G.U. 9 luglio 2014, n. 29
Nel giudizio di legittimità costituzionale sollevato in via incidentale dal TAR del Lazio, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 2, co. 7, d. l. n. 225/2010 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito con modificazioni dall’art. 1, co. 1, l. n. 10/2011, limitatamente alla parte in cui stabiliva che il Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma “deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro”. Accogliendo gli argomenti del TAR, la Corte costituzionale ha statuito che l’introduzione di tale requisito, incidendo retroattivamente sul giudizio amministrativo relativo alla controversia sulla sostituzione del Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma, comportava una lesione del principio della parità processuale delle parti e del diritto a un equo processo ex art. 111, co. 1, Cost. e art. 117, co. 1, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU; e ciò in assenza di un interesse generale atto a giustificare una deroga a tali fondamentali principi.
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui introduce l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel procedimento vertente tra O.D. e la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, con ordinanza del 28 febbraio 2012, iscritta al n. 209 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti l’atto di costituzione di O.D., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato Celestino Biagini per O.D. e l’avvocato dello Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– La prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza depositata in data 28 febbraio 2012 (reg. ord. n. 209 del 2012), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), stabilisce che il Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma, nominato ai sensi dell’art. 4 comma 8 bis, del decreto-legge 25 gennaio 2010 n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e regioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 26 marzo 2010 n. 42, «deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro», in riferimento agli artt. 77, secondo comma, 97, 101, 102, primo comma, 104, 108, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora innanzi, «CEDU»).
1.1.– In particolare, il Tribunale rimettente ha premesso di essere investito della decisione sul ricorso presentato da O.D. avverso il decreto 4 gennaio 2011 del Presidente del Consiglio dei ministri, con il quale veniva revocata la sua nomina a Commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del Comune di Roma, disponendosi la sua contestuale sostituzione con V.M. Detto provvedimento è stato adottato dopo che altro precedente, di analogo contenuto, era stato annullato con la sentenza n. 37085 del 2010 del medesimo Tribunale amministrativo regionale del Lazio. Più precisamente, dopo la pubblicazione della sentenza era stato introdotto l’art. 2, comma 196-bis, della legge n. 191 del 2009, secondo cui «[… c]on provvedimenti predisposti dal Commissario straordinario del Governo del Comune di Roma, nominato ai sensi dell’articolo 4, comma 8-bis del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 marzo 2010, n. 42, che deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro, sono accertate le eventuali ulteriori partite creditorie e debitorie […]». Sulla base del predetto requisito di professionalità acquisita nel settore privato, inserito con un inciso nell’enunciato normativo sopra riportato, con il citato provvedimento del 4 gennaio 2011 è stato, quindi, nuovamente sostituito il commissario del Governo O.D., che aveva acquisito professionalità nel settore pubblico, nominandosi in sua vece V.M., il quale vanta professionalità acquisite nel settore privato. Con ordinanza n. 1737 del 12 maggio 2011 il TAR Lazio ha accolto l’istanza cautelare in favore di V.O. e ha sospeso gli effetti del provvedimento amministrativo impugnato. Tuttavia, l’ordinanza è stata annullata dal Consiglio di Stato sul presupposto che il giudice di prime cure aveva sottovalutato il rilievo del ricordato novum normativo nella definizione dei requisiti professionali, incidenti retroattivamente sulla nomina del Commissario sub iudice.
Considerata l’interpretazione del Consiglio di Stato, secondo cui la disposizione impugnata deve essere applicata alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, il Tribunale rimettente ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale della disposizione medesima.
1.2.– Riguardo alla non manifesta infondatezza delle questioni, il Tribunale ha rilevato in primo luogo che la disposizione impugnata sia stata adottata in carenza del requisito della straordinarietà del caso di necessità ed urgenza, carenza sindacabile dalla Corte, in base alla sua giurisprudenza (sentenze n. 171 del 2007 e n. 29 del 1995), in ipotesi di sua macroscopica mancanza, come accadrebbe nella specie.
Ha dubitato, poi, il Tribunale rimettente che sussistano i requisiti, stabiliti dalla medesima Corte costituzionale, per l’adozione di una legittima legge di interpretazione autentica, con conseguente portata retroattiva della stessa, mancando nella specie incertezze o contrasti giurisprudenziali sull’applicazione delle disposizioni sulla nomina del Commissario.
