Sentenza della Corte costituzionale 17 novembre 2015, n. 8

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G.U. 27 gennaio 2016, n. 4

La Corte ha giudicato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 422, l. n. 147/2013 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014) sollevata dalle Regioni Lazio e Campania. Le disposizioni censurate prevedevano il subentro delle amministrazioni regionali ed enti competenti in tutti i rapporti attivi e passivi e nei procedimenti pendenti facenti capo al ‘Commissario delegato alla gestione dell’emergenza’, una volta cessata l’emergenza stessa. Secondo i giudici del rinvio ciò era in contrasto, tra l’altro, con i principi di irretroattività della legge e certezza del diritto e quindi del diritto a un giusto processo e a un rimedio effettivo, secondo gli artt. 6 e 13 della CEDU. L’argomento non è stato accolto dalla Corte costituzionale, secondo la quale la legge, correttamente interpretata, non aveva effetti retroattivi.

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2014), promossi dalla Regione Lazio e dalla Regione Campania con ricorsi, il primo notificato il 25 febbraio-4 marzo 2014 ed il secondo spedito per la notifica il 25 febbraio 2014, depositati in cancelleria il 28 febbraio 2014 ed il 4 marzo 2014 ed iscritti ai nn. 8 e 12 del registro ricorsi 2014.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 17 novembre 2015 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione Lazio, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campania e l’avvocato dello Stato Wally Ferrante per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– La Regione Lazio e la Regione Campania propongono, con i due distinti ricorsi in epigrafe, plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2014).

La disposizione impugnata così recita: «Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 [Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile], subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’articolo 110 del codice di procedura civile, nonché in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della citata legge n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».

2.– Premette la ricorrente, nell’esplicare il contenuto della norma denunciata, come essa delinei un ambito soggettivo ed oggettivo che, rispettivamente, investe, da un lato, i commissari delegati, nonché i soggetti cui è attribuito il potere di ordinanza di protezione civile e, in via estensiva, lo stesso Capo del Dipartimento della protezione civile (di seguito anche DPC) istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; dall’altro, attiene «al verificarsi degli eventi di cui all’art. 2, comma 1, lett. c) [della stessa legge n. 225 del 1992], ovvero nella loro imminenza», ossia alle «calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo». E sottolinea come la censurata disciplina si estenda anche ai rapporti «derivanti dalle dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343» (Disposizioni urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel settore della difesa civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, ossia alle dichiarazioni dei «grandi eventi rientranti nella competenza del Dipartimento della protezione civile».

La difesa regionale osserva, quindi, che – se pur i rapporti sorti per la gestione di gravi emergenze implichino l’esercizio di una competenza prettamente governativa, comportante lo svolgimento di una funzione propria dello stesso Governo che, a tal fine, può utilizzare lo strumento delle ordinanze di protezione civile anche derogatorie della legge ed avere accesso a Fondi nell’esclusiva disponibilità dello Stato la disposizione denunciata ne imputa, invece, gli effetti ad Amministrazioni diverse da quelle competenti alla gestione dell’emergenza.

2.1.– Il meccanismo successorio previsto dal comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, verrebbe, per l’effetto, così a ledere, sotto più profili, gli interessi e le attribuzioni costituzionali di essa Regione Lazio.

2.2.– Sarebbe, innanzitutto, vulnerato, l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla competenza legislativa concorrente nella materia «protezione civile», non spettando allo Stato «imputare ad altre Amministrazioni gli effetti dei rapporti attivi e passivi e dei procedimenti giudiziari pendenti, sorti in ragione della gestione di uno stato d’emergenza, così scaricandone la responsabilità e i costi ad essa conseguenti sui soggetti che non ne sono stati responsabili».

Verrebbero, appunto, con ciò lese le attribuzioni regionali, giacché: la discrezionalità del legislatore regionale in tale ambito materiale sarebbe oggi «vincolata da un’illegittima, illogica ed irragionevole disciplina statale»; sarebbero accollati alla Regione «oneri derivanti dall’azione di un organo statale e responsabilità connesse ad una res inter alios acta»; si sarebbe «determinato lo stravolgimento di tutte le attribuzioni legislative e amministrative della Regione, costretta a distogliere risorse umane e materiali agli altri impieghi, necessari per l’esercizio delle funzioni regionali costituzionalmente garantite».

2.3.– Tali ragioni fonderebbero anche la lesione delle competenze regolamentari e amministrative affidate alla Regione ai sensi degli artt. 117, sesto comma, e 118 Cost., posto che il subentro nei rapporti e nei giudizi pendenti, configurato dalla disposizione denunciata, sarebbe «di per sé idoneo ad interferire con lo svolgimento delle ordinarie funzioni amministrative regionali».

2.4.– Sussisterebbe ulteriore violazione dell’art. 118 Cost., anche sotto il profilo del principio di sussidiarietà, per l’affidamento ad altre Amministrazioni pubbliche della gestione dei rapporti attivi e passivi e dei giudizi pendenti, sorti e instaurati in ragione di uno stato d’emergenza che gli enti territoriali sono strutturalmente inidonei ad affrontare.

2.5.– Vi sarebbe anche la violazione dell’art. 119 Cost., in combinato disposto con l’art. 3 Cost., in quanto la successione ex lege nei rapporti passivi e nei rapporti processuali derivanti dalla gestione statale dello stato di emergenza comporterebbe nuovi e maggiori oneri in capo alle Amministrazioni territoriali (tra cui le Regioni), necessari per finanziare spese determinate dalla gestione statale dell’emergenza e imputabili alla sola responsabilità statale.

2.6.– Sussisterebbe, altresì, il contrasto con l’art. 119, quarto comma, Cost., producendo la norma denunciata un «accollo di costi supplementari e non previsti», anche per la gestione delle liti.

