G.U. 9 luglio 2014, n. 29
Con la sentenza n. 187/2014, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della l. della Provincia autonoma di Trento n. 6/1993 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità) e successive modificazioni, per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost. in relazione all’art. 1 del I Protocollo addizionale alla CEDU sulla protezione della proprietà. Il ricorso di legittimità costituzionale in via incidentale promosso dalla Corte d’appello di Trento riguardava il criterio di determinazione della indennità di espropriazione per le aree non edificabili. In particolare, il giudice rimettente ravvisava nella norma censurata una violazione dei parametri costituzionali, in quanto la determinazione di tale indennità era basata sui valori agricoli tabellari eccessivamente modesti rispetto al valore di mercato attribuibile in base alle caratteristiche del terreno. La Corte costituzionale ha evidenziato che sebbene il legislatore non sia tenuto a commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene e non sempre la CEDU garantisca una riparazione integrale, tuttavia “l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui”.
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale 2007-2009 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte d’appello di Trento con ordinanza del 12 luglio 2012, nel procedimento vertente tra T.G., il Comune di Trento ed altra, iscritta al n. 226 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di costituzione della Provincia autonoma di Trento;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
Ritenuto in fatto
1.– La Corte d’appello di Trento, con ordinanza del 12 luglio 2012 (r.o. n. 226 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale 2007-2009 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria 2007).
2.– La rimettente espone che il signor T.G. ha proposto, nei confronti del Comune di Trento e della Provincia autonoma di Trento, opposizione alla stima dell’indennità per l’espropriazione della p.f. n. 498/2 CC Gardolo della superficie di mq. 637, finalizzata alla realizzazione di un sottopasso ciclopedonale secondo il progetto esecutivo dei lavori approvato dal Comune di Trento; che, con determinazione del dirigente del servizio espropriazioni della Provincia autonoma di Trento, l’indennità di espropriazione è stata indicata in euro 12,70 al mq. per la parte del terreno espropriato coltivata ad orto industriale (mq. 377) e in euro 2,10 a mq. per la parte ad incolto produttivo (mq. 260), nel presupposto che si trattasse di un’area non edificata, né edificabile; che l’opponente ha addotto l’erroneità di tale valutazione, stante il maggiore valore di mercato del suolo in oggetto e ha chiesto la rideterminazione dell’indennità sulla base della reale condizione del bene espropriato.
Il giudice a quo riferisce che, nel giudizio principale, si è costituita la Provincia autonoma di Trento, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva in ordine alla richiesta di condanna al pagamento dell’indennità espropriativa, sul presupposto che il ruolo della stessa fosse limitato alla gestione della procedura espropriativa medesima e che l’ente espropriante fosse il Comune di Trento, unico legittimato a resistere all’opposizione. Il collegio aggiunge che, nel giudizio a quo, si è costituito anche il Comune di Trento, sostenendo che la determinazione dell’indennità in sede amministrativa fosse congrua, in considerazione della destinazione urbanistica a viabilità dell’area espropriata, costituita da una striscia di terreno, in parte coltivata e per il resto incolta, della larghezza di mq. 4,50, interposta tra una strada comunale e la massicciata di una ferrovia. In particolare – come ricordato dalla rimettente – il Comune di Trento ha contestato l’assunto dell’opponente in ordine all’ubicazione del terreno in un contesto edificato e ha sottolineato come le tabelle predisposte per la valutazione delle aree agricole fossero vincolanti anche in sede giudiziale.
La Corte d’appello riferisce, altresì, che, nel giudizio principale, era stata disposta C.T.U. per la determinazione della giusta indennità espropriativa in base alle disposizioni della legge prov. Trento n. 6 del 1993, previa verifica della natura edificabile o meno dell’area espropriata.
