G.U. 15 giugno 2016, n. 24
La Corte costituzionale ha esaminato la questione di legittimità dell’art. 1, co. 476, della l. n.147/2013 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2014), contenente disposizioni in materia di disciplina del lavoro svolto nei giorni festivi da membri delle forze di polizia. Il giudice rimettente aveva indicato, tra i parametri costituzionali, anche l’art. 117, co. 1, Cost. in riferimento all’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti umani, che vieta di adottare norme retroattive idonee a condizionare situazioni processuali in atto. La Corte costituzionale ha giudicato la questione infondata, richiamando sia ulteriore giurisprudenza della Corte europea sia proprie precedenti decisioni. In particolare, nella sentenza n. 150/2015, la Corte ha evidenziato anzitutto che la preclusione costituzionale alla retroattività della legge è limitata alla materia penale e, in secondo luogo, che un intervento del legislatore volto a precisare l’interpretazione di norme esistenti e non già ad innovarle può esplicare effetti retroattivi senza pregiudicare il giusto processo e, anzi, contribuendo alla certezza del diritto.
Sentenza della Corte costituzionale 26 maggio 2015, n. 150
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), promosso dal Consiglio di Stato, quarta sezione giurisdizionale, nel procedimento vertente tra Sgrò David ed altri e il Ministero della giustizia, con ordinanza del 27 aprile 2015, iscritta al n. 197 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2015.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2016 il Giudice relatore Giulio Prosperetti.
Ritenuto in fatto
1.– Il Consiglio di Stato, quarta sezione giurisdizionale, con ordinanza del 27 aprile 2015, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), che così dispone: «L’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, e l’articolo 11, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, si interpretano nel senso che la prestazione lavorativa resa nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale non dà diritto a retribuzione a titolo di lavoro straordinario se non per le ore eccedenti l’ordinario turno di servizio giornaliero. Sono fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato alla data di entrata in vigore della presente legge».
2.– Il giudice a quo ha riferito che i ricorrenti, tutti agenti del Corpo di polizia penitenziaria, per periodi di tempo più o meno lunghi tra il 2004 ed il 2012 avevano prestato attività lavorativa in giorni festivi o da destinare al riposo settimanale ed avevano chiesto, con trentasei separati ricorsi, al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia il compenso per le ore di straordinario prestate, nonché il risarcimento del danno da usura psicofisica patito ovvero, in via subordinata, la determinazione di una indennità supplementare, dovuta in base agli accordi sindacali di categoria.
3.– Secondo quanto evidenziato dal giudice rimettente le pretese avanzate in via principale in primo grado dai ricorrenti traevano sostegno da un indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato, in base al quale il disagio subito per aver prestato attività lavorativa in una giornata deputata al riposo settimanale non è sufficientemente compensato dalla speciale indennità prevista dalla contrattazione collettiva e recepita con decreti del Presidente della Repubblica (in particolare quantificata dall’art. 10, comma 3, del d.P.R. 11 settembre 2007, n. 170, recante «Recepimento dell’accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare – quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007» in euro 5 all’ora, elevato ad euro 8 all’ora dall’art. 15, comma 4, del d.P.R. 16 aprile 2009, n. 51, recante «Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007») che, in base all’espresso dato normativo, serve a compensare la sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero e non assorbe il compenso dovuto per il lavoro straordinario. Ad avviso del Consiglio di Stato il computo di quest’ultimo deve essere effettuato facendo riferimento alle ore eccedenti l’orario di servizio di 36 ore lavorative settimanali, di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 170 del 2007 (cosiddetto criterio di computo “orizzontale”) e non all’eccedenza oraria del solo giorno di riferimento (cosiddetto criterio di computo “verticale”) e l’istituto non va confuso con il “riposo recupero” di cui all’art. 11, comma 5, della legge 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria) – che spetta in ogni caso poiché serve a far recuperare al lavoratore il riposo settimanale di cui non ha fruito – e con il “riposo compensativo”, previsto dagli accordi sindacali quale modalità, alternativa alla monetizzazione, di compensazione del lavoro straordinario.
