Sentenza della Corte costituzionale 20 giugno 2017, n. 166

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G.U. 19 luglio 2017, n. 29

Con la sentenza n. 166/2017, la C. cost. è tornata sulla questione della violazione dei diritti sostanziali in materia pensionistica per l’applicazione da parte dell’INPS del criterio del ricalcolo della retribuzione dei lavoratori migranti in Svizzera. Il novum e unico motivo di censura alla base della nuova censura contro l’art. 1, co. 777, l. n. 296/2006 (Legge finanziaria 2007) è stata la sentenza della Corte europea dei diritti umani del 2014, Stefanetti e altri c. Italia. Con detta sentenza, la Corte europea ha ritenuto che lo Stato italiano, con l’art. 1, co. 777, l. n. 296/2006, abbia violato il diritto dei ricorrenti imponendo una riduzione eccessiva e sproporzionata delle loro pensioni. Per la C. cost., la questione di legittimità costituzionale – sollevata con riferimento all’art. 117, co.1, Cost. (rispetto degli obblighi internazionali) in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU n. 1 e all’art. 6, par. 1, della CEDU come interpretati dalla Corte di Strasburgo – era, però, inammissibile, in quanto la sentenza Stefanetti non ha innovato la giurisprudenza precedente (Maggio e altri c. Italia, 2011). Spetta quindi al legislatore indicare la soglia (fissa o proporzionale) e il limite di non riducibilità delle “pensioni svizzere” e il rimedio per il diritto leso. Tuttavia, nel dichiarare la questione inammissibile, la C. cost. ha evidenziato che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine alla questione sollevata dalla Corte europea.

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», promosso dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra N. B. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza dell’11 marzo 2015, iscritta al n. 96 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 giugno 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato Sergio Preden per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di un giudizio civile – promosso da una lavoratrice contro l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), per ottenere la riliquidazione della maturata pensione di anzianità, sulla base della retribuzione effettivamente percepita durante il periodo di lavoro in Svizzera in luogo di quella inferiore figurativamente rideterminata dall’Istituto, in rapporto alle aliquote contributive svizzere più basse di quelle italiane – la Corte di cassazione, adita su ricorso della pensionata N. B. avverso la sentenza d’appello favorevole all’INPS, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale della norma, che la ricorrente lamentava violata, di cui all’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)».

La norma denunciata – in dichiarata interpretazione dell’art. 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria) – prevede che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, «moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono».

La Corte rimettente ricorda che la predetta disposizione è già stata oggetto di sindacato da parte di questa Corte, che, con la sentenza n. 172 del 2008, ha respinto i dubbi (sollevati dalla stessa Corte di cassazione) di contrasto con gli artt. 3, primo comma, 35, quarto comma, e 38, secondo comma, della Costituzione; e, con la successiva sentenza n. 264 del 2012, ha respinto l’ulteriore censura (ancora una volta formulata da essa Corte di cassazione) di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, ritenendo che, nella fattispecie, rispetto alla tutela dell’interesse sotteso al richiamato parametro europeo, come interpretato dalla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 31 maggio 2011, in causa Maggio e altri c. Italia, specificatamente relativa al medesimo art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 (l’interesse, cioè, al giusto processo, per il profilo della non interferenza del corpo legislativo su giudizi in corso a fini di condizionamento del correlativo esito in favore dello Stato o di altro soggetto pubblico), «prevale quella degli interessi antagonisti, di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi, quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva». E ciò in quanto «gli effetti di detta disposizione ricadono nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, e assicura[no] la razionalità complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti e a vantaggio di altri, e così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali».

Tanto premesso, il giudice a quo solleva ora un diverso dubbio di legittimità costituzionale della norma in questione, in riferimento sempre all’art. 117, primo comma, Cost., ma in relazione al parametro interposto di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, oltre che a quello di cui all’art. 6, paragrafo 1, della stessa Convenzione.

Ciò in quanto, dopo la sentenza “Maggio” (che aveva escluso il pur denunciato contrasto dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 anche con l’art. 1 del menzionato Protocollo), la Corte EDU, con la sentenza del 15 aprile 2014, in causa Stefanetti e altri c. Italia, ha invece accertato che la disposizione interpretativa, o comunque retroattiva, del 2006 avrebbe provocato un sacrificio eccessivo, e ingiustificato per le sue dimensioni, del diritto pensionistico dei nove ricorrenti.