Dalla relazione tecnica – prosegue la rimettente – è emerso che:
1) l’area espropriata, relativa all’intera p.f. 498/2/CC Gardolo di mq. 637, era costituita da una striscia di terreno della larghezza di mt. 4.50 circa e della lunghezza di mt. 140, posta tra un’arteria stradale e una linea ferroviaria;
2) l’area espropriata ricadeva, dal punto di vista urbanistico, in parte, in zona F2 destinata alla viabilità e, in parte, in zona F3 destinata al sistema ferroviario secondo il piano regolatore generale comunale;
3) si trattava di destinazioni urbanistiche che non consentivano l’edificazione e, pertanto, anche in considerazione dell’art. 12 della legge prov. Trento n. 6 del 1993 – secondo cui costituiscono aree non edificabili, tra l’altro, quelle destinate alla viabilità – l’indennità espropriativa andava determinata sulla base del disposto dell’art. 13 della medesima legge provinciale;
4) per effetto dell’applicazione di tale norma, che fa riferimento ai cosiddetti valori agricoli tabellari per la determinazione dell’indennità di espropriazione in presenza di aree non edificabili, la C.T.U. ha determinato un’indennità complessiva di euro 5.333,90 di cui euro 546,00 per la parte di incolto produttivo della superficie di mq. 260, considerato il valore tabellare di euro 2.10 a mq., ed euro 4.787,90 per la parte coltivata ad orto-industriale di mq. 377, stante il valore tabellare di euro 12,70 al mq.;
5) con riferimento all’incolto produttivo, il valore tabellare unitario risulterebbe eccessivamente modesto considerato il maggiore valore di mercato (pari a euro 16,00 al mq.) attribuibile al terreno de quo, in base alle caratteristiche del fondo in oggetto.
La Corte d’appello osserva che, in base agli accertamenti tecnici, l’indennità espropriativa determinata secondo la citata normativa provinciale è risultata pari a complessivi euro 5.333,90, mentre il valore di mercato dell’area espropriata, secondo la stima del C.T.U., sarebbe di euro 10.192,00 (mq. 637 per euro 16,00 a mq.).
3.– In questo quadro, la Corte d’appello di Trento dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge prov. Trento n. 6 del 1993, come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge prov. Trento n. 11 del 2006, in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU.
La rimettente riporta preliminarmente il contenuto del citato art. 13 (commi 1 e 2) e ricorda che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 181 del 2011), la determinazione dell’indennità espropriativa non potrebbe prescindere dal valore effettivo del bene espropriato; il legislatore, pur non avendo l’obbligo di commisurare integralmente l’indennità al valore di mercato, non potrebbe trascurare tale parametro, costituente un importante termine di riferimento ai fini della individuazione di una congrua indennità, in modo da garantire il “giusto equilibrio” tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui. È ancora richiamata la citata sentenza n. 181 del 2011, in base alla quale si è ritenuto che, con riferimento alle aree agricole o comunque non edificabili, la normativa statale che commisurava l’indennità di espropriazione al valore agricolo medio delle colture in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, calcolate annualmente da apposite commissioni, non tenesse conto delle caratteristiche di posizione del suolo, del valore intrinseco del terreno e di quant’altro potesse incidere sul valore venale di esso.
Con tale sentenza, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del criterio del cosiddetto valore agricolo medio, ritenuto elusivo del legame, richiesto dalla giurisprudenza della Corte EDU, che l’indennità deve avere con il valore di mercato del bene espropriato. Detto criterio non sarebbe rispondente all’esigenza, espressa più volte da questa Corte, di garantire all’espropriato un serio ristoro.
La Corte territoriale osserva che il criterio di determinazione dell’indennità espropriativa per le aree non edificabili, previsto dalla normativa provinciale sopra richiamata, sarebbe del tutto simile a quello che regolava, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, della legge 8 agosto 1992, n. 359, la medesima materia nell’ambito della normativa statale, oggetto della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla menzionata sentenza n. 181 del 2011. Pertanto, sussisterebbero le condizioni per ritenere l’art. 13 della legge prov. Trento n. 6 del 1993, come modificato, in contrasto con gli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU.
In punto di rilevanza, la Corte d’appello richiama gli accertamenti del C.T.U. espletati nel corso del giudizio principale di opposizione alla stima, alla luce dei quali sarebbe emersa una notevole differenza tra l’importo calcolato secondo le modalità previste dal censurato art. 13 e quello determinato sulla base del valore di mercato dell’area espropriata.
4.– Con memoria depositata in data 9 novembre 2012, si è costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza o per insufficiente motivazione sulla rilevanza e, nel merito, non fondata.
In primo luogo, la Provincia autonoma eccepisce l’inammissibilità della questione per genericità, ovvero per mancanza di precisione dell’oggetto, «laddove essa estende la eadem ratio, che ha sorretto la dichiarazione di incostituzionalità della norma nazionale, a norme della legislazione provinciale che disciplinano in maniera assai differente l’assetto tra aree edificate ed aree non edificate e relative conseguenze in ordine alla determinazione della indennità di esproprio, sicché il richiamo tout court alla sentenza n. 181/2011 risulta improprio, senza che sia stato tenuto adeguatamente conto delle differenze del sistema trentino».