4.– Il TAR Lombardia, presso cui erano stati incardinati i giudizi di primo grado, aveva rigettato le pretese di pagamento dei ricorrenti, discostandosi dall’indirizzo interpretativo del Consiglio di Stato ritenuto incompatibile con quello espresso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza 6 ottobre 1998, n. 9895, per cui il lavoro prestato il settimo giorno consecutivo, quando è rispettata la cadenza di un giorno di riposo settimanale, non è ontologicamente qualificabile come lavoro straordinario. Pertanto il TAR aveva concluso che, allo svolgimento del normale orario di lavoro nel giorno festivo, deve far seguito un giorno di recupero, rimanendo impregiudicata la questione, da risolvere in sede di contrattazione collettiva, circa l’entità della retribuzione supplementare che compensa la “penosità” del lavoro prestato in una giornata generalmente destinata al riposo.
5.– In secondo grado si era costituito il Ministero della giustizia chiedendo il rigetto degli appelli e la conferma delle sentenze impugnate sulla base della intervenuta norma, sospettata di incostituzionalità, che interpretava le disposizioni dei decreti di recepimento della contrattazione collettiva nel senso ritenuto dal TAR Lombardia.
6.– Il Consiglio di Stato ha rimesso la questione alla Corte ribadendo il proprio precedente orientamento in ordine al computo dello straordinario e ritenendo l’illegittimità costituzionale dello ius superveniens; sotto il profilo della rilevanza ha segnalato che la portata retroattiva della norma, che si autodefinisce interpretativa, ne avrebbe comportato l’applicazione nel giudizio a quo, con conseguente reiezione delle pretese attoree da ritenersi, viceversa, fondate in base all’orientamento fino ad allora seguito dallo stesso giudice rimettente.
7.– In ordine al presupposto della non manifesta infondatezza, il giudice a quo ha denunciato la portata innovativa e non interpretativa della norma impugnata poiché essa è intervenuta su disposizioni aventi ad oggetto la disciplina della indennità da lavoro festivo e avrebbe introdotto una disposizione nuova, relativa alla modalità per il calcolo del lavoro straordinario, non ricavabile in alcun modo dalla lettura del testo originario.
8.– Il carattere dichiaratamente retroattivo della previsione, derivante dal suo autoqualificarsi norma interpretativa, comporterebbe, ad avviso del giudice a quo, la violazione dell’art. 3 Cost. poiché la portata retroattiva di una norma, quando non sia riconducibile alla natura interpretativa di essa, deve essere sorretta da un’adeguata indicazione di motivi imperativi di interesse generale che ne giustifichino l’adozione.
9.– Nella specie il motivo imperativo di interesse generale non può essere ricondotto, secondo l’ordinanza di rimessione, alla mera volontà di evitare un ingente esborso per le casse pubbliche, derivante dall’esito sfavorevole per la pubblica amministrazione del contenzioso in base all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, così che l’effetto retroattivo della disposizione, che opera una consistente limitazione del diritto alla retribuzione equa e proporzionata, tutelato a livello costituzionale dall’art. 36 Cost., risulta privo di ragionevole ed adeguata giustificazione.
10.– Un ulteriore profilo di illegittimità è stato individuato dal giudice a quo nella violazione dell’art. 6 della CEDU le cui disposizioni, nell’interpretazione loro attribuita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, integrano, per costante giurisprudenza costituzionale, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, nella parte in cui impone al legislatore di conformarsi ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
11.– In particolare, tale obbligo non sarebbe stato rispettato poiché i principi di preminenza del diritto e del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU e alla cui logica risponde la preclusione ad adottare norme retroattive idonee a condizionare le situazioni processuali in corso, possono essere incisi solo in presenza di ragioni imperative di interesse generale che risultano assenti nella fattispecie all’esame.
12.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato deducendo l’infondatezza della questione e la legittimità della norma impugnata, la cui adozione sarebbe ragionevole poiché volta a dirimere il dibattito sviluppatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa tra quella di primo grado e quella di secondo grado nel senso innanzi indicato.
