G.U. 6 marzo 2013, n. 10
Questa ordinanza della Corte costituzionale è uno dei primi casi di applicazione della l. n. 172/2012, contenente l’autorizzazione alla ratifica, l’ordine di esecuzione e norme di adeguamento alla Convenzione del Consiglio d’Europa del 2007 contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale di minori (c.d. Convenzione di Lanzarote). In considerazione della sopravvenienza di tale legge, la Corte ha ordinato la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinché riesaminasse alla luce della nuova disciplina il preteso conflitto tra le norme che vietano di disporre la sospensione dell’esecuzione della pena inflitta per il reato di abuso sessuale nei confronti di minori (ancorché in presenza di circostanze attenuanti) prima che sia decorso il periodo di un anno di detenzione (art. 656, co. 9, lett. a, c.p.p. e art. 4 bis, co. 1 quater, l. n. 354/1975), e le norme della Costituzione relative al principio di uguaglianza (art. 3) e alla finalità rieducativa della pena (art. 27, co. 3).
Legge 1 ottobre 2012, n. 172, Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno
Ordinanza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale e dell’articolo 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dalla Corte d’appello di Bologna nel procedimento penale a carico di S.E.M., con ordinanza del 27 marzo 2012, iscritta al n. 172 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 gennaio 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.
Ritenuto che, con ordinanza depositata il 27 marzo 2012 (r.o. n. 172 del 2012), la Corte di appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, ha sollevato, con riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale sia dell’articolo 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si riferisce anche ai condannati per il reato previsto dall’art. 609-quater del codice penale, attenuato a norma del quarto comma dello stesso articolo, sia dell’articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui, rinviando all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, prevede che non possa disporsi la sospensione dell’esecuzione della pena inflitta per tale reato;
che il giudice a quo premette di essere investito di un incidente di esecuzione, ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., nei confronti del provvedimento con cui il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bologna «aveva eseguito nella forma carceraria» la pena di un anno e sei mesi di reclusione, oggetto di una sentenza di condanna della Corte di appello di Bologna per il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, e 609-quater, primo comma, numero 1), e quarto comma, cod. pen.;
che, come riferisce il giudice a quo, la difesa del condannato ha censurato il fatto che, in base al combinato disposto degli artt. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. e 4-bis, comma 1-quater, dell’ordinamento penitenziario nel caso di condanna per il delitto previsto dall’art. 609-quater cod. pen., attenuato ai sensi del quarto comma dello stesso articolo, non è possibile «la sospensione dell’emissione dell’ordine di carcerazione né la concessione di misure alternative alla detenzione prima del decorso di un anno di osservazione intramuraria», a differenza di quanto è stabilito nel caso di condanna per il delitto previsto dall’art. 609-bis cod. pen., attenuato ai sensi del terzo comma dello stesso articolo;
che, riportandosi espressamente alle argomentazioni della giurisprudenza di legittimità, il giudice a quo precisa che il catalogo dei delitti ostativi alla sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi coincide con quello dei delitti ostativi all’applicazione delle misure alternative alla detenzione, contenuto nell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, a cui l’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. fa rinvio mobile o recettizio;
che a fronte del dato normativo, assolutamente esplicito nel senso di escludere dal divieto della sospensione dell’esecuzione le sole condanne per il delitto dell’art. 609-bis cod. pen., attenuato ai sensi del terzo comma dello stesso articolo, non vi sarebbe spazio per una interpretazione estensiva di tale deroga alle condanne per i reati di cui all’art. 609-quater cod. pen., attenuati ai sensi del quarto comma di quest’ultimo articolo;
che, pertanto, secondo il rimettente, alla stregua della normativa richiamata, non sarebbe accoglibile la richiesta, avanzata dal condannato, di sospensione dell’esecuzione;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di appello di Bologna afferma di non condividere le argomentazioni della Corte di cassazione (sezione I, sentenza 22 ottobre 2009, n. 41958), poste a fondamento di una precedente pronuncia di «rigetto dell’eccezione di costituzionalità avanzata»;
che tali argomentazioni sarebbero basate sulla palese diversità del delitto previsto dall’art. 609-bis cod. pen. rispetto a quello previsto dall’art. 609-quater cod. pen., con la conseguenza che il delitto di cui all’art. 609-bis cod. pen., non aggravato ai sensi dell’art. 609-ter e attenuato dalla «minore gravità» del fatto, costituirebbe tertium comparationis «eterogeneo rispetto al delitto di cui all’art. 609-quater cod. pen., quand’anche pure questo risulti attenuato»;