2.7.– Verrebbe vulnerato ancora l’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di ragionevolezza, in relazione agli artt. 117, 118 e 119 Cost., essendo «irragionevole imporre ad altre Amministrazioni, in particolare alla Regione ricorrente, gli oneri derivanti dalla precedente gestione di un’emergenza pubblica da parte dello Stato», là dove, peraltro, il Presidente della Regione, ove incaricato della gestione dell’emergenza, agirebbe soltanto da organo statale e con i vincoli della normativa statale.

2.8.– Vi sarebbe un vulnus anche dell’art. 24 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza e alle attribuzioni regionali ex artt. 117, 118 e 119 Cost., collidendo «con l’ordinato esercizio delle attribuzioni regionali e col principio di ragionevolezza pretendere che un’altra Amministrazione debba rispondere […] degli effetti determinati dall’Amministrazione statale nello svolgimento di funzioni pubbliche sue proprie, dunque non esercitate in sostituzione o integrazione dell’Amministrazione regionale o locale».

2.9.– Sarebbe leso anche il principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, giacché tramite un provvedimento puntuale e «funzionalizzato al solo scopo di avvantaggiare l’Amministrazione statale in danno delle Regioni» lo Stato si sottrarrebbe agli impegni contratti nell’esercizio di una funzione pubblica ad esso affidata, scaricandone i costi su altre Amministrazioni, tra cui la ricorrente.

2.10.– Quanto, segnatamente, alla disposta successione al DPC anche in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai c.d. «grandi eventi», il comma 422 denunciato lederebbe le attribuzioni legislative, regolamentari e amministrative della Regione, tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., giacché, in connessione tra loro e con i parametri costituzionali che definiscono la sfera delle attribuzioni regionali.

Sarebbero, infatti, violati il «principio d’irretroattività della legge, nella misura in cui alla Regione e alle altre amministrazioni sono affidati ex post costi, oneri e posizioni di svantaggio nei giudizi pendenti, nonostante che questi oneri siano dovuti allo svolgimento di funzioni pubbliche già esercitate, per di più di competenza esclusiva dello Stato»; il principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento, dovendo la Regione «far fronte in via successiva agli oneri determinati da una precedente gestione di un c.d. “grande evento”, che era stata affidata alla potestà dai competenti organi statali»; l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto la «precedente gestione dei grandi eventi è stata operata da parte della protezione civile in ragione di scelte discrezionali del legislatore e dell’Amministrazione statale, né l’imputazione, in un successivo momento, dei rapporti attivi e passivi determinati da quella gestione dell’evento è necessaria per servire un “motivo imperativo di interesse generale”».

2.11.– Ed ancora la Regione Lazio evidenzia che, dovendo annoverarsi tra i rapporti oggetto di successione anche quelli ormai definiti in base ad un accertamento giurisdizionale definitivo, passato in giudicato, in tal caso «l’accertamento svolto dal giudice sarebbe immediatamente travolto dall’individuazione, retroattiva ed in forza di legge, di una nuova e diversa parte del rapporto giuridico in esame». Donde, la lesione delle attribuzioni regionali tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost. in connessione con la violazione: dei principi del contraddittorio tra le parti e del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost.; degli artt. 101 e 102 Cost., per l’evidente illegittima interferenza nella funzione giurisdizionale; degli artt. 24 e 113 Cost., stante la lesione del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dell’Amministrazione subentrante; dell’art. 117, comma primo, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU, i quali tutelano i principi di non retroattività della legge, dell’affidamento e di certezza del diritto.

2.12.– Inoltre, anche la previsione del comma 422 censurato per cui «le Amministrazioni (tra cui quella regionale) diverse dal DPC subentrano anche nel contenzioso pendente relativo alla gestione pro praeterito tempore dei c.d. “grandi eventi”» determinerebbe una lesione delle attribuzioni regionali tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost., in connessione con la violazione dei principi e parametri sopra richiamati (sub 2.11.), oltre che del principio della parità delle armi tra le parti processuali, ricavato dalla giurisprudenza della Corte EDU proprio dai menzionati artt. 6 e 13 CEDU.

2.13.– La stessa Regione deduce, altresì, l’illegittimità costituzionale anche dell’ultimo periodo del comma 422, che lederebbe l’art. 3 Cost., per irragionevole disparità di trattamento, in quanto la gestione delle situazioni di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della legge n. 225 del 1992 compete in via esclusiva allo Stato e il fatto che uno dei soggetti nominati ai sensi dell’art. 5 della stessa legge sia contestualmente titolare di un mandato da parte di una diversa Amministrazione sarebbe «del tutto irrilevante quanto all’imputazione degli effetti derivanti dalla gestione dello stato di emergenza».

2.14.– La ricorrente assume, ancora, che il comma 422 sarebbe comunque illegittimo «quantomeno nella misura in cui dispone la successione nei giudizi pendenti a titolo universale, per violazione dell’art. 3 Cost., e precisamente per disparità di trattamento delle amministrazioni pubbliche (tra cui è la ricorrente) cui si applica la disposizione in esame rispetto alla platea generale dei soggetti interessati da fenomeni di successione nei giudizi pendenti».

Posto, quindi, che detti fenomeni successori rispondono al principio, che costituisce diritto vivente, del «venir meno della parte processuale», l’operatività, nel caso di specie, della successione a titolo universale ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. determinerebbe un vulnus del diritto di difesa della Regione, dovendo essa «accettare lo stato e il grado del processo, con le decadenze e le preclusioni già intervenute, senza poter dispiegare con pienezza tutta l’attività difensiva consentita alle altre parti».