Il Tribunale ha ritenuto, inoltre, vulnerato il principio del giusto processo ai sensi dell’art. 111 Cost., essendosi alterata la parità delle armi processuali con un intervento normativo del Governo che ha interferito su un giudizio pendente, di cui il Governo medesimo era parte in causa, in assenza di ragioni imperative di interesse generale, con conseguente violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU, quale interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Per le stesse ragioni, il Tribunale rimettente ha considerato violati anche gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost. nella parte in cui tutelano la funzione giurisdizionale dall’interferenza di leggi intenzionalmente dirette a incidere su fattispecie sub iudice a vantaggio di una delle due parti in giudizio, così da doversi dubitare che si tratti di un precetto di fonte legislativa dotato dei necessari caratteri di generalità e astrattezza.
Infine, il rimettente ha ritenuto violato anche l’art. 97 Cost., essendo irragionevole e pregiudizievole per la pubblica amministrazione escludere dal novero dei soggetti che è possibile nominare commissari del Governo coloro che abbiano conseguito particolari professionalità nel settore pubblico, anziché in quello privato.
2.– Con atto depositato in data 30 ottobre 2012 si è costituito in giudizio O.D., parte nel giudizio amministrativo pendente, che insiste per l’accoglimento della questione di legittimità sollevata dal Tribunale, riportandosi all’ordinanza di rimessione.
3.– Con atto depositato in data 30 dicembre 2012 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o infondate.
Segnatamente, la difesa dello Stato ritiene che il rimettente abbia omesso di tentare una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata, aderendo acriticamente alla tesi del Consiglio di Stato, alla quale non era in alcun modo vincolato, così da determinare la manifesta inammissibilità delle questioni dedotte, avendo sostanzialmente chiesto alla Corte un avallo interpretativo.
In ogni caso l’Avvocatura generale dello Stato ha ritenuto non fondate anche nel merito le censure.
La situazione economica e finanziaria del Comune di Roma determinerebbe, infatti, la straordinaria necessità ed urgenza dell’intervento normativo, volto a garantire che la fase attuativa del piano di rientro fosse seguita da un soggetto dotato di specifiche esperienze nella finanza e nel settore del mercato del credito.
Inoltre la difesa dello Stato ha osservato che la disposizione censurata è di tenore tutt’altro che univoco e si presta ad una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, tale da escluderne la portata interpretativa e retroattiva, determinante il vulnus ai principi del giusto processo sotto il profilo della “parità della armi” e dell’incidenza sui processi in corso.
A parte la ritenuta inconferenza di taluni parametri indicati (artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.), ad avviso della difesa dello Stato si deve poi escludere che l’intervento normativo sia volto a favorire una parte del processo, trattandosi invece di disposizione ispirata alla tutela dell’interesse dell’intera collettività.
Non fondata risulterebbe, infine, la censura ex art. 97 Cost.: il legislatore, infatti, non avrebbe espresso un giudizio di disvalore sulle professionalità maturate nella pubblica amministrazione, ma solo esercitato la sua discrezionalità di merito, come tale insindacabile dal giudice, sui requisiti più idonei che debbono caratterizzare il Commissario, nella parte della sua attività volta a fronteggiare le esigenze di reperimento di finanziamenti.
4.– Con memoria depositata in data 29 aprile 2014, O.D. ha ribadito la richiesta di accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale, rimarcando la natura interpretativa della disposizione censurata – con la conseguenza di dover disattendere l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato – e richiamando la sentenza n. 78 del 2012 di questa Corte a sostegno dell’invocata dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.– Con ordinanza depositata in data 28 febbraio 2012 (reg. ord. n. 209 del 2012), la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10 nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), stabilisce che il Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma «deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro», in riferimento agli artt. 77, secondo comma, 97, 101, 102, primo comma, 104, 108, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, anche in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d’ora innanzi, «CEDU»).
Più precisamente, il Tribunale rimettente ha ritenuto che il requisito dell’acquisita professionalità nel settore privato – introdotto dalla disposizione impugnata nel momento in cui era in corso la controversia in merito alla sostituzione del Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma pendente dinanzi alla giustizia amministrativa – abbia determinato plurime violazioni del dettato costituzionale.
In particolare sarebbe violato l’art. 77, secondo comma, Cost., in quanto la disposizione è stata adottata con decreto-legge, in carenza dei presupposti di necessità e urgenza.
