanze di rimessione.
13.− La questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui al precedente comma 2 dell’impugnato art. 26 del d.l. n. 91 del 2014 – sollevata (nelle sole tre ordinanze del TAR Lazio di cui si è innanzi detto), con generico rinvio alle medesime censure rivolte al comma 3, in termini di incompatibilità dell’intervento normativo con i precetti di cui agli artt. 3, 41 e 77 Cost. – è, alla stregua delle considerazioni che precedono, a sua volta, conseguentemente non fondata.
Per altro, la nuova modalità di pagamento delle tariffe incentivanti – introdotta dal suddetto comma 2 dell’art. 26 in esame (con riguardo anche agli impianti di potenza inferiore ai 200KW) – non è tale da penalizzare gli operatori del settore, ai quali anzi garantisce, a regime, una maggiore certezza e stabilità dei flussi finanziari, per effetto del previsto meccanismo di anticipazione-conguaglio, basato sulla corresponsione di rate mensili, di importo costante, corrispondenti al «90 per cento della producibilità media annua stimata di ciascun impianto, nell’anno solare di produzione» e successivo «conguaglio, in relazione alla produzione effettiva, entro il 30 giugno dell’anno successivo».
per questi motivi
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela dell’ambiente e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, sollevata − in riferimento agli articoli 3, 11, 41, 77 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1958, n. 848 e all’art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea − dal Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, con le sessantatre ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 2, dello stesso d.l. 91 del 2014, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 116, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 41 e 77 Cost., dal Tribunale regionale amministrativo del Lazio, sezione III-ter, con le tre ordinanze di cui ai numeri di reg. ord. 254 e 255 del 2015, e reg. ord. n. 37 del 2016.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 dicembre 2016.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 6 dicembre 2016
Ordinanza
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione III-ter) depositata il 25 giugno 2015 (r.o. n. 37 del 2016).
Rilevato che in tale giudizio il 29 marzo 2016 ha depositato atto di intervento la Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE);
che detta Federazione non è stata parte nel giudizio a quo.
Considerato che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, si vedano le ordinanze allegate alle sentenze n. 237 e n. 82 del 2013, n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001) è nel senso che la partecipazione al giudizio incidentale di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale);
che a tale disciplina è possibile derogare – senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità – soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura;
che, pertanto, l’incidenza sulla posizione soggettiva dell’interveniente non deve derivare, come per tutte le altre situazioni sostanziali governate dalla disposizione denunciata, dalla pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, ma dall’immediato effetto che la pronuncia della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo;
che, dunque – essendo l’ANIE titolare non già di un interesse direttamente riconducibile all’oggetto del giudizio principale, sibbene di un mero indiretto, e più generale, interesse, connesso al suo scopo di «”tutela sul piano tecnico-economico e di immagine dell’industria del settore delle energie rinnovabili e la trattazione dei problemi di specifico interesse del settore medesimo”» – il suo intervento, in questo giudizio, deve essere dichiarato inammissibile;
che non rileva, in contrario, che la Federazione suddetta abbia, come deduce, proposto innanzi al medesimo TAR Lazio un ricorso analogo a quello proposto dalle società, imprese e associazioni ricorrenti nel giudizio principale che ne occupa, poiché quello cui l’ANIE fa riferimento è giudizio diverso da quello a quo, le cui parti soltanto sono legittimate, per quanto detto, a costituirsi nel presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale.
Per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara inammissibile l’intervento della Federazione Nazionale delle Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE).