Sentenza della Corte costituzionale 20 maggio 2013, n. 92

Pubblicato in:

G.U. 29 maggio 2013, n. 22

E’ illegittimo l’art. 38, co. 2,4,6 e 10, del d.l. n. 269/2003 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici) convertito, con modificazioni, dalla l. n. 236/2003 nella parte in cui stabilisce che, con effetto retroattivo, al custode giudiziario di autoveicoli sottoposti a fermo amministrativo spettano compensi inferiori rispetto a quelli previgenti. La generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica che costituisce la ratio della norma, non è sufficiente a giustificare la compressione dei diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi individuali e collettivi. La norma è peraltro in contrasto con l’art. 117 della Cost. in riferimento all’art. 1 del I Protocollo addizionale della CEDU che riconosce il diritto di ogni persona fisica o giuridica al rispetto dei propri beni ed il diritto in particolare di non essere privata della proprietà se non a causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste dalla legge nazionale e dai principi generali di diritto internazionale.

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto- legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso dalla Corte d’appello di Torino nel procedimento vertente tra Catalano Salvatore, nella qualità di titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, ed altri e il Ministero dell’interno ed altri, con ordinanza del 13 dicembre 2011, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione di Catalano Salvatore, nella qualità di titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, e della ASSI (Associazione soccorritori stradali italiani), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi;

uditi l’avvocato Fulvio Lorenzo Monti per Catalano Salvatore, nella qualità di titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, e per la ASSI e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 13 dicembre 2011, la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, «nella parte in cui riconosce al custode, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti».

Premette il giudice rimettente di essere stato investito a seguito di appello proposto dalla Autocarrozzeria SAGI avverso la sentenza n. 6945, pronunciata il 22 ottobre 2008 dal Tribunale di Torino, con la quale era stata respinta la domanda avanzata dal titolare della stessa autocarrozzeria intesa ad ottenere, da parte del Ministero dell’interno, della Agenzia del demanio, del Comune di Torino e del Comune di Settimo Torinese, la liquidazione del compenso per il servizio di custodia di veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca, secondo le tariffe concordate con la Prefettura di Torino e per gli importi quantificati dalla parte attrice e non riconosciuti, con conseguente asserita violazione degli accordi tariffari.

Aveva, al riguardo, stabilito il primo giudice che la posizione assunta dalla Prefettura di Torino doveva ritenersi corretta, in quanto in linea con il disposto dell’art. 38 del d.l. n. 269 del 2003, la cui ratio era quella di smaltire le giacenze di veicoli di epoca più risalente e di contenere i costi a carico degli enti pubblici, attraverso una particolare procedura di alienazione forzata in capo al depositario, anche ai fini della rottamazione, dei veicoli in custodia. Disciplina, questa, della quale univoci indici normativi contrassegnavano la efficacia retroattiva rispetto ai rapporti non esauriti.

A fronte di tale pronuncia, l’appellante deduceva la illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 6, del citato d.l. n. 269 del 2003, sul rilievo che la relativa disciplina avrebbe introdotto un’irragionevole disparità di trattamento tra coloro che avevano già conseguito la liquidazione dei compensi in data antecedente alla entrata in vigore di tale disposizione o avevano ricevuto in affidamento veicoli in data successiva al 30 settembre 2001, per i quali trovava applicazione la previgente disciplina dettata dal d.P.R. 29 luglio 1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma, e 17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente modifiche al sistema penale).

In punto di rilevanza, il giudice a quo segnala come la controversia non possa essere risolta se non attraverso l’applicazione delle norme denunciate e, in particolare, del comma 6 del medesimo art. 38. Risulterebbe, infatti, pacifico tra le parti che la domanda abbia ad oggetto il riconoscimento del compenso spettante per rapporti di custodia in corso alla data di entrata in vigore della nuova disciplina e relativi a veicoli che rientrano nella previsione dettata dal comma 2. Del pari incontroversa sarebbe la circostanza che, per i rapporti di custodia oggetto di causa, sussistano i presupposti per dar corso alla procedura straordinaria di alienazione dei veicoli, anche ai soli fini della rottamazione, ai titolari del deposito. Si tratterebbe, infatti di una situazione che si iscrive nella “finestra” temporale determinata, da un lato, dai rapporti esauriti e liquidati prima della entrata in vigore della norma e, dall’altro, dai rapporti iniziati dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti veicoli privi degli indicati requisiti di vetustà, per i quali operano le vecchie tariffe.