Con la conseguenza che – poiché «una comparazione tra questa ulteriore e specifica violazione di una norma CEDU (art. 1 del Protocollo addizionale) ed altri interessi costituzionalmente rilevanti non è offerta dalla decisione n. 264 del 2012» – si impone, secondo la Corte rimettente, una nuova «complessiva» valutazione della legittimità della norma denunciata, «in riferimento anche all’accertata violazione dei diritti sostanziali in materia pensionistica dei lavoratori migranti in Svizzera»: valutazione che «va rimessa all’autorità della Corte delle leggi, in ossequio allo spirito e alla lettera dell’orientamento di questa sin dalle due decisioni del 2007 (n. 348 e n. 349) sui poteri del Giudice ordinario in ordine a un accertato contrasto tra ordinamento interno e ordinamento convenzionale».

2.– In questo giudizio, si è costituito l’INPS, che ha concluso per la non fondatezza della questione sollevata, ritenendo che la valutazione di conformità a Costituzione della normativa impugnata, già espressa da questa Corte con sentenza n. 264 del 2012, possa essere estesa anche al parametro oggi invocato.

Ciò sul rilievo che la richiamata sentenza “Stefanetti” «non costituisc[a] affatto un indirizzo univoco e consolidato della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo», attesa la sua adozione solo a maggioranza, con l’opinione dissenziente di due giudici, e stante il precedente, di segno contrario, della sentenza “Maggio”. E anche in considerazione del fatto che «con la sentenza Stefanetti la Corte EDU è giunta ad affermare la responsabilità dello Stato italiano all’esito di valutazioni vertenti sulle specifiche peculiarità dei singoli casi al vaglio», in quanto caratterizzati dalla più elevata riduzione (67% circa) della pensione subita dai ricorrenti per effetto del ricalcolo ex lege n. 296 del 2006, ravvisabile in solo marginali ipotesi rispetto alla platea delle oltre 76.000 pensioni liquidate (al gennaio 2014) con il concorso della contribuzione svizzera.

Non disconosce, peraltro, l’Istituto che «per la pensionata ricorrente nel giudizio a quo possa forse sussistere un sacrificio individuale di entità paragonabile a quello rilevato dalla ripetuta sentenza Stefanetti», essendole stata corrisposta una pensione mensile di euro 382,00 in luogo di quella, di euro 1.216,00 che le sarebbe spettata in assenza della riparametrazione. Ma sottolinea come ciò dipenda dai «25 anni di lavoro prestato in Svizzera [che] le hanno comportato il versamento (ed il successivo trasferimento all’INPS) di complessivi € 31.038,40 a titolo di contributi previdenziali», mentre «[s]e il medesimo periodo di lavoro fosse stato svolto in Italia il corrispettivo dei contributi versati sarebbe stato pari ad € 102.250,66». Per cui, «[i]n assenza della riparametrazione della retribuzione pensionabile, l’ammontare dei contributi trasferiti dalla Svizzera […] sarebbe stato dunque sufficiente a coprire il costo di soli due anni di pensione».

2.1.– Aggiunge, infine, l’Istituto, con memoria successivamente depositata, che l’onere connesso all’eventuale ricalcolo delle pensioni liquidate con i contributi trasferiti dalla Svizzera (stimati, da esso Istituto, in «una somma superiore ai 5 miliardi e mezzo di Euro in relazione al periodo 2016-2025») «appare di entità tale da poter incidere sulla tenuta e sull’equilibrio del sistema previdenziale».

3.– È altresì intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha parimenti concluso per la non fondatezza della questione, ribadendo, a sua volta, che la disposizione censurata, da un lato, assicurerebbe coerenza e razionalità al sistema e, dall’altro, terrebbe conto, nella giusta misura, dell’esigenza di garantire l’equilibrio tra mezzi disponibili e prestazioni previdenziali erogabili, nel rispetto, sia dell’art. 3 Cost., che impone l’osservanza del canone di uguaglianza in senso formale e sostanziale, sia del vincolo imposto dall’art. 81, quarto [recte:terzo] comma, Cost.

Considerato in diritto

1.– Questa Corte è chiamata nuovamente a decidere se l’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)» – che, nel fornire la interpretazione dell’art. 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria), sostanzialmente prevede che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, introducendo nell’ordinamento una interpretazione della disciplina de qua in senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati – si ponga in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione, in questo caso, all’art. 1 del Protocollo addizionale, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (CEDU), ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

2.− Come ricordato dalla (anche in questo giudizio rimettente) Corte di cassazione, sezione lavoro, la disposizione di cui al comma 777 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 – della quale era già stato escluso il contrasto con gli artt. 3, 35 e 38 Cost. (sentenza n. 172 del 2008) – ha superato il successivo vaglio di costituzionalità anche in relazione al poi prospettato suo contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte di Strasburgo del 31 maggio 2011, Maggio e altri c. Italia, che aveva ritenuto violata detta norma convenzionale dalla disposizione italiana su citata.