La Regione Lazio lamenta, quindi, una violazione dei principi costituzionali e di diritto internazionale che presidiano l’attività giurisdizionale (ossia quelli già indicati sub 2.11. e 2.12.), con immediato riflesso sulle proprie attribuzioni costituzionali, tutelate dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.

3.– Anche la Regione Campania, con il proprio ricorso, muove dal presupposto che la competenza a disciplinare gli eventi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c) della legge n. 225 del 1992 sia unicamente dello Stato, essendo il commissario delegato «organo dell’apparato statale e i suoi atti sono sempre riferibili alla Presidenza del Consiglio dei ministri».

3.1.– Ciò premesso, la ricorrente deduce anzitutto il contrasto del denunciato comma 422 con gli artt. 119, commi primo, quarto e quinto, Cost.

3.1.1.– La violazione del comma primo dell’art. 119 Cost. sussisterebbe per il pregiudizio arrecato alla autonomia finanziaria di spesa delle Regioni, giacché la successione in tutti i giudizi in corso di cui sono parte i commissari delegati imporrebbe alle stesse Regioni «di farsi carico della gestione di tutto il contenzioso pendente riferibile ai Commissari delegati» e, dunque, di utilizzare le proprie risorse per sostenere oneri finanziari «non preventivati e non autonomamente decisi», così alterandone le scelte già effettuate per scopi diversi.

Verrebbe, inoltre, pregiudicata l’autonomia finanziaria di entrata delle Regioni e, segnatamente, della Regione Campania, là dove l’ordinanza commissariale 27 dicembre 2013, n. 17 individuava ben 76 giudizi pendenti. Sicché, la stessa Regione dovrebbe reperire le risorse finanziarie per farvi fronte e, non potendo provvedere attraverso le dotazioni previste a legislazione vigente, sarebbe «costretta a deliberare aumenti fiscali o comunque a perseguire politiche di entrata, che altrimenti non avrebbe posto in essere».

Peraltro, una siffatta nuova imposizione fiscale «peserebbe irragionevolmente proprio sull’ente nel cui territorio si è verificato l’evento calamitoso», con conseguente “pregiudizio aggiuntivo” sulle popolazioni colpite dall’evento emergenziale.

3.1.2.– Il contrasto con i commi quarto e quinto dell’art. 119 Cost. (che consacrano un principio di corrispondenza fra risorse e funzioni) si apprezzerebbe in ragione del fatto che il denunciato comma 422 contempla un meccanismo di subentro automatico dell’ente territoriale nella gestione del contenzioso intrapreso da e nei confronti delle ex gestioni commissariali, con immediato aggravio sul bilancio dell’ente stesso dei costi di interventi connessi all’esercizio di funzioni statali. In tal senso deporrebbe anche la declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 22 del 2012, dei commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo, dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992 (introdotti dall’art. 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, recante «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie», convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10), per violazione proprio dell’art. 119 Cost.

3.2.– Il comma 422 censurato contrasterebbe, inoltre, con gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., giacché, ponendo a carico della Regione Campania tutte le spese derivanti da scelte gestionali operate dai commissari delegati, imporrebbe «dei precisi vincoli di spesa» ovvero la obbligherebbe «a destinare risorse proprie a spese di giudizio non preventivate e non decise in autonomia».

3.3.– Sussisterebbe ancora, ad avviso della ricorrente, la violazione degli artt. 118 e 119 Cost., in combinato disposto con gli artt. 81 e 97 Cost.

Posto che la disposizione del comma 422 impone alla Regione di destinare talune somme a copertura di spese scaturenti dalla «successione nel contenzioso pendente», la perdita della gestione diretta di liquidità, e di risorse finanziarie, si rifletterebbe «sulle capacità operative» degli enti territoriali, con conseguente maggiore difficoltà nel fronteggiare i costi connessi all’esercizio delle funzioni amministrative di attribuzione regionale. Di qui, il contrasto non solo con l’art. 118 Cost., ma anche con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., che postula che l’esercizio rapido ed efficiente delle funzioni amministrative «sia adeguatamente sorretto da beni e risorse, anche finanziarie».

Inoltre, verrebbe in rilievo anche la lesione dell’art. 81 Cost., giacché, attraverso l’imposizione del subentro degli enti territoriali nel contenzioso in corso facente capo ai Commissari delegati e del conseguente onere di spesa, si sarebbero dovute prevedere adeguate misure compensative.

3.4. Il comma 422 censurato lederebbe anche gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost. ed il principio di ragionevolezza.

La norma impugnata ricondurrebbe irragionevolmente all’art. 110 cod. proc. civ. (con riverbero pregiudizievole sulle attribuzioni costituzionali delle autonomie regionali) il subentro della Regione nei rapporti processuali già facenti capo ai commissari delegati, i quali, essendo organi statali, non verrebbero meno come parti, cosicché la fattispecie in esame avrebbe dovuto essere ragionevolmente,viceversa, assimilata a quella dell’art. 111 cod. proc. civ., ossia alla successione a titolo particolare, per cui il processo prosegue tra le parti originarie e cioè, nella specie, con la Presidenza del Consiglio dei ministri.

3.5.– Il comma 422 impugnato, lederebbe anche il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., posto che, essendo gli atti del commissario delegato sempre e comunque atti del Governo, l’applicazione del riferito meccanismo successorio nei confronti dei soli enti territoriali nel cui territorio agiva un commissario delegato che rivestiva anche un ruolo di rappresentanza nell’ente stesso risulterebbe priva di giustificazione e «chiaramente e immotivatamente iniqua».