In punto di non manifesta infondatezza, il giudice rimettente sottolinea come non sia revocabile in dubbio la portata retroattiva della disposizione oggetto di censura: essa è stata, infatti, introdotta espressamente “in deroga” rispetto alla previgente disciplina; comporta una decurtazione annua del 20% del compenso, necessariamente riferito alle annualità maturate alla data di entrata in vigore della novella; opera per i rapporti di custodia iniziati prima del 1° ottobre 2001 ed è in connessione con le procedure di alienazione o rottamazione straordinaria già avviate dalle Prefetture, ma non ancora concluse alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Tutto ciò sarebbe, d’altra parte, in linea con la ratio del provvedimento di urgenza, destinato a ridurre, non solo per il futuro, gli ingenti oneri di custodia per veicoli privi di valore commerciale residuo.

Al lume della consistente giurisprudenza costituzionale in tema di limiti della retroattività, sopra i quali l’ordinanza diffusamente si sofferma, occorrerebbe interrogarsi – ad avviso del rimettente – su quali siano, nel caso di specie, gli interessi di rilevanza costituzionale o di particolare pregnanza tali da giustificare l’efficacia retroattiva della disposizione denunciata.

Sul punto, non potrebbero soccorrere le semplici esigenze di contenimento della spesa pubblica: per un verso, infatti, si inciderebbe su diritti già maturati e, sotto altro profilo, il sacrificio connesso al ripianamento finanziario dovrebbe essere fatto gravare su tutti i consociati e non su una piccola porzione – tra gli stessi custodi – individuati secondo parametri casuali: ciò che genererebbe effetti discriminatori anche sul versante della stessa portata retroattiva. Inoltre, l’emergenza, cui la norma avrebbe inteso porre rimedio, non sarebbe imputabile ai custodi ma, semmai, alla inerzia della amministrazione, che non avrebbe dato tempestivo corso alle procedure di vendita o di rottamazione dei veicoli, con evidente pregiudizio dell’affidamento circa il riconoscimento delle tariffe inizialmente pattuite. Né, a fronte di tutto ciò, potrebbe obiettarsi che la contropartita per i custodi sia rappresentata dalla contestuale alienazione forzosa in loro favore dei veicoli, trattandosi di beni sostanzialmente privi di valore economico.

Le considerazioni, poi, che potrebbero svolgersi in ordine al principio di buon andamento della pubblica amministrazione e di tutela dell’ambiente, in ragione della natura inquinante dei materiali custoditi, avrebbero dovuto formare oggetto di una disciplina a regime.

Si denuncia, infine, un contrasto anche con l’art. 117 [verosimilmente primo comma] Cost., in riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, in quanto la norma censurata vulnererebbe il diritto di non essere privati della proprietà se non per causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste dalla legge nazionale e dai princìpi generali di diritto internazionale. Il tutto secondo la interpretazione data a questo principio dalla Corte di Strasburgo, attenta a rimarcare la necessità, oltre che della certezza del diritto e della prevedibilità del quadro normativo, di «trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e le esigenze individuali di tutela dei diritti fondamentali» nonché di individuare «un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della proprietà».

2. – Si sono costituite in giudizio la parte privata Autocarrozzeria SAGI e l’interveniente Associazione Soccorritori Stradali Italiani (ASSI), chiedendo una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata.

3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo dichiararsi manifestamente infondata la proposta questione.

Reputa l’Avvocatura che la disciplina in questione rinvenga una ragionevole causa giustificatrice nella esigenza di risanamento dei conti pubblici determinata dalla protrazione, di lunga durata, dei rapporti di custodia di veicoli oggetto di sequestro amministrativo, nonché nella ugualmente fondamentale esigenza di eliminare, nei tempi più rapidi, e comunque non differibili, i veicoli sequestrati da lunga durata, perché dannosi per la salubrità dell’ambiente e, talora, per la salute collettiva.

