Sentenza della Corte costituzionale 7 aprile 2014, n. 88

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G.U. 16 aprile 2014, n. 17

Con la sentenza n. 88/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 10, co. 5, e 12, co. 3, della l. n. 243/2012 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione). I giudizi di legittimità costituzionale erano stati sollevati dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento le quali ritenevano che le norme censurate violassero le proprie prerogative costituzionali e statutarie. In particolare, esse lamentavano che le suddette norme, prevedendo una disciplina più dettagliata in materia di indebitamento pubblico rispetto a quella più favorevole contenuta nei propri statuti, eccedesse i limiti dell’intervento statale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Come ha evidenziato la Corte, le norme censurate si collocano all’interno di un quadro normativo sovranazionale e interno complesso. Al riguardo, la Corte ha richiamato il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria del 2012, meglio noto come Fiscal Compact, ratificato dall’Italia con la l. n. 114/2012, sulla base del quale è stato ridisegnato il quadro normativo interno della finanza pubblica. La riforma della finanza pubblica è stata pertanto basata anche sugli artt. 11 e 117, co.1, Cost. (partecipazione dellìItalia alle organizzazioni internazionali, compresa l’UE, e vincoli alla potestà legislative derivanti da obblighi internazionali e comunitari).

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 9, commi 2 e 3, 10, commi 3, 4 e 5, 11 e 12 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), promossi dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento con ricorsi notificati il 16 marzo 2013, depositati in cancelleria il 20 ed il 21 marzo 2013 ed iscritti ai nn. 48 e 49 del registro ricorsi 2013.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’11 febbraio 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato gli artt. 9, commi 2 e 3, 10, commi 3, 4 e 5, 11 e 12, contenuti nel Capo IV, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico», della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione), in quanto violerebbero le proprie prerogative costituzionali e statutarie.

1.1.− Nel rivolgere le proprie censure in primo luogo avverso l’art. 10, esse evidenziano come, a mente dei commi 1 e 2 non impugnati, il ricorso delle autonomie territoriali all’indebitamento sia consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento, e le relative operazioni possano essere effettuate «solo contestualmente all’adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell’investimento, nei quali sono evidenziate l’incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonché le modalità di copertura degli oneri corrispondenti».

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento impugnano, invece, i commi 3, 4 e 5, che sarebbero lesivi delle proprie competenze perché dettano una disciplina analitica e di dettaglio delle operazioni di indebitamento già regolate in maniera più favorevole dagli statuti.

In particolare, ai sensi del comma 3, «Le operazioni di indebitamento di cui al comma 2 sono effettuate sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale che garantiscano, per l’anno di riferimento, l’equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la medesima regione […]»; ciascun ente territoriale «può in ogni caso ricorrere all’indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal proprio bilancio di previsione».

Il comma 4, proseguono le ricorrenti, prevede che, «Qualora, in sede di rendiconto, non sia rispettato l’equilibrio di cui al comma 3, primo periodo, il saldo negativo concorre alla determinazione dell’equilibrio della gestione di cassa finale dell’anno successivo del complesso degli enti della regione interessata, compresa la medesima regione, ed è ripartito tra gli enti che non hanno rispettato il saldo previsto».

Infine, in base al comma 5, «Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato d’intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalità di attuazione del presente articolo».

1.2.− Rammentano le ricorrenti che esse godono di autonomia finanziaria in forza dei propri statuti [artt. 48 e seguenti della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e artt. 69 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige)].

1.2.1.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in particolare, fa presente che ai sensi dell’art. 52 dello statuto ha facoltà di emettere prestiti interni da essa garantiti, per provvedere ad investimenti in opere permanenti, per un importo annuale non superiore alle sue entrate ordinarie; che la sua competenza in materia è collegata anche alla propria autonomia organizzativa, poiché la materia «ordinamento degli uffici» (art. 4, comma 1, numero 1, dello statuto) comprende anche la contabilità regionale, ed essa ha esercitato tale competenza con la legge regionale 8 agosto 2007, n. 21 (Norme in materia di programmazione finanziaria e contabilità regionale), che all’art. 24 regola il ricorso al mercato finanziario, disponendo, al comma 2, che «L’importo complessivo annuale delle rate di ammortamento per capitale e interessi derivante dal ricorso al mercato finanziario non può superare il 10 per cento dell’ammontare complessivo delle entrate derivanti dai tributi propri e dalle compartecipazioni nette di tributi erariali previsto in ciascuno degli esercizi finanziari compresi nel bilancio pluriennale».

1.2.2.− La Provincia autonoma di Trento, invece, rammenta che l’art. 74 dello statuto dispone che «la regione e le provincie possono ricorrere all’indebitamento solo per il finanziamento di spese di investimento, per una cifra non superiore alle entrate correnti»; l’art. 16 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale) statuisce che «Spetta alla regione e alle provincie emanare norme in materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del patrimonio e di contratti della regione e delle province medesime e degli enti da esse dipendenti».

Tale competenza, prosegue la ricorrente, è stata esercitata con la legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7 (Norme in materia di bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di Trento) e dell’indebitamento si occupa, in particolare, l’art. 31. La materia sarebbe ulteriormente regolata dagli artt. 29, 29-bis e 30 del decreto del Presidente della Provincia 29 settembre 2005, n. 18-48/Leg. (Regolamento di contabilità di cui all’articolo 78-ter della legge provinciale 14 settembre 1979, n. 7 e s.m.).

Lo stesso statuto, poi, all’art. 79, regolerebbe in maniera precisa, esaustiva ed esclusiva i modi in cui le Province assolvono gli «obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento comunitario, dal patto di stabilità interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», espressamente prevedendo che «Le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall’articolo 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1», e che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale».