13.– La natura interpretativa della norma in questione, d’altronde, sarebbe confermata, a parere della difesa statale, dal tenore letterale dell’art. 10 del d.P.R. n. 170 del 2007 (norma generale per il personale di tutte le Forze di polizia), che, nel caso di attività lavorativa prestata in giorno destinato al riposo settimanale ovvero nel festivo infrasettimanale, mantiene fermo il diritto al recupero e precisa che l’indennità da corrispondere al lavoratore compensa la sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero. Quest’ultimo riferimento renderebbe controversa la questione della modalità di calcolo dell’orario di lavoro per il riconoscimento del diritto al pagamento della retribuzione per il lavoro straordinario. La disposizione censurata sarebbe, dunque, opportunamente intervenuta per chiarire il dettato normativo, operando, peraltro, in maniera coerente con la restante regolamentazione della materia e, in particolare, con la previsione dell’art. 11 della legge n. 395 del 1990. Quest’ultimo, infatti, con riferimento al personale del Corpo di polizia penitenziaria distingue il monte orario settimanale, specificamente menzionato al comma 1 e ripartito in turnazioni giornaliere, dall’attività che dà diritto al compenso per lavoro straordinario che, al comma 2, viene individuata in quella prestata “in eccedenza all’orario” da intendersi riferito ad un orario diverso da quello menzionato al comma 1 e coincidente con quello di servizio giornaliero.
14.– Altresì infondati, a parere dell’Avvocatura generale dello Stato, sarebbero i profili relativi all’art. 36 Cost., dovendo l’equità e la proporzione della retribuzione essere valutate globalmente, e all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, essendosi registrato un notevole contrasto nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, il cui orientamento non è affatto consolidato, che legittima l’intervento normativo effettuato per dirimere l’incertezza interpretativa senza interferire nell’amministrazione della giustizia salvaguardata dall’irretrattabilità dei giudicati già formatisi.
Considerato in diritto
1.– Il Consiglio di Stato, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, della legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014).
Detta norma dispone che l’art. 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, recante «Recepimento dell’accordo sindacale e del provvedimento di concertazione per il personale non dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare – quadriennio normativo 2006-2009 e biennio economico 2006-2007», e l’art. 11, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163, recante «Recepimento dello schema di concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003», che recepiscono gli accordi sindacali di due successivi quadrienni relativi al personale delle forze di polizia «si interpretano nel senso che la prestazione lavorativa resa nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale non dà diritto a retribuzione a titolo di lavoro straordinario se non per le ore eccedenti l’ordinario turno di servizio giornaliero. Sono fatti salvi gli effetti delle sentenze passate in giudicato alla data di entrata in vigore della presente legge».
Le norme regolamentari, di origine contrattuale, cui si riferisce la suddetta disposizione di interpretazione autentica prevedono con identica formulazione che «Fermo restando il diritto al recupero, al personale che per sopravvenute inderogabili esigenze di servizio sia chiamato dall’amministrazione a prestare servizio nel giorno destinato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale è corrisposta un’indennità di € 5,00 [successivamente aumentata ad € 8,00] a compensazione della sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero» (art. 10, comma 3, del d.P.R. n. 170 del 2007 e art. 11, comma 8, del d.P.R. n. 163 del 2002). Inoltre, l’art. 11 comma 3, secondo periodo, del d.P.R. 163 del 2002, dispone che «Le ore eccedenti l’orario di lavoro settimanale che non siano state retribuite devono essere recuperate mediante riposo compensativo entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui sono state effettuate, tenendo presenti le richieste del personale e fatte salve le improrogabili esigenze di servizio».
2.– In proposito, il giudice rimettente ritiene che alla disposizione in esame non possa essere attribuita natura interpretativa con la conseguente portata retroattiva, in quanto la definizione del criterio di computo del lavoro straordinario festivo (oggetto della norma interpretativa) avrebbe carattere innovativo, incidendo su istituti giuridici diversi, quali il riposo‑recupero e il diritto all’indennità compensativa del lavoro giornaliero (oggetto delle norme interpretate).
Inoltre, il rimettente ritiene che la norma censurata violerebbe i menzionati parametri costituzionali per contrasto col principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) con riferimento all’art. 36 Cost., in quanto la sua retroattività, non adeguatamente supportata da una evidente giustificazione, inciderebbe in maniera irragionevole sul diritto ad una retribuzione equa e proporzionata al lavoro svolto.