D’altra parte, la questione sarebbe già stata esaminata e risolta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5306 del 2007, che ha ritenuto la normativa in esame frutto di scelte discrezionali del legislatore, giustificate dalle esigenze innanzi descritte.

4. – In prossimità dell’udienza, la SAGI Autocarrozzeria ha insistito, con una memoria, nelle già rassegnate conclusioni.

Le esigenze di contenimento della spesa pubblica, poste a fondamento della normativa censurata, sarebbero state nella specie accollate esclusivamente all’incolpevole custode e a suo detrimento, senza la previsione di altrettanto eccezionali e derogatori poteri di riscossione per sanzioni e spese di trasporto-custodia nei confronti dei trasgressori.

Nella normativa a regime si inciderebbe, poi, sul piano strutturale, prendendo in considerazione una nuova categoria di soggetti “custodi-acquirenti”, diversa dai custodi di cui al D.P.R. n. 571 del 1982, destinati ad essere «individuati con procedure di evidenza pubblica ed a cui saranno note ex ante le condizioni, i ricavi per le prestazioni e che godranno infine di un termine garantito di vigenza del contratto».

La vecchia normativa, d’altra parte, non è stata soppressa ed anzi essa è oggetto di perdurante applicazione per i veicoli presi in custodia dal 1° ottobre 2001 e almeno sino a tutto il gennaio-febbraio 2010. Si determinerebbe, quindi, una ingiustificata disparità di trattamento tra quanti abbiano ricevuto la liquidazione del compenso in data antecedente all’entrata in vigore del provvedimento in questione o abbiano ricevuto in affidamento i veicoli in data successiva al 30 settembre 2001.

L’intervento legislativo in esame non sarebbe destinato a incidere sul potere dispositivo di beni o su attività economiche per finalità di ordine generale ovvero ad eliminare o ridurre normative di privilegio: al contrario, la portata retroattiva della norma modificherebbe un rapporto contrattuale per la gestione di un servizio pubblico esercitato tramite privati e, per di più, a fronte di inadempienze palesi della pubblica amministrazione. Ne risulterebbe, pertanto, violato il principio di affidamento, messo in evidenza in più pronunce di questa Corte.

Sottolineato, poi, come il principio di irretroattività della legge in riferimento ai rapporti di durata sia stato più volte affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la memoria evidenzia che l’effetto pratico conseguente alla nuova disciplina consisterebbe nella possibile diversità in ordine ai trattamenti sanzionatori di identiche violazioni, oltre che nel possibile “indebito arricchimento” da parte dello Stato ai danni del custode. Né, d’altra parte, potrebbe addursi a giustificazione l’attuale condizione di «dissesto finanziario dello Stato», risalendo la norma al 2003.

Si sottolinea, inoltre, il contrasto della disposizione denunciata con il concetto di “alienazione” «quale attività contrattuale diretta a modificare un rapporto giuridico»: travisando «la natura stessa del negozio giuridico», sarebbe previsto non di espropriare qualcosa per finalità di interesse pubblico ma, addirittura, di vendere forzosamente un bene «che il privato non vuole acquistare né per cui ha mai assunto alcun obbligo in tal senso»; risultando, peraltro, indubitabile che, «nel nostro regime giuridico, non si possano imporre scelte contrattuali con un provvedimento amministrativo», fra l’altro modificando in ipotesi pregressi accordi negoziali.

Sussisterebbe, infine, violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per lesione del diritto di proprietà, alla luce di varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale in ordine al valore di tali pronunce.

Considerato in diritto

1. – Chiamata a pronunciarsi in sede di appello – proposto avverso la sentenza con la quale, in applicazione della disciplina introdotta dall’art. 38 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il giudice di primo grado aveva respinto la domanda formulata dal gestore di una autocarrozzeria diretta a ottenere la liquidazione del compenso per un servizio di custodia di veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca in conformità alle tariffe concordate con la Prefettura di Torino –, la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del medesimo art. 38, commi 2, 4, 6 e 10, del predetto decreto-legge n. 269 del 2003, «nella parte in cui riconosce al custode, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a quelli previgenti».