1.3.− Avendo le norme impugnate scopo di «stabilizzazione finanziaria», proseguono le ricorrenti, esse non potrebbero essere unilateralmente imposte alle autonomie speciali, dovendosi seguire il principio dell’accordo, fissato dalla legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2011), e prima ancora dalla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).

Entrambe le ricorrenti precisano di non volersi sottrarre ai principi della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni e dell’equilibrio di bilancio, ma ritengono che la definizione delle loro modalità attuative debba avvenire con le procedure previste dagli statuti.

1.4.− Sotto altro profilo, poi, i commi 3, 4 e 5 dell’art. 10 citato sarebbero illegittimi anche nella parte in cui si applicano ai Comuni insistenti nei territori delle autonomie ricorrenti, avendo esse competenza legislativa in materia di finanza locale [la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia invoca gli artt. 4, comma 1, numero 1-bis), e 54 dello statuto, nonché l’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni) e gli artt. 42 e seguenti della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia); la Provincia autonoma di Trento, gli artt. 80 e 81 dello statuto, come integrati dall’art. 17 del decreto legislativo n. 268 del 1992, nonché l’art. 31 della legge prov. Trento n. 7 del 1979 e l’art. 25 della legge della Provincia di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino)].

Le norme censurate, dunque, violerebbero tali parametri perché disciplinano in modo dettagliato l’indebitamento dei Comuni e, aggiunge la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, avendo scopo di coordinamento della finanza pubblica, violerebbero anche i commi 134, 154 e 155 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010, regolanti in via esclusiva le modalità di realizzazione, da parte delle Regioni autonome e dei loro enti locali, degli obiettivi sui saldi di finanza pubblica concordati con lo Stato.

1.5.− Proseguono le ricorrenti, evidenziando come il comma 5 dell’art. 10 impugnato, in base al quale i criteri e le modalità di attuazione dell’articolo medesimo sono rimessi ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sia illegittimo perché contempla un atto normativo rimesso ad una fonte secondaria statale in un ambito di competenza regionale, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.; e perché viola l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012, che rinvia alla legge la disciplina dell’indebitamento.

1.6.− Le ricorrenti ritengono, ancora, che il comma 5 impugnato sia illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia adottato non d’intesa con la Conferenza unificata ma con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione dei Presidenti di Regione e Provincia.

1.7.− L’illegittimità dell’art. 10, commi 3 e 5, infine, renderebbe «illegittimo anche l’art. 9, commi 2 e 3, nella parte in cui richiamano, rispettivamente, il comma 4 dell’articolo 10, tenendone ferma la disciplina, e “le modalità previste dall’articolo 10” in relazione alla destinazione dei saldi attivi al finanziamento delle spese di investimento».

1.8.− Entrambe le ricorrenti censurano, poi, l’art. 12, rubricato «Concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico», il quale articolo, ai commi 2 e 3, prevede che le Regioni e gli enti locali contribuiscono, «Nelle fasi favorevoli del ciclo economico», al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, in una misura definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del documento di programmazione finanziaria.

Tali norme violerebbero l’autonomia finanziaria delle ricorrenti, poiché una parte delle risorse previste dagli statuti (e in particolare dagli artt. 48 e 49 dello statuto del Friuli-Venezia Giulia e dagli artt. 75 e 79 dello statuto per il Trentino-Alto Adige) verrebbero, mediante l’imposizione del dovere di contribuzione al fondo in parola, ad esse unilateralmente sottratte; e violerebbero altresì l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156, della legge n. 220 del 2010 e, per quanto riguarda la Provincia autonoma di Trento, anche gli artt. 104 e 107 dello statuto: le citate previsioni, infatti, definirebbero in modo esaustivo i modi consensuali in cui le autonomie speciali concorrono al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.

Le norme impugnate, aggiunge la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, prevedendo che gli enti locali concorrano al risanamento della finanza statale, violerebbero anche la già ricordata competenza regionale in materia di finanza locale.

1.9.− L’art. 12, prosegue la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, violerebbe anche l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che si limiterebbe ad affidare alla legge statale la fissazione delle modalità del concorso delle Regioni alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, mentre «l’an ed il quantum del contributo», in relazione alle autonomie speciali, andrebbero determinati secondo le consuete modalità consensuali.

1.10.− L’art. 12, comma 3, infine, secondo entrambe le ricorrenti, violerebbe il principio di leale collaborazione, nella misura in cui prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il citato contributo sia adottato non d’intesa con la Conferenza unificata ma sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione dei Presidenti di Regione e Provincia.

1.11.− La sola Provincia autonoma di Trento, poi, impugna l’art. 11, rubricato «Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali», ed istitutivo, in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, di un fondo alimentato con l’indebitamento statale e destinato ad essere ripartito tra tutti gli enti territoriali.

Nonostante l’art. 11, di per sé, possa essere considerato «favorevole» per la Provincia, viene impugnato «per coerenza» rispetto all’art. 12, «in quanto parte dello stesso meccanismo giuridico complessivo».

Le due questioni sarebbero collegate, nel senso che l’art. 11 prevede un contributo statale in favore degli enti territoriali «nelle fasi avverse del ciclo economico», mentre l’art. 12 prevede «nelle fasi favorevoli» un contributo degli enti territoriali al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. La ricorrente, tuttavia, ritiene di godere, in forza dello statuto, di un regime speciale di «neutralità», nel senso che non deve concorrere al risanamento della finanza pubblica se non nei modi previsti dallo statuto o sulla base di esso.