3.– Il Consiglio di Stato ritiene, difatti, che il disagio subito dal lavoratore, per aver prestato attività lavorativa in una giornata deputata al riposo settimanale, non è sufficientemente compensato dalla speciale indennità prevista dalla contrattazione collettiva come recepita dal d.P.R. 11 settembre 2007, n. 170 e dal d.P.R. 13 giugno 2002, n. 163. Il lavoro festivo, infatti, secondo il giudice a quo, dovrebbe essere compensato quale lavoro straordinario (che si aggiunge all’indennità per lavoro festivo) per l’attività prestata nel giorno ordinariamente destinato al riposo settimanale, tutte le volte che è stato superato l’orario normale di 36 ore settimanali.
4.– La questione non è fondata.
Il Consiglio di Stato ha inteso compensare, qualificandolo come straordinario, quel lavoro festivo non recuperato con un ulteriore giorno di riposo (che nella specie, secondo la normativa collettiva recepita nell’art. 10, comma 4, del d.P.R. n. 170 del 2007, poteva essere fruito nelle quattro settimane successive). Il problema interpretativo consisteva pertanto nello stabilire se il lavoro svolto in giorno festivo andasse retribuito quale straordinario con il superamento su base settimanale delle 36 ore, a prescindere dalla fruizione del riposo recupero.
La norma interpretativa interviene sugli artt. 10 del d.P.R. n. 170 del 2007 e 11 del d.P.R. n. 163 del 2002 che regolano l’orario di lavoro del personale delle forze di polizia e che determinano l’orario settimanale in 36 ore.
Le disposizioni oggetto dell’interpretazione, cioè il comma 3 dell’art. 10 del d.P.R. n. 170 del 2007 e il comma 8 dell’art. 11 del d.P.R. n. 163 del 2002, disciplinano i benefici connessi all’attività prestata nei giorni deputati al riposo settimanale o nel giorno festivo infrasettimanale, prevedendo il diritto al recupero e alla corresponsione di un’indennità, a compensazione della sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero.
In tali norme, oggetto dell’intervento interpretativo, non viene espressamente menzionato il lavoro straordinario, come rilevato dall’ordinanza di rimessione, ma, essendo previsto il compenso per la sola prestazione ordinaria, il lavoro straordinario viene evocato proprio in quanto escluso.
5.– Il trattamento da riservare alle ore di lavoro prestate oltre l’orario ordinario era suscettibile di una duplice possibilità interpretativa: facendo riferimento alla durata dell’orario di lavoro di 36 ore settimanali di cui al comma 1 dei suddetti articoli, il parametro di computo delle ore di straordinario sarebbe stato settimanale, mentre, valorizzando il termine «giornaliero», utilizzato dai commi 3 e 8, rispettivamente, degli artt. 10 e 11 suindicati, il parametro dell’orario risulterebbe riferito solo alle ore eccedenti il servizio prestato nella giornata festiva.
L’intervento legislativo ha, quindi, una reale portata interpretativa, avendo esso avuto il compito di dirimere un’incertezza (si veda Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 7 giugno 2011, n. 12318) e di fissare uno dei possibili significati da attribuire alla norma originaria, e cioè che il lavoro straordinario prestato in giorno festivo è solo quello che eccede il normale orario di servizio giornaliero e non l’orario settimanale.
6.– Questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso che «va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo» (sentenza n. 424 del 1993). Ed ha chiarito che «il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore» (ex plurimis: sentenze n. 314 del 2013, n. 15 del 2012, n. 271 del 2011, n. 209 del 2010).
Inoltre, questa Corte ha anche più volte affermato che il divieto di retroattività della legge, pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica, non è stato elevato a dignità costituzionale (salvo la previsione dell’art. 25 Cost. per la materia penale) per cui, allorquando «una norma di natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore», non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive (sentenza n. 150 del 2015).
D’altronde, la questione, come rilevato da questa Corte nelle più recenti sentenze rese in materia, non è tanto quella di verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo e sia perciò retroattiva ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, bensì di accertare se la retroattività della legge trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e sia, altresì, sostenuta da adeguati motivi di interesse generale (ex multis, sentenze n. 69 del 2014 e n. 264 del 2012).