4.– In entrambi i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

La difesa erariale osserva – con argomentazioni in buona parte comuni ai due ricorsi regionali che la disciplina recata dalla norma denunciata, letta nel contesto della legge n. 225 del 1992, come modificata dal decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59 (Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100, troverebbe la sua ragione d’essere nelle complesse vicende, sostanziali e processuali, derivanti dalla «chiusura delle gestioni emergenziali e dei c.d. grandi eventi», là dove si era intervenuti – proprio con il citato d.l. n. 59 e, segnatamente, con l’art. 5, comma 4-quater – a definire il passaggio, in capo all’ente subentrante ordinariamente competente, di funzioni, compiti e risorse finanziarie che residuano sulla contabilità speciale nella persistenza dello scopo originariamente delineato.

Nonostante ciò, i soggetti subentranti ex lege nelle gestioni commissariali avrebbero «sostanzialmente rifiutato o ostacolato il subentro effettivo», tanto da rendere necessario un intervento chiarificatore del legislatore, che si è avuto con la norma di cui al denunciato comma 422.

Il Presidente del Consiglio dei ministri soggiunge, quindi, che, nella materia in questione, lo Stato, in forza del principio di sussidiarietà e con l’intervento partecipativo regionale, sarebbe appunto intervenuto «in modo sostitutivo rispetto agli enti ordinariamente competenti», con «temporanea compressione delle competenze [di quest’ultimi] che si espandono nuovamente al termine dello stato d’emergenza».

Non sarebbe violata, quindi, l’autonomia finanziaria regionale, considerato che gli enti ordinariamente competenti, tra cui le Regioni, subentrando ex lege nelle gestioni commissariali, «sarebbero tenute di per sé a sostenere gli oneri afferenti ai compiti istituzionali che sono rientrati nell’ordinario».

Né vi sarebbe difficoltà nel reperire le risorse finanziarie per far fronte a costi supplementari e non previsti, giacché il subentro riguarda non solo le passività, ma anche le attività, che «viceversa comportano una voce di entrata per l’ente». Le risorse finanziarie predisposte dallo Stato in favore della collettività colpita dall’evento calamitoso, ove dovessero residuare al momento della cessazione dell’emergenza, sono trasferite per legge all’ente ordinariamente competente. E proprio nell’ottica di responsabilizzazione di quest’ultimo si porrebbe la prevista applicazione della norma denunciata soltanto nelle ipotesi in cui «i soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi delegati».

Sarebbe infondata anche la doglianza di violazione del comma terzo dell’art. 117 Cost., non essendo la norma denunciata di dettaglio e, peraltro, potendo il legislatore statale dettare anche norme puntuali per realizzare concretamente le finalità del coordinamento finanziario.

Quanto, poi, alla censura che investe i «grandi eventi», la difesa erariale osserva che la disposizione in parte qua non troverà applicazione nei confronti degli enti territoriali, giacché, «nella maggior parte dei casi, la figura del Commissario Delegato per i grandi eventi è stata rivestita dal Capo del Dipartimento della Protezione Civile ovvero da soggetti estranei alla Pubblica Amministrazione posti a capo di strutture di Missione istituite ad hoc nell’ambito della Presidenza del Consiglio», restando, quindi, i relativi rapporti giuridici in capo all’Amministrazione statale.

In ordine, poi, alla censura di irragionevolezza del meccanismo di subentro ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., l’Avvocatura generale osserva che i commissari delegati «sono soggetti distinti rispetto all’Amministrazione delegante, in quanto dotati di autonomia amministrativa e contabile», siccome titolari esclusivi di apposite contabilità speciali ai medesimi specificamente intestate e destinate esclusivamente alla realizzazione degli interventi emergenziali.

Dunque, ben si attaglierebbe alla fattispecie in questione, in quanto ricognitiva di un’ipotesi di venir meno della parte processuale, il richiamo all’art. 110 cod. proc. civ., senza che sussista alcuna interferenza con la funzione giurisdizionale, né violazione del principio di irretroattività della legge ovvero lesione del diritto di difesa.

Non sarebbe fondata neppure la doglianza che deduce la disparità di trattamento nella distinzione fra gestioni commissariali facenti capo, o meno, a soggetti rappresentanti degli enti ordinariamente competenti, giacché proprio tale distinzione consentirebbe la responsabilizzazione del vertice istituzionale dell’ente territoriale coinvolto.

5. In prossimità dell’udienza pubblica la Regione Lazio ha depositato memoria con la quale insiste per la declaratoria di illegittimità costituzionale del comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013.

La ricorrente, nel contrastare le difese erariali, ribadisce le proprie ragioni e, segnatamente, il fatto che l’intervento dello Stato nel caso degli eventi di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992 non sarebbe nell’interesse degli enti territoriali, bensì volto a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali coinvolte dalle singole situazioni di emergenza, dovendosene lo Stato farsene interamente carico.

La Regione Lazio contesta, altresì, che la normativa di riferimento possa garantire «che l’ente subentrante sia effettivamente beneficiario delle risorse necessarie per garantire l’ordinato subentro al Dipartimento della protezione civile, e che la contabilità sia effettivamente sufficiente allo scopo».

Considerato in diritto

1.– La Regione Lazio – con riferimento agli «artt. 3, 24, 101, 102, 111, 113, 117, 118, 119 Cost., anche in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché dei principi di ragionevolezza, di leale collaborazione, di irretroattività della legge, di certezza del diritto, di legittimo affidamento e di “parità delle armi” nelle controversie giurisdizionali» – e la Regione Campania, «per violazione degli articoli 119, 117, comma 3, 118, 81, 3 e 97 della Costituzione, nonché del principio di ragionevolezza», impugnano entrambe l’art. 1, comma 422, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2014).

2.– I due ricorsi – ai quali resiste, con altrettanti atti di intervento, il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato – possono riunirsi, stante l’identità della disposizione denunciata e la parziale coincidenza o sovrapposizione delle censure avverso di questa formulate dalle Regioni ricorrenti.

