G.U. 11 giugno 2014 n. 25
La Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, co. 19, d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, co. 1, l. n. 111/2011, sollevata in via incidentale dal Tribunale ordinario di Alessandria in merito agli artt. 3, 24 e 111 Cost., e dalla Corte di appello di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, I co., Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6 della CEDU. La norma censurata ha valore di interpretazione autentica dell’art. 64 della l. 144/99 – disposizione di riordino degli enti previdenziali -, e il suo effetto retroattivo è finalizzato a garantire la certezza del diritto, in linea con i “motivi imperativi di interesse generale” che giustificano l’applicazione retroattiva secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani.
Ordinanza della Corte costituzionale 7 aprile 2014, n. 92; Sentenza della Corte Costituzionale 23 gennaio 2012, n. 15
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, promossi dal Tribunale ordinario di Alessandria, con ordinanza del 15 febbraio 2012, e dalla Corte d’appello di Torino, con ordinanza del 19 aprile 2012, iscritte, rispettivamente, ai nn. 157 e 160 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 34 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 6 maggio 2014 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi l’avvocato Elisabetta Lanzetta per l’INPS e l’avvocato dello Stato Luca Ventrella per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso di una controversia previdenziale – avente ad oggetto la restituzione delle somme trattenute dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) sulle retribuzioni dei ricorrenti, in costanza del rapporto di lavoro, a titolo di contributo di solidarietà ai sensi dell’art. 64, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali) – l’adito Tribunale ordinario di Alessandria ha sollevato (r.o. n. 157 del 2012) questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111.
A tenore del quale le disposizioni di cui al richiamato art. 64 della legge n. 111 del 2011, la cui applicazione è invocata nel giudizio a quo, «si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex-dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio» e «In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa».
Premette il rimettente che la Corte di legittimità aveva, con più sentenze, diversamente interpretato il citato art. 64, nel senso – favorevole alla tesi dei ricorrenti – che il contributo di solidarietà, ivi previsto, fosso dovuto solo sulle prestazioni pensionistiche già erogate e non anche sulle retribuzioni dei lavoratori ancora in servizio.
Da qui la rilevanza della questione e la sua motivata non manifesta infondatezza, in riferimento agli artt. 3, 24 e 117 (rectius: 111) della Costituzione, rispettivamente, per lesione dell’affidamento riposto dai cittadini nella certezza del diritto, vulnus al diritto alla difesa ed ingerenza del potere legislativo nell’amministrazione della giustizia.
2.- Identica questione è stata sollevata dalla Corte d’appello di Torino (r.o. n. 160 del 2012), che ha evocato a parametri anche gli artt. 102 (in connessione all’art. 111) e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, per il profilo della violazione dei principi del giusto processo.
3.- In entrambi i giudizi si è costituito l’INPS per contestare la fondatezza della questione. Ed analoga conclusione ha formulato l’Avvocatura generale dello Stato, per l’intervenuto Presidente del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.- Questa Corte è chiamata a stabilire se l’art. 18, comma 19, del decreto legislativo 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111 – nel prevedere che le disposizioni di cui all’art. 64, comma 5, della legge 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali) «si interpretano nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria è dovuto sia dagli ex-dipendenti già collocati a riposo che dai lavoratori ancora in servizio» e che «In questo ultimo caso il contributo è calcolato sul maturato di pensione integrativa alla data del 30 settembre 1999 ed è trattenuto sulla retribuzione percepita in costanza di attività lavorativa» – violi:
– l’art. 3 della Costituzione, per lesione del principio dell’affidamento riposto dai cittadini nella certezza del diritto, riferita, nella specie, alla pregressa esegesi del richiamato art. 64, accolta dalla Corte di cassazione, nel senso che il contributo di solidarietà sulle prestazioni integrative fosse dovuto solo dagli ex dipendenti già collocati a riposo;
– l’art. 24 Cost., per il vulnus conseguentemente arrecato al diritto di difesa dei ricorrenti, nei giudizi promossi contro l’INPS;
– gli artt. 102 e 111 Cost., per la lesione della sfera di funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario;
– l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in ragione del prospettato contrasto con il principio del giusto processo, di leggi che, come quella censurata, si inseriscano nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di controversie in corso.