7.– La disposizione interpretativa, nel caso in questione, appare coerente con l’assetto complessivamente dato alla regolazione del lavoro festivo nel settore in esame, secondo la disciplina collettiva recepita nei citati decreti. Al riguardo occorre del resto evidenziare che la specificità del settore in esame è stata tenuta presente dal legislatore laddove, con l’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), ha disposto che nell’ambito, tra l’altro, delle strutture penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, le disposizioni contenute nel decreto stesso non trovano applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato come individuate con apposito decreto interministeriale.
L’assetto normativo in esame si fonda sulla previsione (accanto all’indennità per la maggiore penosità del lavoro svolto in un giorno deputato al riposo settimanale o nel festivo infrasettimanale) del diritto al recupero del giorno di riposo entro il periodo previsto dalla contrattazione collettiva.
Va evidenziato, peraltro, che l’eventuale mancato rispetto del giorno di riposo non è oggetto del presente giudizio, mentre il lavoro straordinario, ove non retribuito, dà diritto ad un riposo compensativo.
Tale quadro regolatorio appare coerente con l’ordinamento, che consente l’alternatività tra la compensazione e la monetizzazione del lavoro straordinario, fermo il diritto al recupero del giorno di riposo come previsto dalla normativa collettiva.
8.– Relativamente al richiamo dell’art. 36 Cost. effettuato dal rimettente, questa Corte osserva che tale diposizione è stata menzionata non come parametro direttamente violato, ma solo quale elemento funzionale al sindacato di ragionevolezza. Resta, pertanto, assorbito il suo esame in merito al profilo dell’adeguatezza della retribuzione.
9.– Venendo, quindi, alla questione di illegittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. nella parte in cui impone al legislatore di conformarsi ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali, il Consiglio di Stato ritiene che tale obbligo non sarebbe stato rispettato poiché il principio di preminenza del diritto e quello del processo equo, consacrati nell’art. 6 della CEDU, sarebbero stati incisi dalla norma retroattiva censurata, idonea a condizionare le situazioni processuali in corso.
Nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo è precluso, infatti, al legislatore di interferire nella determinazione giudiziaria di una controversia, tranne il caso in cui ricorrano impellenti motivi di interesse generale (sentenza 14 febbraio 2012, Arras ed altri contro Italia; sentenza 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia; sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia; sentenza 10 giugno 2008 Bortesi ed altri contro Italia;) che, con specifico riferimento alle norme nazionali interpretative, questa Corte, già con la sentenza n. 1 del 2011, ha affermato che possono essere identificati, tra l’altro, nella necessità di «ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del legislatore», al fine di «porre rimedio ad una imperfezione tecnica della legge interpretata» (in tal senso la sentenza della Corte richiama le seguenti pronunce della Corte EDU: sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito; sentenza 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X e Blanche de Castille e altri contro Francia). Tale giurisprudenza è stata confermata in successive pronunce e da ultimo con sentenza n. 150 del 2015 che ha statuito che la norma censurata «avendo natura interpretativa, ha operato sul piano delle fonti, senza toccare la potestà di giudicare, limitandosi a precisare la regola astratta ed il modello di decisione cui l’esercizio di tale potestà deve attenersi, definendo e delimitando la fattispecie normativa oggetto della medesima (sentenza n. 170 del 2008), proprio al fine di assicurare la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico (sentenza n. 209 del 2010)».
10.– Nella specie la corrispondenza della disposizione censurata al contenuto della disciplina originaria si giustifica in relazione al dato letterale e cioè al fatto che l’indennità per lavoro festivo compensa la sola ordinaria prestazione di lavoro giornaliero; la previsione risulta così coerente con l’assetto complessivo del trattamento retributivo del lavoro prestato in giornata festiva, il quale favorisce la fruizione del riposo compensativo rispetto alla monetizzazione della prestazione effettuata.
La preclusione posta dalla Corte europea, del resto, è correlata all’esigenza di tutela del legittimo affidamento ingenerato nei consociati, che nel caso in esame non può ritenersi effettivamente ricorrente, stante la riscontrata ambiguità di formulazione del dettato normativo.
11.– Di qui, pertanto, la non fondatezza anche della censura sollevata in riferimento all’art. 117 Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 476, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 aprile 2016.