Infatti, mentre, nella legislazione nazionale, ai sensi dell’art. 37 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità – Testo A), sono definite positivamente soltanto le «aree edificabili» come quelle aventi «possibilità legali ed effettive di edificazione», per cui, le «aree non edificabili» sono, in via residuale, tutte quelle prive di possibilità legali di edificazione, aventi o meno vocazione agricola (art. 40, commi 1 e 2 del citato testo unico), la legge provinciale n. 6 del 1993, definisce positivamente – sempre ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione – le «aree non edificabili» (art. 12), adottando un criterio residuale per le «aree edificabili».
La Provincia autonoma di Trento evidenzia, quindi, come nella legislazione nazionale la categoria delle «aree non edificabili» sia più ampia di quella determinata nella legislazione provinciale, essendo in quest’ultima la categoria delle «aree non edificabili» coincidente con quelle definite tali per legge e per destinazione urbanistica specifica.
Pertanto, ad avviso della parte resistente, non si potrebbe affermare, con trasposizione automatica della questione – come, invece, fatto dalla rimettente – che la normativa provinciale, la quale, a differenza di quella statale, proprio sulle aree non edificabili è più articolata e precisa, non contenga, al suo interno, una strumentazione atta a consentire la valutazione delle caratteristiche oggettive del bene.
La Provincia autonoma sottolinea la differenza di fatto e di diritto tra i presupposti caratterizzanti la questione decisa dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 181 del 2011 ed i presupposti della questione sollevata dalla Corte d’appello di Trento.
In particolare, pone in rilievo come un terreno ubicato a ridosso del centro cittadino, con una destinazione ad «uso pubblico per servizi vari» – che, nel giudizio principale, nel corso del quale era stata sollevata la questione decisa con la sentenza n. 181 del 2011, era stato qualificato dal C.T.U. come «non edificabile» ai sensi dell’art. 37 del d.P.R. n. 327 del 2001, con conseguente applicazione ad esso del valore agricolo medio di un seminativo arborato ai fini di determinazione dell’indennità di espropriazione – nella legislazione provinciale sarebbe stato, all’opposto, qualificato come «area edificabile» ai sensi dell’art. 12, comma 2, della legge prov. Trento n. 6 del 1993.
La Provincia autonoma rileva, quindi, che nella legislazione provinciale, in applicazione degli artt. 12 e 14 della legge prov. Trento n. 6 del 1993, le «aree non edificabili» costituiscono, nell’ambito della procedura espropriativa, ipotesi numericamente limitate rispetto ai casi di espropriazione di aree edificate o edificabili, mentre nella legislazione nazionale varrebbe la regola opposta.
Infatti, la lettura del censurato art. 13 non potrebbe essere disgiunta da quella dell’art. 12 che classifica come «non edificabili» le aree che sono definite dagli strumenti urbanistici come agricole, le aree con vincolo di inedificabilità assoluta e quelle destinate alla realizzazione di infrastrutture stradali e piste da sci completamente inserite nelle sopra citate aree agricole.
La parte resistente rimarca che, essendo, in ambito provinciale, le aree non edificabili completamente inserite in un contesto agricolo, risulta coerente, ai fini della determinazione della indennità di espropriazione, l’applicazione dei valori agricoli medi (in conformità anche con l’art. 40, comma 1, del d.P.R. n. 327 del 2001, non oggetto della sentenza n. 181 del 2011).
La Provincia autonoma osserva, altresì, che, per come è strutturato il sistema del Trentino-Alto Adige, non esisterebbe quel distacco dal valore reale del bene che si registra nella applicazione della normativa statale.
La legge provinciale in oggetto, infatti, con la previsione dei valori agricoli medi (VAM) tabellari, offrirebbe un sistema molto più articolato e garantista di quello applicato in base alla normativa nazionale in quanto, da un lato, sarebbe minore la discrezionalità nell’individuare le aree non edificabili e, dall’altro, i VAM, come enucleati dalla Commissione provinciale per le espropriazioni (CPE), considererebbero delle variabili (quali la giacitura del fondo, l’accessibilità ad esso, la fertilità del bosco e così via) atte ad identificare le caratteristiche reali del bene.