1.12.− Per la sola ipotesi di non accoglimento delle questioni sopra dette e relative agli artt. 11 e 12, poi, la Provincia ricorrente impugna l’art. 11, comma 3, in quanto violativo del principio di leale collaborazione, laddove prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il fondo sia adottato sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione del Presidente della Provincia, anziché previa intesa con la Conferenza unificata.

2.– In entrambi i procedimenti si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, con motivazioni identiche, che i ricorsi vengano rigettati.

Osserva la difesa erariale come la legge cost. n. 1 del 2012, che ha formalmente introdotto nella Costituzione i principi del pareggio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico, abbia rimodulato gli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost., attribuendo allo Stato competenza esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e specificando l’obbligo per tutti gli enti territoriali del rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci.

Obiettivo primario di tale intervento normativo sarebbe stato quello di assicurare, in coerenza con gli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci pubblici e il rafforzamento del coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale.

Quanto alle disposizioni della legge costituzionale non «incorporate» nella Costituzione, l’art. 5, commi 1 e 2, avrebbe elencato una serie di prescrizioni specifiche destinate ad essere definite da una successiva «legge rinforzata», da approvare a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera ex art. 81, sesto comma, Cost.

Tale legge rinforzata sarebbe una fonte atipica, in quanto a «competenza riservata e dotata di una maggiore forza passiva» rispetto alle leggi ordinarie: in base all’art. 1 della legge medesima, l’abrogazione, la modifica o la deroga alle disposizioni da essa introdotte è possibile solo in modo espresso, attraverso una legge successiva, da approvare sempre a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere. Essa, quindi, conterrebbe norme interposte e, pertanto, sarebbe dotata di «prevalenza gerarchica di tipo contenutistico-sostanziale» sulla legge ordinaria.

Il rispetto dell’equilibrio di bilancio, espressamente enunciato nella nuova formulazione dell’art. 119 Cost., non potrebbe quindi ritenersi un’illegittima limitazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni o degli enti locali, ma andrebbe considerato come una regolamentazione costituzionalmente imposta, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari comunitari da assicurarsi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

Con riferimento, invece, al ricorso all’indebitamento da parte delle Regioni e degli enti locali, l’art. 10 censurato introdurrebbe importanti novità. Esso sarebbe possibile:

1) solo laddove siano contestualmente adottati dei piani di investimento della durata non superiore alla vita utile dell’investimento;

2) apposite intese regionali garantiscano l’equilibrio della gestione di cassa finale del complesso degli enti territoriali della Regione (compresa la Regione medesima). Quest’ultima previsione, peraltro, corrisponderebbe a quanto previsto nel novellato art. 119, ultimo comma, Cost.

Altro vincolo all’amministrazione finanziaria delle Regioni e degli enti locali, poi, sarebbe rappresentato, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, dalla previsione del concorso di tutte le amministrazioni territoriali alla sostenibilità del debito pubblico (art. 12), mediante contribuzione, nelle fasi favorevoli del ciclo economico, ad un fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, in attuazione dei principi costituzionali di solidarietà e unità dell’ordinamento ricavabili dagli artt. 5 e 119 Cost.

Tutte le disposizioni impugnate, dunque, non porrebbero alcuna limitazione all’autonomia finanziaria delle ricorrenti, ma risponderebbero alle prescrizioni imposte dai novellati artt. 81, sesto comma, e 119 Cost., oltre che dall’art. 5, comma 2, lettere b) e c) della legge cost. n. 1 del 2012. Esse, inoltre, sarebbero state dettate nella materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici attribuita alla competenza esclusiva statale e si atteggerebbero a norme interposte alla Costituzione.

Conclude il Presidente del Consiglio dei ministri, ricordando come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia elaborato una nozione ampia dei principi di coordinamento della finanza pubblica e ritenuto legittimo l’intervento statale anche mediante l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, regolazione tecnica e rilevazione di dati e controllo.

3.− La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento hanno depositato memorie con cui hanno evidenziato come la difesa dello Stato ritenga le disposizioni censurate riconducibili all’introduzione del principio costituzionale del rispetto dell’equilibrio di bilancio, da intendersi riferito anche alle autonomie territoriali, e all’art. 5 della legge cost. n. 1 del 2012, il quale regolerebbe il contenuto della legge organica prevista dall’art. 81, sesto comma, Cost.

Ritengono le ricorrenti che la legittimità delle misure imposte dal legislatore statale non possa essere rinvenuta nel citato art. 5, poiché quest’ultimo non fissa limiti quantitativi all’indebitamento, né regolamenta il fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato.

Sostiene poi la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, da un lato, che sarebbe indimostrato che l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., come modificato dall’art. 3 della legge cost. n. 1 del 2012 (mediante attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci), sia applicabile anche alle Regioni speciali; dall’altro, che quest’ultima materia attiene alle regole tecniche di redazione dei bilanci e non agli oggetti regolati dagli artt. 10 e 12 delle legge n. 243 del 2012.

Aggiunge, infine, la Regione ricorrente che l’impugnato art. 10, comma 5, prevede un potere normativo che va oltre la mera «regolazione tecnica», sicché esso non potrebbe, in ogni caso, incidere sulla propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita.

Considerato in diritto

1.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e la Provincia autonoma di Trento hanno impugnato gli artt. 9, commi 2 e 3, 10, commi 3, 4 e 5, 11 e 12, contenuti nel Capo IV, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico», della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione), in quanto violerebbero le proprie prerogative costituzionali e statutarie.