3.– La norma, che viene così sottoposta a scrutinio di costituzionalità, testualmente dispone che «Alla scadenza dello stato di emergenza, le amministrazioni e gli enti ordinariamente competenti, individuati anche ai sensi dell’articolo 5, commi 4-ter e 4-quater, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 [Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile], subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi, nei procedimenti giurisdizionali pendenti, anche ai sensi dell’articolo 110 del codice di procedura civile, nonché in tutti quelli derivanti dalle dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401, già facenti capo ai soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della citata legge n. 225 del 1992. Le disposizioni di cui al presente comma trovano applicazione nelle sole ipotesi in cui i soggetti nominati ai sensi dell’articolo 5 della medesima legge n. 225 del 1992 siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati».

4.– La riferita disposizione si innesta nel sistema, adottato dal legislatore del 1992, di «organizzazione diffusa a carattere policentrico» della protezione civile (sentenze n. 129 del 2006 e n. 327 del 2003) e, in tale contesto disciplinatorio, si raccorda, in particolare, alle «calamità naturali», di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992; specificamente, cioè, si riferisce a quegli eventi (non fronteggiabili, singolarmente o in via coordinata, dagli enti od amministrazioni competenti in via ordinaria) «che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo».

4.1.– Al verificarsi di detti eventi – per come disposto dal successivo art. 5 della stessa legge n. 225 del 1992 «il Consiglio dei Ministri […] anche su richiesta del Presidente della regione interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale con specifico riferimento alla natura e alla qualità degli eventi e disponendo in ordine all’esercizio del potere di ordinanza».

4.2.– «Almeno dieci giorni prima della scadenza del termine di cui al comma 1- bis, [180 giorni, prorogabili per non più di ulteriori 180 giorni] il Capo del Dipartimento della protezione civile emana […] apposita ordinanza volta a favorire e regolare il subentro dell’amministrazione pubblica competente in via ordinaria a coordinare gli interventi, conseguenti all’evento, che si rendono necessari successivamente alla scadenza del termine di durata dello stato di emergenza» (comma 4-ter, aggiunto, all’art. 5 della legge n. 225 del 1992, dal numero 7 della lettera c del comma 1 del decreto-legge 15 maggio 2012, n. 59, recante «Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile», convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 100).

5.– Ed è, appunto, alla fase successiva alla chiusura dello stato di emergenza che si riferisce la disposizione impugnata, con la quale (illegittimamente, secondo le ricorrenti ovvero, in termini meramente chiarificatori, secondo la difesa dello Stato), gli effetti degli atti risalenti alle cessate strutture commissariali sono imputati alle amministrazioni od enti ordinariamente competenti, a titolo di successione universale, anche ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ., con riguardo al subentro nelle controversie pendenti.

6.– L’ampio ed articolato ventaglio di censure complessivamente rivolte dalle Regioni Lazio e Campania (quali più dettagliatamente riassunte nel Ritenuto in fatto) fa, comunque, perno, per ogni profilo, su una premessa di fondo: quella, cioè, per cui i provvedimenti posti in essere dal Commissario delegato alla gestione dell’emergenza, come longa manus del Presidente del Consiglio, debbano essere considerati come atti dell’amministrazione centrale dello Stato, finalizzati a soddisfare interessi che trascendano quelli delle comunità locali colpite dalla calamità.

6.1.– Da tale premessa, in ordine logico, direttamente discende un primo complesso ordine di censure (su cui, in particolare, insiste la difesa della Regione Lazio), rivolte all’adottato meccanismo di successione a titolo universale – presupponente, per definizione, il “venir meno” del soggetto cui si succede – in una situazione nella quale l’amministrazione o l’ente territoriale ordinariamente competente verrebbero, viceversa, chiamati a subentrare, a tal titolo, «in tutti i rapporti attivi e passivi» e «nei procedimenti giurisdizionali pendenti», derivanti da atti che – per quanto, appunto, assunto in premessa – sarebbero riconducibili allo Stato (che li avrebbe posti in essere, attraverso la struttura delegata, nell’esercizio di una funzione sua propria) e, quindi, ad un soggetto del quale non potrebbe dirsi che sia “venuto meno”.

Dal che la violazione de: il «principio d’irretroattività della legge», nella misura in cui alla Regione e alle altre amministrazioni sarebbe fatto carico ex post di costi, oneri e posizioni di svantaggio nei giudizi pendenti, ancorché correlati a funzioni pubbliche già esercitate, per di più di competenza esclusiva dello Stato; gli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost. e il principio di ragionevolezza, per le motivazioni cui sopra; il «principio della certezza del diritto e del legittimo affidamento», dovendo la Regione «far fronte in via successiva agli oneri determinati da una precedente gestione di un c.d. “grande evento”, che era stata affidata alla potestà dei competenti organi statali»; l’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, che tutelano anch’essi i principi di non retroattività della legge, dell’affidamento e di certezza del diritto; i «principi del contraddittorio tra le parti e del giusto processo», di cui all’art. 111 Cost., quanto alla disposta successione anche nei rapporti ormai definiti con sentenza passata in giudicato, con la conseguenza che «l’accertamento svolto dal giudice sarebbe immediatamente travolto dall’individuazione, retroattiva ed in forza di legge, di una nuova e diversa parte del rapporto giuridico in esame»; gli artt. 101 e 102 Cost., per illegittima interferenza nella funzione giurisdizionale; gli artt. 24 e 113 Cost., per lesione del diritto alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dell’Amministrazione subentrante.