La Provincia autonoma sottolinea, inoltre, che il territorio provinciale è ripartito in quaranta zone omogenee agricole: in ciascuna di essa sono presenti tutte le colture agricole a cui sono attribuiti tre distinti valori a seconda che il terreno sia lavorabile con mezzi meccanici, sia irrigato, ovvero sia momentaneamente incolto.
Pertanto – ad avviso della parte resistente – sebbene anche la legislazione provinciale sia rimasta legata ad un sistema tabellare di valori, definiti in ragione delle colture agrarie a seconda delle classi colturali (frutteto, vigneto, seminativo e così via) praticate nel terreno, detto sistema, essendo applicato soltanto a zone delimitate di sicura inedificabilità, non creerebbe un eccessivo divario dal valore venale.
Secondo la Provincia autonoma, eliminando il valore tabellare, si riporterebbe il sistema vigente in materia di espropriazione ad una situazione in cui, ogni volta che si dovesse prospettare l’espropriazione di una zona non edificabile, si dovrebbe dare corso ad un contenzioso e ad una serie di consulenze tecniche per determinare il valore del terreno, con evidente aggravio procedimentale ed economico.
Inoltre, qualora si dichiarassero incostituzionali i valori tabellari e si facesse riferimento esclusivamente ai valori di mercato del bene espropriato, l’indennità aggiuntiva da corrispondere ai coltivatori ed agli affittuari (che, ai sensi dell’art. 20 della legge prov. n. 6 del 1993, è pari all’indennizzo riconosciuto all’espropriato) sarebbe simile a quella da corrispondere a titolo di espropriazione al proprietario con effettivo superamento del valore patrimoniale del bene medesimo.
Pertanto, ad avviso della parte resistente, la questione rilevante non riguarderebbe la validità o meno del sistema tabellare dei VAM, ma la corretta “quotazione” ed adeguatezza economica dei valori previsti.
In particolare, secondo la Provincia autonoma, il collegio rimettente avrebbe potuto ricercare, nella giurisprudenza della Corte costituzionale e nei principi enunciati dalla Corte EDU, gli strumenti interpretativi per discostarsi dall’indicazione dei valori fissati nelle tabelle sui VAM, attraverso una loro disapplicazione, trattandosi di atti amministrativi a carattere generale di natura tecnico-discrezionale.
Sotto tale profilo, la questione sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza.
La Provincia autonoma ritiene, inoltre, che la questione di legittimità costituzionale posta dalla rimettente non riguardi la validità del sistema tabellare, né l’adeguatezza dei parametri di valore in esso stabiliti, ma solo l’eccessiva rigidità della norma, che impedirebbe al giudice di discostarsi dai parametri delle tabelle, qualora esse comportino un eccessivo scostamento dal valore di mercato.
Detta Provincia osserva, infine, che, stante la non automatica estensibilità al caso di specie della soluzione adottata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 181 del 2011, la questione potrebbe essere ritenuta inammissibile per genericità dell’oggetto, non avendo il collegio rimettente precisato il contenuto della possibile pronuncia additiva ed avendo contestato la validità dell’intero sistema tabellare della legislazione provinciale trentina.
5.– In data 24 aprile 2014, la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria illustrativa, insistendo per la declaratoria di inammissibilità – per difetto di rilevanza ovvero per carente motivazione sulla rilevanza – ovvero, in subordine, per la dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Trento, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 226 del 2012), dubita – in riferimento agli artt. 42, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), ratificata e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848 – della legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma in data 29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale 2007-2009 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria 2007), concernente la determinazione della indennità di espropriazione per le aree non edificabili.
Ad avviso della rimettente, la norma censurata violerebbe i citati parametri costituzionali in quanto essa, per determinare la detta indennità, farebbe riferimento ai cosiddetti valori agricoli tabellari, eccessivamente modesti rispetto al valore di mercato attribuibile ai terreni in base alle loro caratteristiche; in quanto il criterio di determinazione dell’indennità, previsto dalla norma provinciale censurata, sarebbe simile a quello che regolava, ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, della legge 8 agosto 1992, n. 359, la medesima materia nell’ambito della normativa statale, norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza di questa Corte n. 181 del 2011, in relazione alla quale il criterio del cosiddetto valore agricolo medio è stato ritenuto elusivo del legame, richiesto dalla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell’uomo, che l’indennità deve avere con il valore di mercato del bene espropriato, nonché non rispondente all’esigenza, espressa più volte dalla Corte costituzionale, di garantire all’espropriato un serio ristoro.