Inoltre, la disposizione è stata censurata in riferimento all’art. 97 Cost., in quanto escluderebbe irragionevolmente dalla nomina a Commissario del Governo soggetti con professionalità acquisite nel settore pubblico, con conseguente pregiudizio per il buon andamento della pubblica amministrazione e lesione del principio dell’accesso al pubblico impiego mediante concorso.
Sono poi stati considerati violati gli artt. 101, 102, 104 e 108 Cost., in quanto il legislatore avrebbe inciso sulla funzione giurisdizionale con una norma dettata esclusivamente per favorire una delle parti di una controversia pendente dinanzi alla giustizia amministrativa, vale a dire il Presidente del Consiglio dei ministri.
A questo riguardo, il rimettente ha ritenuto pregiudicato anche l’art. 111, primo comma, Cost., in quanto sarebbe stato leso il principio del «giusto processo», alterandosi la parità delle armi processuali con un intervento del «potere governativo-legislativo», che ha interferito su un giudizio pendente, in assenza di ragioni imperative di interesse generale.
Ancora si sarebbe determinata la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, secondo cui il principio convenzionale dell’equità processuale impedisce norme interpretative o di portata retroattiva, come quella di specie, che siano dettate, in assenza di motivi di interesse generale, per favorire una delle parti di un giudizio.
2.– In via preliminare, deve rilevarsi che la difesa dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per mancato esperimento del tentativo di interpretazione conforme a Costituzione della previsione censurata. L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che l’impugnato art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010 possa e debba essere interpretato come dotato di effetti solo per l’avvenire, dovendosi di conseguenza escludere che esso abbia natura interpretativa o retroattiva. Pertanto, la questione sollevata non avrebbe alcuna rilevanza del giudizio a quo, non essendo la disposizione impugnata applicabile al medesimo.
L’eccezione non è fondata.
La previsione normativa in esame richiede il possesso di una particolare esperienza professionale nella gestione economico-finanziaria maturata nel settore privato in capo non a qualsiasi Commissario straordinario del Governo, ma proprio a quello in carica che deve «gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro […] concernente l’accertamento del debito del Comune di Roma alla data del 30 luglio 2010, che è approvato con effetti a decorrere dal 29 dicembre 2010». Essa si rivolge, dunque, proprio al Commissario straordinario già nominato, e poi sostituito, di cui si controverte nel procedimento giudiziario pendente dinanzi al TAR. Conseguentemente l’art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010 spiega effetto nel caso sub iudice, con conseguenze determinanti sull’esito della controversia, posto che esso verte proprio sui requisiti di professionalità ed esperienza maturati dal ricorrente e dal contro-interessato, i quali provengono rispettivamente dal settore pubblico e dal settore privato.
Del resto, il Tribunale rimettente ha adeguatamente motivato riguardo all’applicabilità della disposizione impugnata nel giudizio in corso e alla conseguente rilevanza della relativa questione di legittimità costituzionale, anche esponendo dettagliatamente le conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato in sede cautelare, che inducono inesorabilmente ad affermare la sua incidenza nel giudizio pendente davanti al TAR.
A fronte di una disposizione chiara e inequivocabile, qual è quella impugnata, non appare praticabile l’interpretazione conforme suggerita dall’Avvocatura generale dello Stato, che porterebbe ad escluderne la portata retroattiva contra litteram. L’onere dell’interpretazione conforme, infatti, grava sul giudice rimettente quando, usando gli «ordinari strumenti ermeneutici» (ex plurimis, sentenza n. 227 del 2010), sia possibile attribuire al testo normativo un significato conforme ai parametri costituzionali che si assumono violati. In questo caso il tenore letterale della disposizione non lascia margini di incertezza e non consente di attribuirle effetti solo pro futuro, come auspicato dall’Avvocatura generale dello Stato, risultando ictu oculi il suo carattere retroattivo e la sua incidenza sul giudizio in corso.
3. – Nel merito, la questione è fondata.
3.1. – L’impugnato art. 2, comma 7, stabilisce che il Commissario straordinario del Governo incaricato della gestione del piano di rientro concernente l’accertamento del debito del Comune di Roma alla data del 30 luglio 2010 deve possedere requisiti di elevata professionalità nell’ambito economico-finanziario maturati nel settore privato. Il legislatore ha, pertanto, introdotto nuovi requisiti che non erano previsti all’atto della nomina del Commissario, che era stata disposta sulla base dell’art. 4, comma 8-bis, del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali e Regioni), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42.