In particolare, secondo entrambe le ricorrenti, i commi 3, 4 e 5 dell’art. 10, rubricato «Ricorso all’indebitamento da parte delle regioni e degli enti locali», detterebbero una disciplina dettagliata nella materia dell’indebitamento già regolata in maniera più favorevole dai rispettivi statuti, eccedendo dai limiti propri dell’intervento statale nella materia del coordinamento della finanza pubblica, violerebbero la loro autonomia finanziaria, invaderebbero la propria competenza legislativa in materia di finanza locale ed eluderebbero il principio consensualistico nella determinazione delle modalità di concorso delle autonomie speciali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica. I parametri invocati sono, quanto alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 4, comma 1, numero 1) e numero 1-bis), 48 e seguenti, 52 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché l’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), gli artt. 42 e seguenti della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia); quanto alla Provincia autonoma di Trento, gli artt. 69 e seguenti, 74, 79, 80, 81 e 104 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché l’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), l’art. 31 della legge della Provincia autonoma di Trento 14 settembre 1979, n. 7 (Norme in materia di bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di Trento), l’art. 25 della legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino); quanto ad entrambe, l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2011) e la legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione).

Il comma 5 del medesimo articolo, poi, contemplerebbe un atto regolamentare statale in un ambito di competenza regionale, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., e violerebbe altresì l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), e il principio di leale collaborazione.

Le ricorrenti hanno altresì impugnato i commi 2 e 3 dell’art. 9, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali», per violazione derivata dall’illegittimità dei richiamati commi 3 e 5 dell’art. 10.

Anche l’art. 12, rubricato «Concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico», violerebbe la loro autonomia finanziaria e il principio consensualistico nella determinazione delle modalità di concorso delle autonomie speciali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica; secondo la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia esso violerebbe anche la propria competenza in materia di finanza locale e l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012 (gli ulteriori parametri invocati sono, quanto al Friuli-Venezia Giulia, gli artt. 48 e 49 della legge cost. n. 1 del 1963, l’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, gli artt. 42 e seguenti della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2006, l’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156 della legge n. 220 del 2010, nonché, quanto alla Provincia autonoma di Trento, gli artt. 75, 79, 104 e 109 del d.P.R. n. 670 del 1972).

Secondo entrambe le ricorrenti, poi, il comma 3 dell’art. 12 − nella parte in cui prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il contributo sia adottato sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, anziché d’intesa con la Conferenza unificata − violerebbe il principio di leale collaborazione.

La sola Provincia autonoma di Trento ha impugnato «per coerenza» l’art. 11, rubricato «Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali», istitutivo di un fondo alimentato con l’indebitamento statale e destinato ad essere ripartito tra tutti gli enti territoriali.

Per l’ipotesi di non accoglimento di queste censure relative agli artt. 11 e 12, la Provincia autonoma di Trento ha infine impugnato l’art. 11, comma 3, in quanto violativo del principio di leale collaborazione.

La Presidenza del Consiglio dei ministri sostiene l’infondatezza complessiva del ricorso sul presupposto che l’intera materia regolata dalla legge n. 243 del 2012 sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato, a seguito dell’inserimento − operato dalla legge cost. n. 1 del 2012 − della «armonizzazione dei bilanci» nella lettera r) del secondo comma dell’art. 117 Cost., nonché in ragione dei princìpi dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico.

2.– In considerazione della sostanziale identità delle norme denunciate e delle censure proposte, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi congiuntamente.

3.– L’impugnazione della legge n. 243 del 2012 è ammissibile, dal momento che, pur trattandosi di una legge “rinforzata”, in ragione della maggioranza parlamentare richiesta per la sua approvazione, essa ha comunque il rango di legge ordinaria e in quanto tale trova la sua fonte di legittimazione – ed insieme i suoi limiti – nella legge cost. n. 1 del 2012, di cui detta la disciplina attuativa.

4.– Le questioni sollevate dalle ricorrenti attengono a tre diversi gruppi di disposizioni, aventi ad oggetto la disciplina dell’indebitamento (art. 10), l’equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti locali (art. 9), il concorso dello Stato e delle Regioni e delle Provincie autonome, rispettivamente, al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali e alla sostenibilità del debito pubblico (artt. 11 e 12).

La tesi prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento a tutte le censure, è che la riforma costituzionale abbia introdotto una nuova competenza esclusiva dello Stato, atta a giustificare l’intero raggio dell’intervento operato con la legge n. 243 del 2012.

5.– Al fine di vagliare la tesi è necessario tratteggiare il quadro normativo sovranazionale e interno in cui si collocano le disposizioni censurate.

Con il patto “Euro Plus”, approvato dai Capi di Stato e di Governo della zona euro l’11 marzo 2011 e condiviso dal Consiglio europeo il 24-25 marzo 2011, gli Stati membri dell’Unione europea si sono impegnati ad adottare misure volte a perseguire gli obiettivi della sostenibilità delle finanze pubbliche, della competitività, dell’occupazione e della stabilità finanziaria, e in particolare a recepire nella legislazione nazionale le regole di bilancio dell’Unione europea fissate nel patto di stabilità e crescita, ferma restando «la facoltà di scegliere lo specifico strumento giuridico nazionale cui ricorrere», purché avente «una natura vincolante e sostenibile sufficientemente forte (ad esempio costituzione o normativa quadro)» e tale da «garantire la disciplina di bilancio a livello sia nazionale che subnazionale».

Con il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (meglio noto come Fiscal Compact), sottoscritto a Bruxelles il 2 marzo 2012 e in vigore dal 1° gennaio 2013, ratificato in Italia con la legge 23 luglio 2012, n. 114 (Ratifica ed esecuzione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria […]), poi, gli Stati contraenti, all’art. 3, comma 2, si sono impegnati a recepire le regole del «patto di bilancio» «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente – preferibilmente costituzionale – o il cui rispetto fedele è in altro modo rigorosamente garantito lungo tutto il processo nazionale di bilancio».