2.– La Provincia autonoma di Trento, con la memoria di costituzione, ha eccepito l’inammissibilità della questione, per il suo carattere generico ovvero per mancanza di precisione dell’oggetto, «laddove
essa estende la eadem ratio, che ha sorretto la dichiarazione di incostituzionalità della norma nazionale, a norme della legislazione provinciale che disciplinano in maniera assai differente l’assetto fra aree edificate ed aree non edificate e relative conseguenze in ordine alla determinazione della indennità di esproprio, sicché il richiamo tout court alla sentenza n. 181/2011 risulta improprio, senza che sia stato tenuto adeguatamente conto delle differenze del sistema trentino».
Inoltre, ad avviso della Provincia autonoma, oggetto della questione non sarebbe il sistema tabellare in sé e per sé, né la circostanza che la modulazione dei valori medi sarebbe lontana dai valori di mercato.
Sempre secondo la Provincia autonoma, tale valore «non può che essere valutato caso per caso; e se il Giudice ha dato corso ad una C.T.U. per conoscere la valutazione di mercato dell’area in questione, avrebbe forse potuto cercare anche nella legge, nella giurisprudenza di questa Corte e nei principi enunciati dalla Corte EDU, gli strumenti interpretativi per discostarsi dall’indicazione dei valori fissati nelle tabelle sui VAM, mediante, appunto, loro disapplicazione, come si è sopra osservato. E allora, sotto tale profilo, viene anche meno la rilevanza, con la conseguenza che la proposta questione potrebbe essere dichiarata tout court inammissibile».
Le suddette eccezioni non sono fondate.
Il denunziato carattere generico della questione non sussiste.
L’ordinanza di rimessione descrive in modo sufficiente la fattispecie (per quanto rileva ai fini di causa) ed individua con chiarezza il petitum, volto ad ottenere la dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma censurata, perché in contrasto con i menzionati parametri costituzionali.
Quanto, poi, alla differenza di disciplina esistente tra la normativa statale ed il sistema trentino (differenza che, nella legislazione nazionale, renderebbe la categoria delle aree non edificabili ben più ampia rispetto a quella determinata dal legislatore provinciale, il che non sarebbe privo di conseguenze «al fine di verificare la tenuta costituzionale della normativa provinciale»), si deve osservare che l’argomento non è pertinente.
Infatti, nella fattispecie in esame, non è in discussione la natura della superficie in esproprio che, come emerge dall’ordinanza di rimessione, «è costituita da una striscia di terreno della larghezza di mt. 4,50 circa e lunga mt. 140 posta tra un’arteria stradale e una linea ferroviaria». La stessa ordinanza precisa che «dal punto di vista urbanistico l’area ablata ricadeva in parte in zona F2 destinata alla viabilità e in parte in zona F3 destinata al sistema ferroviario secondo il PRG comunale; si trattava di destinazioni urbanistiche che non consentivano l’edificazione e pertanto, anche in considerazione di quanto previsto dall’art. 12 della legge provinciale n. 6/1993 secondo cui costituiscono aree non edificabili, tra l’altro, quelle destinate a viabilità, l’indennità espropriativa andava determinata sulla base del disposto dell’art. 13 della medesima L. P.».
L’area in questione, dunque, ha senza dubbio carattere non edificabile, avuto riguardo alle destinazioni urbanistiche che non consentono l’edificazione, sicché essa rientra nell’ambito applicativo del censurato art. 13 della legge prov. Trento n. 6 del 1993 (e successive modificazioni), a prescindere dalle identità o difformità dei presupposti normativi tra legge statale e legge provinciale.
Infine, in ordine alla rilevanza della questione, si deve rimarcare che la Corte d’appello ha ravvisato tale presupposto nella notevole differenza tra l’importo calcolato dal C.T.U., secondo le modalità previste dal citato art. 13, e quello determinato sulla base del valore di mercato dell’area espropriata. Si tratta di una motivazione non implausibile, che merita di essere condivisa. Non altrettanto può dirsi, invece, in ordine all’argomento della Provincia autonoma, secondo cui la Corte territoriale avrebbe potuto discostarsi dall’indicazione dei valori fissati nelle tabelle sui valori agricoli medi (VAM) mediante loro disapplicazione. È vero, infatti, che le tabelle sono atti amministrativi a carattere generale e di natura tecnico-discrezionale. Tuttavia, la Provincia trascura di considerare che esse sono state recepite in una norma di legge, del cui precetto sono divenute parti, sicché disapplicarle equivarrebbe a disapplicare la norma stessa.