Il riferimento va, per tal ultimo profilo, alla sentenza n. 264 del 2012 (cui ha fatto seguito l’ordinanza n. 10 del 2014), con la quale questa Corte – premesso che ad essa spetta di «opera[re] una valutazione sistemica e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata» – ha ritenuto che, nel bilanciamento tra la tutela dell’interesse sotteso alla richiamata norma convenzionale (art. 6, paragrafo 1, CEDU) e la tutela degli altri interessi costituzionalmente protetti, «prevale quella degli interessi antagonisti di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata, in relazione alla quale sussistono, quindi, quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva». Legislazione che si riconosce essere, in questo caso, «ispirata, invero, ai principi di uguaglianza e di proporzionalità», in quanto tiene conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera sono notevolmente inferiori a quelli versati in Italia e, in ragione di ciò, opera «una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, a livellare i trattamenti, per evitare sperequazioni, e a rendere sostenibile l’equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni».

3.– La Corte rimettente non contesta che la ponderazione degli interessi antagonisti, di pari rilievo costituzionale, incisi dalla norma sospetta di illegittimità debba essere “sistematica” e non “frazionata”, né che il conseguente correlativo bilanciamento vada «rimess[o] all’autorità della Corte delle leggi».

Ma in ragione di tale premessa, appunto, ritiene che la «complessiva», e «complessa», valutazione degli interessi che entrano in gioco, e che reclamano tutela a fronte della disciplina retroattivamente introdotta dal comma 777 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, debba essere nuovamente demandata a questa Corte, «in riferimento anche alla […] violazione dei diritti sostanziali di natura pensionistica dei lavoratori migranti».

E ciò poiché la violazione di siffatti diritti, suscettibile di innescare un vulnus alla norma interposta di cui all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU (e, per tal via, al precetto di cui al primo comma dell’art. 117 Cost.) – a suo tempo esclusa dalla ricordata sentenza CEDU, Maggio e altri c. Italia, del 2011 – è stata successivamente, invece, accertata dalla stessa Corte di Strasburgo, con la sentenza Stefanetti e altri c. Italia, del 15 aprile 2014.

«Una comparazione tra questa ulteriore e specifica violazione di una norma CEDU (art. 1 del Protocollo addizionale) e altri interessi costituzionalmente rilevanti», coinvolti nella disciplina nazionale censurata, «non è offerta» – aggiunge la rimettente – «dalla decisione n. 264/2012 che anzi insiste, come argomento rilevante, sulla mancata condanna dell’Italia, sul punto, nella sentenza Maggio».

4.– Il «fatto nuovo» (e motivo unico di censura) alla base della reiterata impugnativa della disposizione di cui all’art. 1 comma 777, della legge n. 296 del 2006 è rappresentato, dunque, dalla richiamata sentenza “Stefanetti” della CEDU.

4.1.– Con detta sentenza, la Corte di Strasburgo ha bensì ravvisato (sia pur con l’opinione dissenziente di due suoi componenti) un contrasto dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU. Ma ciò non prima di aver confermato (al punto 58 del Considerato) che, nella precedente causa Maggio e altri contro Italia, il fatto che i ricorrenti avessero perso meno della metà della pensione equivaleva a una «riduzione ragionevole e proporzionata» (coerente alla finalità perequativa della citata legge nazionale del 2006), e solo dopo avere – in linea, e non in discontinuità, con tale premessa – sottolineato come a diversa conclusione perveniva ora essa Corte EDU con specifico e limitato riferimento alla posizione particolare dei nuovi ricorrenti. Per la ragione che questi, in conseguenza del trasferimento in Italia dei contributi versati in Svizzera, avevano subito una ben più incisiva decurtazione (di circa 2/3) della pensione, cui avrebbero avuto altrimenti diritto.

Il che – «alla luce di tutti i fattori pertinenti» al caso in esame (i ricorrenti avevano «versato contributi per tutta la vita»; avevano trasferito in Italia la contribuzione maturata in Svizzera in un momento in cui avevano l’aspettativa di poter percepire pensioni più elevate; avevano finito con l’ottenere «meno della pensione media italiana») – ha appunto indotto la Corte di Strasburgo a ritenere che, «nella specie», le riduzioni delle retribuzioni pensionabili, operate dall’INPS in applicazione del parametro fissato dalla norma interpretativa, «hanno inciso sullo stile di vita dei ricorrenti e ne hanno ostacolato il godimento in modo sostanziale».