Innovando, infatti, profondamente la disciplina previgente in materia di compensi da riconoscere ai custodi di veicoli sequestrati, l’art. 38 denunciato stabilisce, al comma 2, che i veicoli giacenti presso le depositerie autorizzate a seguito di sequestro e sanzioni accessorie previste dal codice della strada, o quelli non alienati per mancanza di acquirenti, «purché immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse storico e collezionistico, comunque custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 2003, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito.». Quanto al corrispettivo dell’alienazione, il comma 4 prevede che esso sia determinato «dalle Amministrazioni procedenti in modo cumulativo per il totale dei veicoli che ne sono oggetto», tenuto conto di una serie di elementi e sulla base di un computo delle somme dovute secondo i criteri di cui al successivo comma 6, «in relazione alle spese di custodia, nonché degli eventuali oneri di rottamazione che possono gravare sul medesimo depositario-acquirente». A proposito di compensi, il comma 6 stabilisce che, in deroga al previgente sistema tariffario, al custode viene riconosciuto «un importo complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, calcolato, per ciascuno degli ultimi dodici mesi di custodia in euro 6,00 per i motoveicoli ed i ciclomotori, in euro 24,00 per gli autoveicoli ed i rimorchi di massa complessiva inferiore a 3,5 tonnellate, nonché per le macchine agricole ed operatrici, ed in euro 30,00 per gli autoveicoli ed i rimorchi di massa complessiva superiore a 3,5 tonnellate. Gli importi sono progressivamente ridotti del venti per cento per ogni ulteriore anno, o frazione di esso, di custodia del veicolo, salva l’eventuale intervenuta prescrizione delle somme dovute.». Il comma 10 del medesimo articolo ne estende, poi, la relativa disciplina anche alle procedure di alienazione o rottamazione straordinaria che, alla data di entrata in vigore del decreto siano state avviate dalle singole prefetture-uffici territoriali del Governo, ove non ancora concluse, prevedendo che i compensi dei custodi siano determinati ai sensi del comma 6, «salvo che a livello locale siano state individuate condizioni di pagamento meno onerose per l’erario».

A parere del giudice a quo, la disciplina impugnata, nella parte in cui determina effetti retroattivi in peius circa il regime dei compensi spettanti ai custodi, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost., in quanto l’emanazione di norme retroattive per il contenimento della spesa pubblica non può incidere sui diritti acquisiti, specie quando, come nella specie, il sacrificio economico non sia imposto a tutti i consociati, ma ad una sola categoria (i custodi giudiziari), per la quale, fra l’altro, la decurtazione del compenso di custodia incide solo su una ristretta cerchia, individuata secondo parametri casuali, quali la titolarità del rapporto di custodia da almeno due anni prima della entrata in vigore della norma e relativo a veicoli immatricolati da più di cinque anni.

Si appaleserebbe, inoltre, un contrasto con l’art. 117 [verosimilmente primo comma] Cost., in riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, dal momento che tale disposizione interposta espressamente riconosce il diritto di ogni persona fisica o giuridica al rispetto dei propri beni ed il diritto, in particolare, di non essere privata della proprietà se non a causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste dalla legge nazionale e dai principi generali di diritto internazionale. Diritto che, nella specie, la portata retroattiva della norma violerebbe, in quanto sarebbe compromesso il principio di certezza e prevedibilità del quadro normativo e non raggiunto l’obiettivo di «trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e le esigenze individuali di tutela dei diritti fondamentali», individuando «un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della proprietà».

2. – La questione è fondata.

3. – La ratio ispiratrice della disciplina – come si è già accennato, profondamente innovativa – introdotta dal decreto-legge n. 269 del 2003 risulta dichiaratamente informata all’esigenza – di primario risalto, in considerazione degli elevati oneri per l’erario dello Stato – del contenimento delle spese di custodia per i veicoli assoggettati a misure di fermo o sequestro e successivamente a confisca, a seguito di infrazioni al codice della strada. L’obiettivo perseguito è stato quello di ridurre al minimo la protrazione della custodia onerosa presso terzi dei veicoli sottoposti a misura di fermo o di sequestro amministrativo: obiettivo che – come puntualizza la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione – prevede, a regime, due linee di intervento concorrenti, entrambe innovative rispetto alla disciplina previgente.