Parametri e principi, quelli sin qui elencati, di cui la Regione Lazio reitera la censura di violazione con specifico riferimento anche alla successione, come pure prevista dalla norma impugnata, nei rapporti attivi e passivi «derivanti dalle dichiarazioni di cui all’articolo 5-bis, comma 5, del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343», ossia relativamente ai “grandi eventi” e, dunque, a fattispecie «già consumatesi e regolate da disposizioni non più in vigore».

6.2.– Anche la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in tema di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni nella materia «protezione civile» è motivata dalle ricorrenti muovendo dal rilievo che la norma denunciata – chiamando le Regioni a far fronte ad oneri derivanti dall’azione di un organo statale – avrebbe con ciò travalicato la linea dell’enunciazione di principi fondamentali, per dettare una disciplina di dettaglio, che andrebbe a comprimere la discrezionalità riservata, in tale ambito, al legislatore regionale.

Argomentazione, questa, che aggrega e sorregge anche gli ulteriori connessi profili di violazione degli artt. 117, commi terzo e sesto, e 118 Cost., sul rilievo che il subentro nei rapporti e giudizi pendenti attinenti alla gestione di una situazione di emergenza interferirebbe con lo svolgimento delle ordinarie funzioni amministrative regionali; dell’art. 118 Cost., anche in ragione di un prospettato vulnus al principio di sussidiarietà; e del principio di leale collaborazione, posto che lo Stato si sottrarrebbe, in tal modo, agli impegni contratti nell’esercizio di una funzione pubblica, affidatagli dalla legge, scaricandone i costi su altre amministrazioni, tra cui quelle ricorrenti.

6.3.– Un terzo gruppo di censure attiene al vulnus alla «autonomia finanziaria di entrata e di spesa», riconosciuta alle Regioni dall’art. 119, primo comma Cost., ancora una volta correlato al denunciato accollo ex post a detti enti territoriali di obbligazioni assunte ex ante dallo Stato nella fase dell’emergenza.

Su questa linea, la Regione Lazio prospetta anche la violazione dell’art. 3 Cost., per esserle irragionevolmente in via automatica addossate «tutte le conseguenze pregiudizievoli che, per avventura possono essere state determinate dall’organo statale gestore dell’emergenza», e quella ulteriore dell’art. 119, quarto comma, Cost. (che prevede l’integrale finanziamento in base alle risorse disponibili delle funzioni regionali), producendo a suo avviso la norma denunciata «un accollo di costi supplementari e non previsti», anche per la gestione delle liti.

Parallelamente, la Regione Campania lamenta la violazione del principio di corrispondenza fra risorse e funzioni, estraibile dai commi quarto e quinto dell’art. 119 Cost.; e quella, altresì, dagli artt. 81 e 97, in combinazione con gli artt. 118 e 119 Cost., in quanto, imponendosi alla Regione di destinare talune somme a copertura di spese scaturenti dalla successione nel contenzioso pendente, la perdita della gestione diretta di liquidità si rifletterebbe sulle sue capacità operative «riducendo infatti le disponibilità finanziarie degli enti territoriali e sottraendo agli stessi la possibilità di gestire in modo libero e responsabile le proprie risorse», con conseguente maggiore difficoltà nel fronteggiare i costi connessi all’esercizio delle funzioni amministrative di attribuzione regionale, in assenza per di più di adeguate misure compensative.

6.4.– L’art. 3 Cost., sarebbe, infine, violato, secondo le ricorrenti, anche in ragione della prevista applicazione del censurato meccanismo successorio alle sole ipotesi in cui la delega alla gestione dell’emergenza sia conferita a «rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti».

Ciò sul rilievo che, essendo gli atti del commissario delegato sempre e comunque atti del Governo, la suddetta limitazione risulterebbe lesiva del principio di eguaglianza, priva di giustificazione e «immotivatamente iniqua nei confronti di quegli enti territoriali nel cui territorio agiva un commissario delegato che rivestiva anche un ruolo di rappresentanza nell’ente stesso».

7.– Come più ampiamente riportato nel Ritenuto in fatto, l’Avvocatura generale dello Stato ha contestato la fondatezza di ognuna delle censure rivolte all’art. 1, comma 422, della legge n. 147 del 2013, muovendo dal presupposto che nella fase dell’emergenza – diversamente da quanto sostenuto dalle ricorrenti – lo Stato non eserciterebbe funzioni proprie, in via definitiva, bensì funzioni provvisoriamente avocate a sé in via sostitutiva. Dal che la conseguenza che le competenze degli enti territoriali colpiti dalla calamità, temporaneamente compresse da quelle esercitate dallo Stato nella suddetta e temporalmente circoscritta fase, si espanderebbero nuovamente al suo termine. E detti enti – in coerenza a principi fondamentali della materia «protezione civile» e senza alcun vulnus alla propria autonomia finanziaria naturalmente e ragionevolmente subentrerebbero nei rapporti, non solo passivi ma anche attivi, risalenti alla cessata gestione commissariale, potendo per di più avvalersi delle risorse finanziarie che residuano nelle contabilità speciali dei Commissari delegati.

Ciò anche sul rilievo che la «socializzazione» (id est l’accollo alla collettività) degli oneri finanziari per far fronte alla calamità «deve trovare un limite alla cessazione dell’emergenza […] a maggior ragione per quanto concerne gli eventi di ambito locale, in quanto, diversamente opinando, si finirebbe per operare una deresponsabilizzazione dell’ente territoriale interessato».

8. Nessuna delle questioni prospettate è fondata.

8.1.– La disposizione in esame, in primo luogo, non incorre nella violazione dei numerosi parametri costituzionali e convenzionali evocati sub 6.1.

Trattasi, infatti, per questo aspetto, di censure sorrette, come detto, dalla comune argomentazione di fondo per la quale illegittimamente e irragionevolmente gli enti ricorrenti sarebbero chiamati a succedere a titolo universale in rapporti giuridici, anche contenziosi, risalenti ad attività poste in essere da un soggetto (lo Stato) che non «viene meno» con la cessazione dell’emergenza e che dovrebbe pertanto restarne titolare, e correlativamente responsabile, in via definitiva.