2.- La questione non è fondata.
2.1.- La norma oggetto di interpretazione autentica da parte della disposizione in questa sede censurata si inserisce nel quadro di un intervento di riordino degli enti previdenziali, attuato, appunto, con l’art. 64 della legge n. 144 del 1999.
Il punto centrale di tale intervento è costituito dalla soppressione (sub comma 2 del citato art. 64) dei fondi per la previdenza integrativa dell’assicurazione generale obbligatoria per i dipendenti degli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente) – ossia gli enti pubblici come INPS ed INAIL, facenti parte del cosiddetto Parastato – a decorrere dal 1° ottobre 1999, con contestuale cessazione delle corrispondenti aliquote contributive previste per il finanziamento dei fondi medesimi.
A tutti gli iscritti a detti fondi è stato, comunque, riconosciuto (sub comma 3 del medesimo art. 64) il diritto all’importo della pensione integrativa “maturata” alla data su indicata, con la previsione, altresì, di un meccanismo di rivalutazione annuale (sulla base degli indici ISTAT) dell’importo stesso a favore dei dipendenti (in servizio) che quella pensione integrativa avrebbero conseguito solo in prosieguo, al momento dell’acquisizione della pensione obbligatoria.
Ed al fine di attivare un meccanismo utile a garantire un sistema tendenzialmente autosufficiente, così da non gravare sulla generalità degli assicurati, la stessa legge n. 144 del 1999 ha, quindi, introdotto un «contributo di solidarietà»: dovuto – per testuale disposto dal comma 5 del predetto art. 64 – «sulle prestazioni integrative dell’assicurazione generale obbligatoria erogate o maturate presso i fondi […]».
2.1.1.- La questione esegetica relativa alla determinazione della platea dei soggetti tenuti a corrispondere il contributo in questione è stata, in prevalenza, risolta dai giudici di merito nel senso della riferibilità di tale obbligo contributivo non solo ai trattamenti integrativi in atto, ma anche alle somme maturate (sempre a titolo di trattamento pensionistico integrativo), da dipendenti in servizio, sulla base degli accantonamenti effettuati fino al 30 settembre 1999.
Dal che la conclusione – per quei giudici – che il contributo di solidarietà dovesse essere, appunto, versato anche da tali dipendenti, attraverso trattenute sulla retribuzione. E ciò in considerazione, oltre che dal riferimento fatto dalla legge al “maturato”, anche della pecularità del sistema per cui anche le pensioni “maturate” al 1° ottobre 1999 dai dipendenti in servizio, ma non liquidate, si rivalutavano, come detto, annualmente in base agli indici ISTAT (in deroga al principio generale per cui si rivaluta solo la pensione liquidata).
2.1.2.- La giurisprudenza di legittimità – che, sia pure ad altri fini, ma sempre a proposito della portata precettiva dell’art. 64 della legge n. 144 del 1999, aveva affermato che, con questa norma, il legislatore aveva inteso riconoscere indistintamente a tutti gli iscritti ai fondi integrativi, compresi quindi i dipendenti in servizio, il diritto alla corresponsione del trattamento integrativo nell’importo “maturato” al 1° ottobre 1999, solo posticipando, per essi, il momento in cui l’importo così determinato divenisse esigibile (Corte di cassazione, sentenza 9 settembre 2008, n. 23094) – si orientava poi, però, nel senso di ritenere che il contributo di che trattasi non dovesse, invece, gravare sulle retribuzioni dei dipendenti in servizio. E ciò sulla base della considerazione che il diritto alla prestazione integrativa – sulla quale la legge impone il contributo – si perfezioni non soltanto per effetto delle anzianità contributive maturate alla data del 1° ottobre 1999, ma nella ricorrenza anche di tutti gli altri presupposti costitutivi, contemplati dalla legge e dalle disposizioni regolamentari, tra cui l’intervenuta cessazione dal servizio (sentenza della sezione lavoro della Corte di cassazione n. 12735 del 2009 e successive conformi, della stessa sezione).