Lo Stato italiano ha ritenuto di adempiere a questi impegni con un’apposita legge costituzionale – la n. 1 del 2012 – la quale, in primo luogo e per quanto qui rileva, ha riformato gli artt. 81, 97, 117 e 119 Cost.

L’art. 81, sesto comma, novellato, afferma per il «complesso delle pubbliche amministrazioni» i principi dell’equilibrio di bilancio tra entrate e spese e della sostenibilità del debito, riservando ad una legge del Parlamento approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, il potere di stabilire, oltre che il contenuto della legge di bilancio, «le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare» l’implementazione dei due menzionati princìpi.

Secondo il nuovo primo comma dell’art. 97 Cost., «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».

L’art. 117 Cost. è stato modificato mediante lo scorporo della «armonizzazione dei bilanci pubblici» dall’endiadi con il «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» e la sua inclusione nell’ambito delle materie attribuite dal secondo comma alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

All’art. 119 Cost. dopo il riconoscimento dell’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle autonomie territoriali, è stata aggiunta la seguente specificazione: «nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci», nonché l’inciso: «concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea». Al secondo periodo del sesto comma, secondo cui le autonomie «Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento», è stato poi aggiunto l’inciso: «con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio».

Sotto il versante delle disposizioni della legge cost. n. 1 del 2012 non incorporate nella Costituzione rilevano in questa sede quelle che determinano il contenuto necessario della legge rinforzata. Ad essa è attribuito, in particolare, il compito di disciplinare «l’introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica» (art. 5, comma 1, lettera e); «le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni» (art. 5, comma 2, lettera c); e, da ultimo, «la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all’indebitamento, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall’articolo 4 della presente legge costituzionale» (art. 5, comma 2, lettera b).

6.− Ebbene, in questa complessa riforma della finanza pubblica, l’unica nuova competenza esclusiva dello Stato, invocata appunto dalla difesa dello Stato, è quella dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, che sino alla modifica operata con la legge cost. n. 1 del 2012 si presentava in «endiadi» (sentenza n. 17 del 2004) con il coordinamento della finanza pubblica.

Essa, tuttavia, non può essere interpretata così estensivamente da coprire l’intero ambito materiale regolato dalla legge n. 243 del 2012: basti a tal fine considerare che la disciplina dell’indebitamento delle autonomie territoriali, qui pure all’esame, è stata da questa Corte ricondotta al coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 284 del 2009, n. 285 del 2007, n. 320 del 2004, n. 376 del 2003), pur sottolineandosi come sia «inscindibilmente connessa» alla «salvaguardia degli equilibri di bilancio» (sentenza n. 70 del 2012).

Altro deve essere dunque l’approccio per definire la natura e la portata dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, pure invocati a sostegno della sua tesi dalla difesa erariale. Come già affermato da questa Corte nel caso analogo del divieto di indebitamento se non per spese di investimento (art. 119, sesto comma, Cost.), questo tipo di disposizioni enunciano «un vincolo […] di carattere generale» (sentenza n. 245 del 2004) a cui deve soggiacere la finanza pubblica.

A differenza del caso precedente, questa volta il legislatore costituzionale non si è limitato a fissare principi generali, lasciando così all’interprete la ricerca dei presupposti giustificativi della disciplina statale attuativa (rinvenuti dalla sentenza citata nell’art. 5 Cost. e nella competenza concorrente del coordinamento della finanza pubblica), ma ha puntualmente disciplinato sia la fonte – la legge rinforzata − sia i suoi contenuti.

Il nuovo sistema di finanza pubblica disegnato dalla legge cost. n. 1 del 2012 ha dunque una sua interna coerenza e una sua completezza, ed è pertanto solo alla sua stregua che vanno vagliate le questioni di costituzionalità sollevate nei confronti della legge.

7.− Le ricorrenti censurano anzitutto i commi 3, 4 e 5 dell’art. 10, che disciplinano l’indebitamento degli enti territoriali: le norme impugnate, avendo natura dettagliata, eccederebbero dai limiti propri dell’intervento statale nella materia del coordinamento della finanza pubblica, ponendosi in contrasto con disposizioni puntuali dei rispettivi statuti già regolanti la materia, violerebbero la loro autonomia finanziaria, invaderebbero la competenza in materia di finanza locale ed eluderebbero il principio consensualistico nella determinazione del concorso delle autonomie speciali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, in violazione dei parametri prima specificati.

7.1.− Alla luce di quanto sin qui chiarito, occorre verificare se le norme censurate trovino copertura nelle nuove disposizioni costituzionali.

Viene in rilievo, al riguardo, l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012, secondo cui la legge rinforzata disciplina «la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all’indebitamento, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall’articolo 4 della presente legge costituzionale». La disposizione, dunque, prevede l’adozione di una disciplina statale attuativa che non appare in alcun modo limitata ai principi generali e che deve avere un contenuto eguale per tutte le autonomie. Pertanto, la circostanza che la normativa censurata abbia un contenuto dettagliato e il fatto che sia più rigorosa di quella contenuta negli statuti delle ricorrenti non comportano violazione del parametro costituzionale.

La garanzia dell’omogeneità della disciplina è connaturata alla logica della riforma, poiché, oggi ancor più che in passato, non si può «ammettere che ogni ente, e così ogni Regione, faccia in proprio le scelte di concretizzazione» (sentenza n. 425 del 2004) dei vincoli posti in materia di indebitamento. Si tratta infatti di vincoli generali che devono valere «in modo uniforme per tutti gli enti, [e pertanto] solo lo Stato può legittimamente provvedere a tali scelte» (sentenza n. 425, citata).