Per comprendere la violazione dei principi costituzionali in materia di giusto processo determinata dalla sopravvenuta normativa impugnata, occorre ripercorrere sinteticamente l’articolata vicenda giurisdizionale che è all’origine della questione di legittimità costituzionale portata all’esame della Corte.
Il ricorrente nel giudizio a quo è stato nominato Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 maggio 2010, ai sensi dell’art. 4, comma 8-bis, del citato d.l. n. 2 del 2010 e dell’art. 14, comma 13-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Con successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 settembre 2010, il Governo ha revocato la sua nomina, sostituendolo con il controinteressato nel giudizio a quo. Avverso detto decreto di revoca l’istante ha proposto ricorso davanti al TAR Lazio che, con sentenza n. 37085 del 16 dicembre 2010, lo ha accolto, evidenziando che non risultava giustificata la sua sostituzione con altro soggetto. Poco dopo la pubblicazione della sentenza, è stato emanato, in data 29 dicembre 2010, il decreto-legge n. 225, il cui art. 2, comma 7, qui impugnato, ha inserito, dopo il comma 196 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, il comma 196-bis, che, nello specificare i compiti del Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma, ha precisato che questi debba «essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro». In forza dell’intervenuta disposizione, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 gennaio 2011 ha disposto di nuovo la revoca del ricorrente, sostituendolo ancora una volta con il controinteressato nel giudizio a quo. Di qui l’impugnazione nel giudizio a quo anche di quest’ultimo provvedimento da parte del ricorrente.
Nel frattempo, il TAR Lazio con ordinanza n. 1737 del 12 maggio 2011 ha accolto l’istanza cautelare proposta dal ricorrente, sospendendo, dunque, gli effetti del decreto di revoca e sostituzione del Commissario del 4 gennaio 2011. Con due successive ordinanze (n. 2524 e n. 2526 del 2011) il Consiglio di Stato, però, ha accolto l’appello in riforma dell’ordinanza cautelare, affermando che il TAR aveva sottovalutato la rilevanza della normativa sopravvenuta, così annullando il provvedimento cautelare disposto dal TAR medesimo.
Nell’ambito del successivo giudizio per l’esame nel merito – rectius: in sede di precisazione delle conclusioni – il TAR Lazio ha sollevato la presente questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, del d.l. n. 225 del 2010, che, come si è detto, ha aggiunto nuovi requisiti di professionalità che il Commissario straordinario deve soddisfare e che, secondo quanto risulta dal tenore testuale della disposizione, confermato anche dall’interpretazione datane dal Consiglio di Stato, sono richiesti anche al Commissario in carica.
3.2. – Alla luce della ricostruzione della vicenda giudiziaria sopra descritta, appare chiaro che la disposizione impugnata, modificando durante il corso del mandato del Commissario straordinario del Governo i requisiti professionali di cui egli deve essere in possesso, intende legittimare l’operato del Governo che, proprio privilegiando l’esperienza nel settore privato, anziché in quello pubblico, ha revocato e sostituito il Commissario straordinario precedentemente nominato, dapprima con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 22 settembre 2010 e poi, di nuovo, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 gennaio 2011. Il Commissario sostituito già aveva ottenuto l’annullamento del primo provvedimento di revoca da parte del giudice amministrativo, il cui intervento è stato, però, vanificato dalla introdotta disposizione normativa, che ha fornito base legale alla sostituzione successivamente reiterata dal Governo. Il secondo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di revoca e sostituzione del Commissario straordinario del Governo in carica, è quindi intervenuto subito dopo l’entrata in vigore della normativa che ha modificato i requisiti di professionalità richiesti, cosicché il contenzioso nuovamente intentato dal Commissario sostituito avrebbe un esito irrimediabilmente pregiudicato in senso favorevole al Governo medesimo, parte del giudizio, proprio in virtù della normativa sopravvenuta.
In questo modo il legislatore ha compromesso la parità delle armi processuali, sovrapponendosi alle valutazioni espresse dall’organo giurisdizionale nel primo giudizio e obbligando quest’ultimo a prendere in considerazione, come requisito indispensabile per la validità della nomina, il dato della professionalità maturata nel settore privato, in possesso solo del secondo Commissario nominato e non di quello sostituito.