2.1.3.- È a questo punto che il legislatore interviene con la norma di (dichiarata) interpretazione autentica (del riferito art. 64, comma 5, della l. n. 144 del 1999), di cui, appunto, all’art. 18, comma 19, del d.l. n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, che i rimettenti sospettano, per il profilo della sua retroattività, in contrasto con i parametri sopra indicati.
2.2.- Al fine della delibazione della questione così sollevata, è opportuno premettere che questa Corte – con riguardo al divieto di retroattività della legge che, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata riservata dall’art. 25 Cost. esclusivamente alla materia penale (per tutte, sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, n. 393 del 2006) – ha già avuto occasione di precisare come al legislatore non sia, quindi, precluso di emanare, nel rispetto di tale previsione, norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), «purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti “motivi imperativi di interesse generale” ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU» (sentenza n. 264 del 2012).
Mentre, con più specifico riguardo alle norme di interpretazione autentica, si è pure già puntualizzato come l’intervento, in tal senso, del legislatore possa trovare giustificazione quando questo – risolvendosi nella enucleazione di una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo – sia volto a superare una situazione di oggettiva incertezza di tale testo, evidenziata, appunto dai suoi diversi indirizzi interpretativi, e non incida su situazioni giuridiche definitivamente acquisite, non ravvisabili in mancanza di una consolidata giurisprudenza dei giudici nazionali (sentenza n. 257 del 2011).
2.3.- Venendo ora all’esame del censurato art. 18, comma 19, del d.l. n. 98 del 2011, non è dubbio che quella in esso contenuta sia una disposizione non solo dichiaratamente di interpretazione autentica, ma anche effettivamente tale, una volta che – come riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione – nella norma interpretata, «l’espressione “prestazioni integrative maturate” può legittimamente essere letta, ai fini della imposizione del contributo di solidarietà, anche come alternativa a “prestazioni integrative erogate”, ove si consideri sia la disgiuntiva “o” posta tra di esse, come pure la circostanza che quando il legislatore ha voluto limitare la contribuzione di solidarietà ai soli trattamenti pensionistici già in godimento lo ha precisato in modo chiaro, usando il termine “corrisposti” (equivalente di erogati) e senza alcun richiamo a quelli semplicemente maturati» (sentenze n. 11092, n. 11087, n. 1497, n. 237 del 2012 e n. 22973 del 2011).
È innegabile altresì – ed anche su tal punto concorda la Corte di legittimità – che esistesse, nella specie, in ordine all’applicazione della norma interpretata, «una situazione di oggettiva incertezza, tradottasi in un conclamato contrasto di giurisprudenza destinato, per altro, a riproporsi in un gran numero di giudizi» (sentenza n. 7099 del 2014), stante l’assenza di un intervento risolutore delle sezioni unite, che potesse consolidare una delle due opzioni interpretative in termini di diritto vivente.
Con la conseguenza che lo ius superveniens non è suscettibile, in questo caso, di incidere su posizioni giuridiche acquisite, né su un affidamento che non poteva essere riposto su una disciplina di così controversa esegesi ed applicazione.
Per contro, va riconosciuta la rispondenza della impugnata disposizione interpretativa ad obiettivi d’indubbio interesse generale, e di rilievo costituzionale, quali, in primo luogo, quello della certezza del diritto e, parallelamente, quelli del ripristino dell’uguaglianza e della solidarietà, all’interno di un sistema di previdenza nel quale l’incremento del “maturato”, per effetto della rivalutazione, sarebbe stato, altrimenti, conseguito dai dipendenti in servizio senza contribuzione alcuna, mentre la rivalutazione delle prestazioni erogate ai pensionati trovava copertura nel contributo in questione, con conseguente ingiustificata disparità di trattamento (tra iscritti ai fondi soppressi) e squilibrio finanziario nella gestione della previdenza integrativa.
2.4.- In conclusione – alla luce dei richiamati principi, enunciati da questa Corte in tema di leggi di interpretazione autentica e di limiti alla correlativa adozione – deve essere, pertanto, escluso che la disposizione censurata contrasti con alcuno dei parametri evocati dai rimettenti.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 19, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevata dal Tribunale ordinario di Alessandria, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, e dalla Corte di appello di Torino, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà individuali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014.