7.2.− Questa esigenza di uniformità, del resto, è il riflesso della natura ancillare della disciplina dell’indebitamento rispetto ai principi dell’equilibrio di bilancio e della sostenibilità del debito pubblico: essa, al pari di questi ultimi, deve intendersi riferita al «complesso delle pubbliche amministrazioni» (così gli attuali artt. 81, sesto comma, e 97 Cost., e, con forme ancora più esplicite, il nuovo art. 119 Cost., nonché l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012). I vincoli imposti alla finanza pubblica, infatti, se hanno come primo destinatario lo Stato, non possono non coinvolgere tutti i soggetti istituzionali che concorrono alla formazione di quel «bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 40 del 2014; si vedano anche le sentenze n. 39 del 2014, n. 138 del 2013, n. 425 e n. 36 del 2004), in relazione al quale va verificato il rispetto degli impegni assunti in sede europea e sovranazionale.

La riforma poggia dunque anche sugli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., oltre che – e soprattutto − sui principi fondamentali di unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.) e di unità economica e giuridica dell’ordinamento (art. 120, secondo comma, Cost.), unità che già nel precedente quadro costituzionale era sottesa alla disciplina della finanza pubblica e che nel nuovo ha accentuato la sua pregnanza.

Si deve aggiungere che l’attuazione dei nuovi principi, e in particolare di quello della sostenibilità del debito pubblico, implica una responsabilità che, in attuazione di quelli «fondanti» (sentenza n. 264 del 2012) di solidarietà e di eguaglianza, non è solo delle istituzioni ma anche di ciascun cittadino nei confronti degli altri, ivi compresi quelli delle generazioni future.

7.3.− Sono pertanto non fondate le censure delle ricorrenti di violazione dell’autonomia finanziaria, della propria competenza in materia di finanza locale e delle altre disposizioni statutarie invocate.

7.4.− Le medesime considerazioni comportano la non fondatezza anche della censura di violazione del principio consensualistico. Difatti, anche per i nuovi vincoli, per quanto più incisivi e pregnanti che in passato, vale il principio enunciato nella più volte citata sentenza n. 425 del 2004, secondo cui la disciplina attuativa dei limiti all’indebitamento posti dall’art. 119, sesto comma, Cost. trova «applicazione nei confronti di tutte le autonomie, ordinarie e speciali, senza che sia necessario all’uopo ricorrere a meccanismi concertati di attuazione statutaria».

8.– Le ricorrenti censurano, poi, il comma 5 dell’art. 10 della legge n. 243 del 2012, in base al quale «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato d’intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, sono disciplinati criteri e modalità di attuazione del presente articolo», perché contemplerebbe un atto normativo rimesso ad una fonte secondaria statale in un ambito di competenza regionale, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost.; e perché violerebbe l’art. 5, comma 2, lettera b), della legge cost. n. 1 del 2012, che rinvia alla legge la disciplina dell’indebitamento.

Sotto altro profilo la norma sarebbe illegittima per violazione del principio di leale collaborazione, in quanto prevede che il decreto sia adottato d’intesa non con la Conferenza unificata ma con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione dei Presidenti della Regione e della Provincia.

8.1.– Le prime due censure, che in quanto strettamente connesse possono essere trattate congiuntamente, sono parzialmente fondate.

Per il loro scrutinio occorre verificare l’ambito operativo del decreto in parola e, in particolare, se esso abbia un contenuto meramente tecnico. Se è indubbiamente corretto, infatti, il rilievo delle ricorrenti, secondo cui la disciplina della materia è affidata dalla legge cost. n. 1 del 2012 alla legge rinforzata, è anche vero che la natura stessa dell’atto legislativo esclude che esso debba farsi carico di aspetti della disciplina che richiedono solo apporti tecnici, cosicché questa Corte ha affermato la legittimità di un tal genere di disciplina con riferimento al parametro di cui all’art. 117, sesto comma, Cost. (sentenze n. 139 del 2012 e n. 278 del 2010).

Poiché, peraltro, il comma censurato si limita a stabilire che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri disciplina criteri e modalità di attuazione dell’art. 10, è con riferimento agli altri commi del medesimo articolo che va individuato l’effettivo spazio precettivo nel quale esso è chiamato a muoversi.

Il primo comma stabilisce che il ricorso all’indebitamento delle autonomie è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento «con le modalità e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato». Nessun compito, dunque, è assegnato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Il secondo comma fissa la regola che le operazioni d’indebitamento sono effettuate solo contestualmente all’adozione dei piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell’investimento e nei quali sono evidenziate sia l’incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri che le modalità di copertura degli oneri corrispondenti.

La prima parte del comma pone dunque un precetto “autoesecutivo”, che non richiede l’individuazione di «criteri e modalità di attuazione».

Questi, per contro, vengono in gioco con riferimento alla seconda parte relativa alla “evidenziazione” della incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari e delle tecniche di copertura degli oneri corrispondenti. Tale attività è riconducibile all’armonizzazione dei bilanci di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. e richiede all’evidenza una disciplina integrativa dal carattere esclusivamente tecnico.

Anche il terzo comma contiene diversi precetti.

Nell’ultima parte viene fissato direttamente il limite quantitativo all’indebitamento, sicché nessuno spazio può avere il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Quanto alla prima parte, relativa alle operazioni d’indebitamento, essa assegna al decreto solo il compito di stabilire le modalità di comunicazione del saldo di cassa e degli investimenti che s’intendono realizzare, con la conseguenza che l’ambito in cui esso è chiamato a muoversi è quello del coordinamento informativo e statistico di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lettera r, Cost.).