Da qui la non fondatezza delle sollevate eccezioni.
3.– Nel merito, la questione è fondata.
Va premesso che le Province autonome di Trento e di Bolzano hanno competenza legislativa primaria, tra l’altro, in tema di espropriazione per pubblica utilità, per tutte le materie di competenza provinciale (art. 8, numero 22, d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»).
Le Province esercitano la detta potestà legislativa entro i limiti indicati dall’art. 4 dello statuto speciale, ovvero «In armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali […] nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica […]» .
Pertanto, la legislazione provinciale, ancorché espressione della competenza primaria dell’ente autonomo, deve conformarsi ai principi che traggono supporto dal testo fondamentale e caratterizzano l’ordinamento giuridico dello Stato (sentenza n. 231 del 1984).
In questo quadro, l’art. 13 della legge prov. Trento n. 6 del 1993, come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge prov. Trento n. 11 del 2006, dispone quanto segue: «1. Per le aree non edificabili l’indennità di espropriazione corrisponde al valore agricolo medio che deve essere attribuito all’area quale terreno considerato libero da vincoli di contratti agrari e secondo il tipo di coltura in atto al momento del deposito della domanda di cui all’articolo 4, comma 1.
2. A tal fine, entro il 31 dicembre di ogni anno per l’anno successivo, la C.P.E. provvede alla ripartizione del territorio provinciale in zone agrarie omogenee ed alla determinazione di valori agricoli medi secondo i tipi di coltura praticati in relazione alle singole zone agrarie, nonché del criterio di stima dei danni arrecati dal punto di vista del valore agrario alle proprietà residue nel caso di espropriazioni parziali di terreni agricoli.
2-bis. I provvedimenti adottati ai sensi del comma 2 sono pubblicati nel Bollettino ufficiale della Regione».
Il criterio seguito dal legislatore regionale per calcolare l’indennità di espropriazione delle aree non edificabili (espressione che comprende le aree agricole e quelle non suscettibili di classificazione edificatoria) è, dunque, il valore agricolo medio del suolo secondo i tipi di coltura praticati in relazione alle singole zone agrarie, valore da determinare annualmente ad opera di un’apposita commissione previa ripartizione del territorio provinciale in zone agrarie omogenee.
Orbene, come questa Corte ha già osservato, nella sentenza n. 181 del 2011, con riguardo ad analoga normativa statale, «il valore tabellare così calcolato prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo, ignorando ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto, che elude il “ragionevole legame” con il valore di mercato, “prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto con il “serio ristoro” richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte” (sentenza n. 348 del 2007, punto 5.7 del Considerato in diritto)».
È vero – prosegue la citata sentenza n. 181 del 2011 – che «il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato del bene ablato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, come la stessa Corte di Strasburgo ha affermato, sia pure aggiungendo che in caso di “espropriazione isolata”, pur se a fini di pubblica utilità, soltanto una riparazione integrale può essere considerata in rapporto ragionevole con il valore del bene.
Tuttavia, proprio l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore (sentenza n. 1165 del 1988), in guisa da garantire il “giusto equilibrio” tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui».
Il criterio della determinazione dell’indennità di espropriazione delle «aree non edificabili» di cui alla normativa nazionale dichiarata costituzionalmente illegittima con la citata sentenza è sostanzialmente riprodotto dalla normativa trentina oggetto di censura. La conclusione testé enunciata si impone, pertanto, anche per la denunziata norma provinciale di cui va dichiarata l’illegittimità costituzionale per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42, terzo comma, Cost.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Provincia autonoma di Trento 19 febbraio 1993, n. 6 (Norme sulla espropriazione per pubblica utilità), come modificato dall’art. 58, comma 1, della legge della Provincia autonoma di Trento 29 dicembre 2006, n. 11 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2007 e pluriennale 2007-2009 della Provincia autonoma di Trento – legge finanziaria 2007).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 giugno 2014.