Argomentazione, questa, che è però duplicemente errata in quanto, nella specie, con la dichiarata cessazione della emergenza, per un verso, viene effettivamente meno la struttura commissariale che l’ha gestita e, per altro verso, nei rapporti da questa posti in essere, ragionevolmente è chiamato a subentrare l’ente territoriale ordinariamente competente, in virtù di un radicamento sia spaziale che funzionale (alle esigenze dell’ente stesso) dei rapporti in questione.

8.1.1.– Quanto al primo profilo, va rilevato che è pur vero (come deducono le ricorrenti) che gli atti dei commissari delegati a fronteggiare emergenze di protezione civile «possono qualificarsi come “atti dell’amministrazione centrale dello Stato […] finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali”» (così da ultimo, sentenza n. 159 del 2014). Vero è anche, però, che la funzione statale, che qui viene in rilievo, è una funzione temporanea, che si origina e si elide (nasce e muore) in ragione, rispettivamente, dell’insorgere e del cessare della situazione di emergenza.

Essa è cioè solo e soltanto correlata allo stato di emergenza, rispetto al quale la Regione ordinariamente competente non è comunque estranea, giacché, nell’ambito dell’organizzazione policentrica della protezione civile, occorre che essa stessa fornisca l’intesa per la deliberazione del Governo e, dunque, cooperi in collaborazione leale e solidaristica.

8.1.2.– Il “venir meno” della struttura commissariale, per il cui tramite lo Stato ha in concreto esercitato la funzione emergenziale, integra dunque il presupposto di una necessitata successione nei rapporti da questa posti in essere, che risultino ancora in atto, la cui riconduzione al fenomeno della successione universale è scelta legislativa non incongrua rispetto alle premesse che la sorreggono. I rapporti implicati da tale successione, infatti, sono correlati all’esercizio di una competenza che si è dispiegata su un tessuto fattuale (sociale ed economico) e giuridico, quello afferente al territorio inciso dalla situazione emergenziale, sul quale in assenza di detta situazione (e, dunque, non solo in via ordinaria, ma anche a fronte di eventi calamitosi di minor rilevanza: lettere a e b del comma 1 dell’art. 2 della legge n. 225 del 1992) – opera l’ente territorialmente competente secondo il normale assetto delle attribuzioni costituzionali (legislative, regolamentari e amministrative). Ed è perciò ragionevole che le conseguenze (sia fattuali che) giuridiche, che residuano alla cessazione dello stato di emergenza e insistono ancora sull’anzidetto assetto territoriale, siano governate nuovamente in base all’ordinario sistema di competenze.

Tanto comporta che il subentro dell’ente ordinariamente competente (ex art. 5, comma 4-ter, della legge n. 225 del 1992) investa appunto in toto la situazione in essere su cui lo Stato non può più esercitare alcuna competenza giuridica.

Da qui, la coerenza della disposizione denunciata con il complessivo sistema di organizzazione della protezione civile e la sua adeguatezza – e non già il contrasto, come a torto denunciato – con i parametri evocati dalle ricorrenti.

Il subentro dell’ente territorialmente competente nei rapporti (anche ex iudicato) e nei giudizi pendenti risalenti alla gestione commissariale non ha, infatti, l’asserito carattere retroattivo, ma regola il fenomeno successorio in consonanza con i principi sostanziali e processuali di riferimento, non potendosi sostenere che il successore a titolo universale, in quanto tale (e, dunque, titolare dello stesso rapporto sostanziale oggetto di giudicato), sia vulnerato nelle sue garanzie difensive dalla norma dell’art. 110 cod. proc. civ., la quale, in ogni caso, si appalesa pertinente a regolare il fenomeno in luogo dell’art. 111 cod. proc. civ., che attiene alla successione a titolo particolare.

8.1.3.– Ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo ai cosiddetti «grandi eventi», rispetto ai quali ove non già inclusi tra gli eventi «per i quali si rende necessaria la delibera dello stato di emergenza» trovano applicazione in toto le disposizioni di cui all’art. 5 della legge n. 225 del 1992, come previsto dal comma 5 dell’art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 401 del 2001.

Vi è, dunque, una piena sovrapposizione di disciplina (e, quindi, di competenze) che induce, appunto, ad una coincidenza di soluzioni.

La circostanza, poi, che la citata norma del comma 5 dell’art. 5-bis del d.l. n. 343 del 2001 sia stata abrogata dall’art. 40-bis, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività) convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 non conforta le doglianze della Regione Lazio.

Non sussiste, infatti, il vulnus alle competenze regionali costituzionalmente garantite, denunciato in ragione dell’asserita lesione, dei principi di irretroattività della legge, della certezza del diritto e delle garanzie della difesa e del giusto processo, giacché il censurato comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 non opera come detto in via retroattiva, ma regola, dalla sua entrata in vigore, un fenomeno successorio di rapporti sostanziali e processuali in coerenza con i presupposti che lo giustificano.

8.1.4.– Nel delineato contesto, perdono di consistenza anche le doglianze sub 6.4., giacché, lungi dal determinare una disparità di trattamento, il meccanismo selettivo previsto dalla norma impugnata (che trova, infatti, applicazione esclusivamente nel caso in cui i commissari delegati «siano rappresentanti delle amministrazioni e degli enti ordinariamente competenti ovvero soggetti dagli stessi designati») si radica su presupposti, fattuali e giuridici, che, come visto, rendono ragione del subentro in tutti i rapporti (sostanziali e processuali) pendenti proprio di quegli enti dotati della competenza ordinaria a provvedere in riferimento al territorio colpito dalla calamità emergenziale o già interessato dal c.d. grande evento.