Da un lato, infatti, viene introdotto, a carico dei trasgressori o dei proprietari dei veicoli sequestrati o fermati, uno specifico obbligo di diretta custodia del veicolo, prevedendo, nei confronti dei soggetti che non prestino ottemperanza, una elevata sanzione amministrativa pecuniaria e la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida. Attraverso la “traslazione”, in capo allo stesso contravventore, dell’obbligo di custodia della vettura sottoposta a fermo o sequestro, il legislatore si è chiaramente posto in una prospettiva tendenzialmente “soppressiva” della figura dei “semplici” custodi amministrativi, giacché l’intervento di questi è previsto solo come ipotesi alternativa e residuale.

Dall’altro lato, è previsto, per i casi di rifiuto di assunzione della custodia del veicolo da parte del proprietario o del trasgressore, un meccanismo di alienazione coattivo del mezzo, in favore del soggetto terzo (il depositario), al quale lo stesso deve essere affidato in custodia. «La ragione di tale intervento – precisa ancora la relazione – è data dalla necessità di predisporre un rimedio strutturale ed efficace alle conseguenze derivanti dalla lunga permanenza dei veicoli in giacenza presso le depositerie, che si risolve per lo Stato in un’abnorme moltiplicazione dei costi connessi alla loro gestione».

4. – Le innovazioni che hanno contrassegnato tanto i soggetti chiamati a svolgere la funzione di custode dei veicoli sottoposti a provvedimenti amministrativi di fermo, sequestro e poi di confisca, quanto il peculiare regime che caratterizza lo specifico ruolo dei “custodi-acquirenti” (la cui individuazione, diritti e attività hanno formato oggetto di analitica disciplina da parte dell’art. 214-bis del nuovo codice della strada, parimenti introdotto dalla disposizione oggetto di impugnativa), devono, dunque, essere tenute presenti agli effetti dell’odierno scrutinio, in una con il segnalato e rilevante intento economico perseguito dal legislatore, per misurare se e “quanto” di tale ratio normativa possa essere pertinentemente evocato per giustificare la particolare disposizione intertemporale oggetto di censura.

Ebbene, dalla normativa denunciata si evince che: 1) i veicoli giacenti presso le depositerie o quelli non alienati per mancanza di acquirenti – purché a) immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse storico e collezionistico e b) comunque custoditi da oltre due anni alla data del 30 settembre 2003, anche se non confiscati – sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito; 2) il corrispettivo della alienazione è determinato dalla amministrazione – in deroga alle tariffe di cui all’art. 12 del d.P.R. 29 luglio 1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma, e 17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente modifiche al sistema penale), decreto emanato per l’attuazione della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – sulla base dei criteri stabiliti dal comma 6 in relazione alle spese di custodia nonché agli oneri di rottamazione, che possono gravare sul depositario-acquirente; 3) le procedure di alienazione o rottamazione che, alla data di entrata in vigore del decreto, non fossero ancora concluse, sono assoggettate alla relativa disciplina, mentre, quanto ai compensi da riconoscere ai custodi e non ancora liquidati, si applicano i criteri sanciti dal comma 6 dell’art. 38, «salvo che a livello locale siano state individuate condizioni di pagamento meno onerose per l’erario».

Quelli che vengono qui in discorso sono, dunque, rapporti di custodia che, come puntualizza il giudice a quo, risultano ratione temporis iscritti in un «regime “intermedio”, perché ricompresi nella “finestra” temporale rappresentata, da un lato, dai rapporti già esauriti ed eventualmente non ancora liquidati (sulla base delle vecchie tariffe) all’entrata in vigore delle modificazioni apportate dall’art. 38 citato; e, dall’altro, dai rapporti (a loro volta pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma) aventi ad oggetto custodie iniziate dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti veicoli privi dei suddetti requisiti di vetustà (assoggettati anch’essi alle vecchie tariffe)».

5. – È noto come la giurisprudenza di questa Corte si sia più volte soffermata sulla legittimità delle norme retroattive, in genere, e di quelle destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non può ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole, anche se l’oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi “perfetti”: ciò, peraltro, alla condizione che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis, sentenza n. 166 del 2012).