Il quarto comma, infine, disciplina, in caso di mancato rispetto dell’equilibrio del bilancio regionale allargato, la ripartizione del saldo negativo tra gli enti territoriali inadempienti, e in questo ambito il decreto potrebbe intervenire a specificare i criteri di riparto. La definizione del suo compito in termini così ampi (l’individuazione di «criteri e modalità di attuazione») potrebbe qui comportare l’esercizio di un potere tanto di natura meramente tecnica, quanto di natura discrezionale. Per evitare tale ultima evenienza e quindi per ricondurre a legittimità costituzionale la norma impugnata, deve essere riservato al decreto un compito attuativo meramente tecnico.

Il comma 5 dell’art. 10, pertanto, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede la parola «tecnica», dopo le parole «criteri e modalità di attuazione» e prima delle parole «del presente articolo».

Naturalmente, qualora il decreto dovesse esorbitare dai limiti tracciati, incidendo così sulle prerogative delle autonomie speciali, resta ferma la possibilità «di esperire i rimedi consentiti dall’ordinamento, ivi compreso, se del caso, il conflitto di attribuzione davanti a questa Corte» (sentenze n. 121 del 2007 e n. 376 del 2003).

8.2.− La censura di violazione del principio di leale collaborazione non è fondata.

Una volta definito e limitato nei sensi indicati il possibile contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, la previsione dell’intesa con la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica appare «una garanzia procedimentale in sé sufficiente» (sentenza n. 376 del 2003; nello stesso senso sentenza n. 121 del 2007) del coinvolgimento delle autonomie, attesa l’opportunità della scelta di una sede connotata anche da competenze tecniche.

9.– Le ricorrenti hanno anche impugnato i commi 2 e 3 dell’art. 9, rubricato «Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali», limitandosi ad affermare che «L’illegittimità dell’art. 10, commi 3 e 5, infine, renderebbe illegittimo anche l’art. 9, commi 2 e 3, nella parte in cui richiamano, rispettivamente, il comma 4 dell’articolo 10, tenendone ferma la disciplina, e le “modalità previste dall’articolo 10” in relazione alla destinazione dei saldi attivi al finanziamento delle spese di investimento».

La questione è inammissibile.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «il ricorso in via principale deve anzitutto “identificare esattamente la questione nei suoi termini normativi”, indicando “le norme costituzionali e ordinarie, la definizione del cui rapporto di compatibilità o incompatibilità costituisce l’oggetto della questione di costituzionalità”, e altresì “contenere una seppur sintetica argomentazione di merito a sostegno della richiesta declaratoria di incostituzionalità della legge” (ex plurimis, sentenze n. 41 del 2013 e n. 114 del 2011, nonché ordinanza n. 123 del 2012), ponendosi l’esigenza di una adeguata motivazione a supporto della impugnativa “in termini perfino più pregnanti nei giudizi diretti che in quelli incidentali” (ordinanza n. 123 del 2012, che menziona anche le sentenze n. 139 del 2006 e n. 450 del 2005)» (sentenza n. 11 del 2014).

Nel caso di specie manca l’indicazione dei parametri costituzionali ritenuti violati e inoltre le argomentazioni svolte dalle ricorrenti a sostegno dell’impugnazione, anche avuto riguardo all’estrema complessità tanto dell’art. 9 quanto dell’art. 10, «non raggiungono quella soglia minima di chiarezza e completezza cui è subordinata l’ammissibilità delle impugnative in via principale (ex plurimis, sentenza n. 312 del 2013)» (citata sentenza n. 11 del 2014).

10.– Come si è anticipato, il terzo gruppo di censure proposte da entrambe le ricorrenti attiene all’art. 12, rubricato «Concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito pubblico», il quale, ai commi 2 e 3, prevede che le Regioni e gli enti locali contribuiscano «Nelle fasi favorevoli del ciclo economico» al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, in una misura definita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla base del documento di programmazione finanziaria.

Le norme censurate violerebbero l’autonomia finanziaria delle ricorrenti, poiché verrebbe ad esse sottratta una parte delle risorse previste dagli statuti, nonché l’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, che si limiterebbe ad affidare alla legge statale la fissazione delle modalità del concorso delle Regioni alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni, mentre «l’an ed il quantum del contributo» in relazione alle autonomie speciali, andrebbe determinato secondo le consuete modalità consensuali.

Le norme impugnate, aggiunge la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, prevedendo che gli enti locali concorrano al risanamento della finanza statale, violerebbero anche la sua competenza in materia di finanza locale.

10.1.– La questione può essere esaminata congiuntamente a quella, promossa dalla sola Provincia autonoma di Trento, relativa all’art. 11, rubricato «Concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali» ed istitutivo, in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera g), della legge cost. n. 1 del 2012, di un Fondo alimentato «dalle risorse derivanti dal ricorso all’indebitamento consentito dalla correzione per gli effetti del ciclo economico del saldo del conto consolidato» e destinato ad essere ripartito tra tutti gli enti territoriali.

Sebbene sia ad essa «favorevole», la ricorrente ne propone l’impugnazione «per coerenza» con le censure rivolte all’art. 12, «in quanto parte dello stesso meccanismo giuridico complessivo».

10.2.– Le questioni non sono fondate.

Non a torto la Provincia autonoma di Trento ha evidenziato la connessione esistente fra i due articoli: l’istituzione contemporanea dei Fondi evidenzia plasticamente come la necessità di garantire, anche a costo di sacrifici non indifferenti, il rigore finanziario (art. 12) non possa essere disgiunta da quella, non meno rilevante, di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni e l’esercizio delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali (art. 11).