8.2.– Insuscettibili di accoglimento sono anche le censure sub 6.2.

Non vi, è, infatti, lesione della competenza regionale concorrente nella materia della «protezione civile» (art. 117, terzo comma, Cost.), né interferenza con lo svolgimento delle funzioni ordinarie amministrative (art. 117, sesto comma, Cost.), né ancora un vulnus al principio di sussidiarietà verticale (art. 118 Cost.) o al principio di leale collaborazione, posto che le competenze e tutte le attribuzioni della Regione – quale soggetto già coinvolto nell’organizzazione complessiva dello stato di emergenza – si riespandono naturalmente al cessare di una situazione transeunte ed eccezionale, derogatoria dell’assetto ordinamentale. La quale, pur sempre, attiva una competenza che la giurisprudenza di questa Corte ascrive ai principi fondamentali della materia (sentenze n. 277 del 2008, n. 284 e n. 82 del 2006, n. 327 del 2003). E il cui venir meno non può che determinare, in capo all’ente cui spetta la gestione dell’“ordinario”, l’intestazione dei rapporti precedentemente sorti e, con essi, degli eventuali correlativi procedimenti giudiziari ancora pendenti.

8.3.– A non diverso esito vanno incontro le censure sub 6.3.

Come si evince dal disposto di cui ai commi 4-ter e 4-quater dell’art. 5 della l. n. 225 del 1992, il subentro delle Regioni ordinariamente competenti nei rapporti giuridici sorti nella fase dell’emergenza, e nei processi pendenti ad essi relativi, è accompagnato, infatti, dal parallelo subentro degli stessi enti territoriali nella contabilità speciale, già intestata al Commissario delegato o al soggetto altrimenti individuato (rivestente un ruolo di rappresentante) dell’ente subentrante. E tale contabilità è alimentata – ai sensi del successivo comma 5-quinquies dell’art. 5 – da risorse statali, ossia dal Fondo per le emergenze nazionali istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della protezione civile, ex art. 18 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica) e, ove occorra, dal Fondo di riserva per le spese impreviste, di cui all’art. 28 della citata legge n. 196 del 2009, nonché dal Fondo centrale di garanzia per la copertura dei rischi derivanti dalle operazioni di credito a medio termine a favore delle medie e piccole imprese industriali, di cui al comma 5-sexies dell’art. 28 del decreto-legge 18 novembre 1966, n. 976 (Ulteriori interventi e provvidenze per la ricostruzione e per la ripresa economica nei territori colpiti dalle alluvioni e mareggiate dell’autunno 1966), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 dicembre 1966, n. 1142.

È dato, inoltre, evincere, dai commi 1 e 5-bis dell’art. 5 della stessa legge n. 225, che le risorse inizialmente stanziate per fronteggiare l’emergenza possono essere integrate ove si rivelino insufficienti: integrazione che ben potrebbe essere sollecitata dalla rendicontazione cui sono tenuti i commissari delegati, non soltanto nell’imminenza della cessazione della gestione (o alla chiusura della stessa), ma anche alla chiusura di ciascun esercizio, dovendosi mettere in rilievo, attraverso il rendiconto, tutte le entrate e tutte le spese riguardanti l’intervento.

Per cui non conferente risulta il richiamo, operato dalla Regione Campania, al precedente di cui alla sentenza n. 22 del 2012, la quale ha bensì dichiarato l’illegittimità in parte qua (commi 5-quater e 5-quinquies, primo periodo) dell’art. 5 della legge n. 225 del 1992, ma in quanto si imponeva, ivi, alle Regioni di reperire (esse) le risorse per far fronte alla situazione post-emergenza.

Il comma 422 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013 oggetto dell’odierna impugnazione disegna invece un meccanismo successorio che presuppone una tendenziale capienza strutturale della contabilità speciale, in cui subentra l’ente territorialmente competente, rispetto agli impegni di spesa correlati alla situazione emergenziale. E con ciò risulta rispettato il principio fondamentale della finanza pubblica per cui, in ambito di esercizio di funzioni volte al perseguimento di interessi collettivi, il subentro di un ente nella gestione di un altro ente soppresso (o sostituito) deve avvenire in modo tale che l’ente subentrante sia salvaguardato nella sua posizione finanziaria, necessitando al riguardo una disciplina (che nella specie, per l’appunto, sussiste) la quale regoli gli aspetti finanziari dei relativi rapporti attivi e passivi e, dunque, anche il finanziamento della spesa necessaria per l’estinzione delle passività pregresse (tra le altre, sentenza n. 364 del 2010).

Per cui l’incapienza che, in talune contingenze, dovesse (in concreto) verificarsi, si risolverebbe in un inconveniente di fatto, come tale non attinente al profilo (astratto) della legittimità costituzionale della norma, ma solo a quello (fattuale appunto) della correlativa applicazione, in relazione alla quale – ove l’incapienza stessa sia così grave da incidere in modo pregiudizievole sull’equilibrato rapporto tra complessivi bisogni regionali e insieme dei mezzi finanziari per farvi fronte (tra le tante, sentenze n. 82 del 2015 e n. 246 del 2012) – soccorrono, e potrebbero essere dunque attivati dalla Regione, i rimedi generali all’uopo previsti dall’ordinamento.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

1) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 422, della legge

27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2014), in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 111, 113, 118, 119 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, promosse dalla Regione Lazio, con il ricorso in epigrafe indicato;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dello stesso art. 1, comma 422, della legge n. 147 del 2013, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117, terzo comma, 118 e 119 Cost., promosse dalla Regione Campania, con il ricorso in epigrafe indicato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2015.