Il profilo che qui, tuttavia, viene in risalto è rappresentato non soltanto da un “generico” affidamento in un quadro normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma da quello “specifico” affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in un rapporto convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e titolari di aziende di deposito di vetture, secondo una specifica disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto l’accordo e assunto le rispettive obbligazioni.

L’affidamento appare qui, in altri termini, rivolto non tanto alle astratte norme regolative del rapporto, o alla relativa loro “sicurezza”, quanto, piuttosto, al concreto contenuto dell’accordo e dei reciproci e specifici impegni assunti dalle parti al momento della stipula della convenzione di deposito: impegni sulla cui falsariga, come accade in ogni ordinaria dinamica contrattuale, si sono venuti a calibrare i rispettivi oneri di ordine anche economico, oltre che le corrispondenti aspettative.

È del tutto evidente, infatti, che altro sono la natura e le dimensioni, anche finanziarie, delle attività che il custode deve espletare per prelevare e custodire i veicoli assoggettati a misure di fermo, sequestro o confisca (e rispetto alle quali ha informato dimensioni, investimenti e in genere l’organizzazione della propria impresa); altro è l’attività connessa all’automatico acquisto (per di più, a prezzo unilateralmente “imposto”) dei veicoli ed alla relativa rivendita o rottamazione.

Più che sul piano di una “astratta” ragionevolezza della volontà normativa, deve, dunque, ragionarsi, ai fini dell’odierno sindacato, sul terreno della ragionevolezza “complessiva” della “trasformazione” alla quale sono stati assoggettati i rapporti negoziali di cui alla disposizione intertemporale denunciata. Ed appare ovvio che tale ragionevolezza “complessiva” dovrà, a sua volta, essere apprezzata nel quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli interessi – tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro di cui all’art. 3 Cost. – che risultano nella specie coinvolti: ad evitare che una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi.

6. – Su basi come queste, la disciplina denunciata ha finito per generare una sorta di novazione, sotto più di un profilo, del rapporto intercorrente tra le parti: da un lato, il custode, o depositario, del veicolo è divenuto un acquirente ex lege del medesimo, con nuovi e diversi obblighi; dall’altro, l’originaria liquidazione delle somme dovute al custode, secondo le tariffe previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982 (con rinvio anche agli usi locali), è stata sostituita con il riconoscimento di «un importo complessivo forfettario», determinato, espressamente «in deroga», secondo i criteri indicati.

Il rapporto tra depositario e amministrazione è risultato, così, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo e, anzi, con l’imposizione di oneri non previsti né prevedibili, né all’origine né in costanza del rapporto medesimo; al punto da potersi escludere che, al di là delle reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato bilanciamento tra le esigenze contrapposte.

Né può trascurarsi di sottolineare la portata discriminatoria della norma denunciata anche nel quadro dei rapporti non definiti, posto che restano assoggettate al previgente sistema (anche tariffario) situazioni di custodia di veicoli immatricolati in tempi più recenti o custoditi da meno tempo, mentre vengono, invece, sottoposti al nuovo regime rapporti di custodia già esauriti ma non ancora liquidati.

7. – Ebbene, la disposizione retroattiva, specie quando determini effetti pregiudizievoli rispetto a diritti soggettivi “perfetti” che trovino la loro base in rapporti di durata di natura contrattuale o convenzionale – pubbliche o private che siano le parti contraenti – deve dunque essere assistita da una “causa” normativa adeguata: intendendosi per tale una funzione della norma che renda “accettabilmente” penalizzata la posizione del titolare del diritto compromesso, attraverso “contropartite” intrinseche allo stesso disegno normativo e che valgano a bilanciare le posizioni delle parti.

Il che non pare affatto essersi realizzato nel caso di specie, dal momento che gli interessi dei custodi – assoggettati, ratione temporis, al nuovo e, per i profili denunciati, pregiudizievole, regime di rapporti e di determinazione dei relativi compensi – risultano esser stati compromessi in favore della controparte pubblica, senza alcun meccanismo di riequilibrio ed in ragione, esclusivamente, di un risparmio per l’erario, che non può certo assumere connotati irragionevolmente, lato sensu, “espropriativi”.

La riscontrata violazione dell’art. 3 Cost. assorbe gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale denunciati.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2013.