4.– Tali essendo gli effetti della disciplina in parola, occorre anzitutto evidenziare la violazione dell’art. 111, primo comma, Cost., insieme con quella dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, i quali, secondo un consolidato orientamento, devono essere fatti valere congiuntamente per consentire a questa Corte di effettuare una valutazione sistemica e non frazionata dei diritti coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, in modo da assicurare la massima espansione delle garanzie di tutti i diritti e i principi rilevanti, costituzionali e sovranazionali, complessivamente considerati, che sempre si trovano in rapporto di integrazione e reciproco bilanciamento (sentenze n. 170 e n. 85 del 2013 e n. 264 del 2012).
Del resto, in ordine al sindacato sulle leggi retroattive può ritenersi sussistere una piena corrispondenza tra principi costituzionali interni in materia di parità delle parti in giudizio e quelli convenzionali in punto di equo processo.
La giurisprudenza costituzionale ravvisa una violazione del «principio della parità delle parti», di cui all’art. 111 Cost., quando il legislatore statale immette nell’ordinamento una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 186 del 2013).
La Corte di Strasburgo ha più volte ribadito che «in linea di principio non è vietato al potere legislativo di stabilire in materia civile una disciplina innovativa a portata retroattiva dei diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di processo equo sanciti dall’art. 6 della Convenzione, ostano, salvo che per motivi imperativi di interesse generale, all’ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia» (sentenze 11 dicembre 2012, De Rosa contro Italia; 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia; 31 maggio 2011, Maggio e altri contro Italia; 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia; 29 marzo 2006, Scordino e altri contro Italia). La medesima Corte ha altresì rimarcato che le circostanze addotte per giustificare misure retroattive devono essere «trattate con la massima circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras e altri contro Italia), in particolare quando l’intervento legislativo finisca per alterare l’esito giudiziario di una controversia (sentenza 28 ottobre 1999, Zielinski e altri contro Francia). Inoltre, lo stato del giudizio, il grado di consolidamento dell’accertamento e la prevedibilità dell’intervento legislativo (sentenza 27 maggio 2004, Ogis Institut Stanislas e altri contro Francia), nonché la circostanza che lo Stato sia parte in senso stretto della controversia (sentenze 22 ottobre 1997, Papageorgou contro Grecia; 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e altri contro Regno Unito) sono tutti elementi valorizzati dal giudice di Strasburgo per affermare la violazione dell’art. 6 della CEDU da parte di norme innovative che incidono retroattivamente su controversie in corso.
5.– Nel caso portato al vaglio di questa Corte, l’intervento legislativo disposto dal Governo con decreto-legge determinerebbe fatalmente l’esito della controversia in corso a favore del Governo stesso, parte della controversia medesima – fatti salvi gli effetti della decisione sulla questione di legittimità costituzionale in esame – in spregio alla parità processuale delle parti.
La giustificazione addotta dall’Avvocatura generale dello Stato – secondo la quale la norma impugnata mira a privilegiare l’esperienza maturata nel settore privato piuttosto che in quello pubblico, in quanto si tratterebbe di gestire aspetti finanziari che comportano rapporti con istituti di credito – oltre che essere di dubbia conformità a Costituzione sotto il profilo della disparità di trattamento, non costituisce un valido motivo imperativo di interesse generale, tale da giustificare l’alterazione della parità delle parti in giudizio. Essa si basa sull’apodittico assunto che la gestione del risanamento di un ente pubblico sia meglio assicurata da chi abbia maturato professionalità ed esperienza nel solo settore privato, supponendo che chi acquisisca esperienze nel settore pubblico non possegga una sufficiente conoscenza di nozioni finanziarie (è da notare, oltre tutto che, nel caso di specie il Commissario sostituito era un magistrato della Corte dei conti) o non abbia occasione di sviluppare una adeguata dimestichezza in ordine ai rapporti tra enti pubblici e istituti di credito. Tali supposizioni appaiono indimostrate e non vanno esenti da una certa inverosimiglianza, così da risultare del tutto inidonee a integrare un imperativo motivo di interesse generale atto a giustificare una deroga al fondamentale principio del giusto processo garantito dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della CEDU.
6.– Le considerazioni che precedono assorbono gli ulteriori profili di illegittimità dedotti.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 7, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 febbraio 2011, n. 10 nella parte in cui, introducendo l’art. 2, comma 196-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), stabilisce che il Commissario straordinario del Governo per il Comune di Roma «deve essere in possesso di comprovati requisiti di elevata professionalità nella gestione economico-finanziaria, acquisiti nel settore privato, necessari per gestire la fase operativa di attuazione del piano di rientro».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2014.