Entrambe le previsioni, nella loro complementarità, trovano, dunque, la ragion d’essere in quel complesso di principi costituzionali già richiamati, ed in particolare in quelli di solidarietà e di eguaglianza, alla cui stregua tutte le autonomie territoriali, e in definitiva tutti i cittadini, devono, anche nella ricordata ottica di equità intergenerazionale, essere coinvolti nei sacrifici necessari per garantire la sostenibilità del debito pubblico.

Quanto poi alla censura di violazione dell’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, l’ampiezza della formula usata per individuare il contenuto della legge rinforzata («le modalità attraverso le quali […] le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni»), è tale da comprendere anche i profili relativi all’an ed al quantum della contribuzione, e ciò senza che operi il limite del principio consensualistico, per le stesse ragioni già dette con riferimento alle norme sull’indebitamento.

10.3.– Una ulteriore censura di violazione del principio di leale collaborazione è poi rivolta da entrambe le ricorrenti al comma 3 dello stesso art. 12, nella parte in cui prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, che ripartisce il contributo di cui al medesimo articolo, sia adottato sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, anziché d’intesa con la Conferenza unificata, ove le autonomie territoriali sono maggiormente coinvolte e sono in particolare presenti sia il Presidente della Regione che quello della Provincia.

La questione è fondata.

Se è innegabile che il concorso alla sostenibilità del debito nazionale è un aspetto fondamentale della riforma, è anche vero che esso ha una rilevante incidenza sull’autonomia finanziaria delle ricorrenti. S’impone, quindi, l’esigenza di «contemperare le ragioni dell’esercizio unitario di date competenze e la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite» alle autonomie (sentenze n. 139 del 2012 e n. 165 del 2011; nello stesso senso, sentenza n. 27 del 2010): è quindi indispensabile garantire il loro pieno coinvolgimento.

A tal fine è necessario, in primo luogo, che il procedimento si svolga nell’ambito non della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, bensì della Conferenza unificata, in modo da garantire a tutti gli enti territoriali la possibilità di collaborare alla fase decisionale. Ed è anche necessario che tale collaborazione assuma la forma dell’intesa, considerate l’entità del sacrificio imposto e la delicatezza del compito cui la Conferenza è chiamata.

A quest’ultimo proposito si osserva che ciò non compromette la funzionalità del sistema: questo modulo partecipativo, infatti, non comporta il rischio di uno stallo decisionale, poiché in caso di dissenso, fatta salva la necessaria adozione di «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze» (sentenze n. 179 del 2012, n. 121 del 2010, n. 24 del 2007 e n. 339 del 2005), la determinazione finale può essere adottata dallo Stato (sentenze n. 239 del 2013, n. 179 del 2012, n. 165 e n. 33 del 2011).

Il comma 3 dell’art. 12, pertanto, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede che «Il contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica », anziché «Il contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni».

11.− Per l’ipotesi di non accoglimento delle questioni relative agli artt. 11 e 12 sopra esaminate, la Provincia autonoma di Trento ha infine impugnato l’art. 11, comma 3, della legge n. 243 del 2012, in quanto violativo del principio di leale collaborazione, laddove prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ripartisce il fondo sia adottato «sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica», ove le autonomie territoriali sono coinvolte solo in modo parziale e con esclusione del Presidente della Provincia, anziché previa intesa nell’ambito della Conferenza unificata.

La questione non è fondata, perché l’intervento censurato è riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) nella materia della «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale», sicché va escluso che si imponga nella fattispecie un particolare coinvolgimento delle autonomie (sentenze n. 62 del 2013, n. 299, n. 293 e n. 234 del 2012).

per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione), nella parte in cui non prevede la parola «tecnica», dopo le parole «criteri e modalità di attuazione» e prima delle parole «del presente articolo»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, della legge n. 243 del 2012, nella parte in cui prevede che «Il contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica», anziché «Il contributo di cui al comma 2 è ripartito tra gli enti di cui al comma 1 con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni»;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10, commi 3, 4 e 5, della legge n. 243 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 4, comma 1, numero 1) e numero 1-bis), 48 e seguenti, 52 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), nonché all’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), agli artt. 42 e seguenti della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 9 gennaio 2006, n. 1 (Principi e norme fondamentali del sistema Regione-autonomie locali nel Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e, in riferimento agli artt. 69 e ss., 74, 79, 80, 81 e 104 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), nonché all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), all’art. 31 della legge della Provincia autonoma di Trento 14 settembre 1979, n. 7 (Norme in materia di bilancio e di contabilità generale della Provincia autonoma di Trento), all’art. 25 della legge della Provincia autonoma di Trento 16 giugno 2006, n. 3 (Norme in materia di governo dell’autonomia del Trentino), dalla Provincia autonoma di Trento, nonché, con riferimento all’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge di stabilità 2011) e alla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 5, della legge n. 243 del 2012, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 12 della legge n. 243 del 2012, promosse, in riferimento all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) e agli artt. 75 e 79, 104 e 109 del d.P.R. n. 670 del 1972, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12 della legge n. 243 del 2012, promosse, con riferimento all’art. 5, comma 2, lettera c), della legge cost. n. 1 del 2012, nonché agli artt. 48 e 49, della legge cost. n. 1 del 1963, all’art. 9 del d.lgs. n. 9 del 1997, agli artt. 42 e seguenti della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 1 del 2006, all’art. 1, commi 132, 136, 152 e 156, della legge n. 220 del 2010, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 3, della legge n. 243 del 2012, promossa, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

8) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 2 e 3, della legge n. 243 del 2012, promosse, dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e dalla Provincia autonoma di Trento, con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.