Vulnus – quello così ravvisato – per il quale la stessa Corte EDU, con successiva sentenza in data 1° giugno 2017, ha ritenuto, comunque, congruo il rimedio di un indennizzo quantificato in misura non superiore al 55 per cento della differenza tra la pensione percepita e quella cui altrimenti avrebbe avuto diritto ciascun ricorrente, in base alla normativa oggetto della successiva censurata sua interpretazione.

4.2.– Non è esatto, pertanto, che la Corte EDU, con la sentenza Stefanetti, abbia contraddetto, o comunque superato, la valutazione di compatibilità – della norma retroattiva del 2006 con il parametro del Protocollo addizionale – quale espressa, nella precedente sentenza “Maggio”, a fronte di denunciate riduzioni di pensione inferiori alla metà: posto che essa ha testualmente, invece, confermato che una tale riduzione è «ragionevole e proporzionata».

Neppure è esatto che la riferita sentenza “Stefanetti” abbia – come presupposto dal giudice rimettente – ricollegato la violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU ad «effetti ordinari e per così dire sistemici della norma interpretativa del 2006»; risultando, in detta sentenza, motivatamente invece, riferito, il vulnus al parametro convenzionale alla specificità di casi singoli, in relazione ai quali la valutazione complessiva di particolari contingenze fattuali aveva evidenziato un sacrificio “sproporzionato”, imposto ai ricorrenti in conseguenza dell’operata riparametrazione della retribuzione pensionabile.

5.– Alla stregua di quanto precede, deve pertanto escludersi che il novum della sentenza “Stefanetti” evidenzi un profilo di incompatibilità, con l’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, che sia riferito, o comunque riferibile, alla disposizione nazionale in esame, in termini che ne comportino, per interposizione, il contrasto – nella sua interezza – con l’art. 117, primo comma, Cost., come prospettato dal giudice a quo.

6.– Riconosce, invece, la richiamata sentenza della Corte europea che, nei confronti dei nove ricorrenti, l’applicazione del criterio del ricalcolo della retribuzione, di cui appunto al comma 777 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, ha comportato una riduzione delle rispettive pensioni eccessiva e sproporzionata, unitamente ad un vulnus, in questi termini non ragionevole, all’affidamento da essi riposto nella legge interpretata.

E ciò denota l’esistenza di una più circoscritta area di situazioni in riferimento alle quali la riparametrazione delle retribuzioni percepite in Svizzera, in applicazione della censurata norma nazionale retroattiva, può entrare in collisione con gli evocati parametri convenzionali e, corrispondentemente, con i precetti di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione.

7.– Quale sia la soglia al di sotto della quale la riduzione delle cosiddette “pensioni svizzere”, ex art. 1, comma 777, della citata legge n. 296 del 2006, venga a ledere il diritto dei lavoratori al “bene” della vita rappresentato dal credito relativo a pensione, non è però indicato, in termini generali, nella sentenza “Stefanetti”.

La Corte EDU fa bensì riferimento ad una riduzione comportante una perdita di circa due terzi della pensione, ma – come detto – solo con specifico riferimento alle pensioni dei singoli ricorrenti ed in esito ad una valutazione che tiene, tra l’altro, conto, quali «elementi pertinenti», dei lunghi periodi da quei soggetti trascorsi in Svizzera, della entità dei contributi ivi versati, della loro categoria lavorativa di appartenenza e della qualità dei rispettivi stili di vita, il cui godimento essa Corte ritiene in concreto “ostacolato in modo sostanziale” e non proporzionato, perché implicante un “onere eccessivo” che soggetti che hanno versato contributi per tutta la vita sono costretti a sopportare.

L’indicazione di una soglia (fissa o proporzionale) e di un non superabile limite di riducibilità delle “pensioni svizzere” – ai fini di una reductio ad legitimitatem della disposizione impugnata, che ne impedisca l’incidenza su dette pensioni in misura che risulti lesiva degli evocati precetti convenzionali e nazionali –, come pure l’individuazione del rimedio, congruo e sostenibile, atto a salvaguardare il nucleo essenziale del diritto leso, sono comunque necessarie, ma presuppongono, evidentemente, la scelta tra una pluralità di soluzioni rimessa, come tale, alla discrezionalità del legislatore.

8.– La questione sollevata è, pertanto, allo stato inammissibile. Ma nel dichiararla tale, questa Corte deve tuttavia affermare che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema segnalato dalla Corte di Strasburgo.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», sollevata − in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificati e resi esecutivi con legge 4 agosto 1955, n. 848 − dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2017.