che un ulteriore passaggio argomentativo della Corte di cassazione, espressamente richiamato e non condiviso dal rimettente, concerne l’affermazione che la disciplina dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario riguarda scelte di opportunità in materia di politica penitenziaria, su cui la Corte costituzionale non può incidere, poiché esse rientrano nella discrezionalità riservata al legislatore e non risultano esercitate in modo arbitrario;
che la ratio della differenziazione risiederebbe nella particolare natura dei reati di violenza sessuale in danno di minori, «riconosciuti di particolare gravità da un lato ed espressione, dall’altro, di una particolare e patologica espressione della personalità dell’autore», sì da giustificare che le misure alternative alla detenzione e l’accesso al lavoro esterno e ai permessi premio siano possibili solo dopo un anno di osservazione personologica condotta dall’équipe carceraria;
che secondo il rimettente, però, il legislatore e la stessa Corte di cassazione non hanno valutato appieno la gamma dei fatti coperti dalla previsione dell’art. 609-quater, ultimo comma, cod. pen.;
che in particolare «la considerazione dell’ipotesi di fatto del processo» a carico del ricorrente, che «ha portato all’inflizione della pena della cui esecuzione si discute nel presente incidente di esecuzione, mostra in tutta evidenza un profilo di irragionevolezza nel complesso normativo applicabile alla fase esecutiva, così come correttamente ed inevitabilmente interpretato dalla Corte di cassazione»;
che, infatti, la condanna riguarda «fatti di congiunzione carnale con una minorenne» con la quale il ricorrente «aveva allacciato una relazione – nec vi nec clam e consenzienti i genitori della vittima – iniziata quando anch’egli era minorenne e proseguita nel corso degli anni sino all’instaurazione di una stabile convivenza dalla quale era nato anche un figlio»;
che, pertanto, secondo il giudice a quo, trattandosi di una relazione «nata nell’ambito del gruppo dei pari e sfociata in rapporti sessuali privi di qualunque connotato di violenza o clandestinità», non sarebbe possibile individuare nell’agente «alcun profilo personologico patologico tale da suggerire o imporre quel periodo di osservazione intramuraria di un anno previsto dalla legge»;
che nel caso di sottoposizione della vittima ad atti di natura sessuale con violenza o minaccia, con l’attenuante del terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen., pur residuando nell’autore un profilo personologico tale da consigliare un’osservazione della personalità, l’esecuzione della pena verrebbe riportata alle regole ordinarie, mentre in una situazione di fatto di minore gravità, quale quella di cui all’art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., sopra riferita, il condannato subirebbe un trattamento ingiustificatamente deteriore rispetto al primo, con violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.;
che, secondo la Corte di appello di Bologna, inoltre, sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost.;
che tale precetto, attuato a livello penitenziario con la previsione della «forma carceraria di esecuzione della pena soltanto come extrema ratio», laddove forme diverse di esecuzione non siano possibili o praticabili, troverebbe un suo «corollario inevitabile nell’adeguatezza della forma di esecuzione della pena alla concreta esigenza rieducativa»;
che nei casi come quello di specie non sussisterebbe la particolare «esigenza rieducativa» che ha condotto il legislatore a stabilire un regime differenziato e più gravoso dell’esecuzione penale, con la previsione dell’anno di osservazione intramuraria;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata;
che, secondo l’Avvocatura, la normativa denunciata non appare irragionevole, essendo evidente che «la ratio che giustifica la differenziazione tra il trattamento penitenziario riservato ai soggetti condannati per reati di violenza sessuale ai danni di minorenni, sia pure attenuati ai sensi dell’art. 609-quater, quarto comma, cod. pen.», e il trattamento riservato alle persone condannate per reati di violenza sessuale attenuati ai sensi dell’art. 609-bis, terzo comma, cod. pen. si rinviene nell’esigenza «di assicurare la particolare protezione di soggetti minorenni e di affrontare adeguatamente casi che mettono in luce profili patologici della personalità dei rei»;
che ugualmente non fondata risulterebbe la questione concernente la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la finalità della rieducazione del condannato potrebbe essere realizzata solo sulla base di un’attenta osservazione intramuraria della personalità delle persone condannate per reati di violenza sessuale ai danni di minorenni.
Considerato che la Corte di appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione penale, ha sollevato, con riferimento agli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale sia dell’articolo 4-bis, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si riferisce anche ai condannati per il reato di cui all’art. 609-quater del codice penale, attenuato a norma del quarto comma dello stesso articolo, sia dell’articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui, rinviando all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, prevede che non possa disporsi la sospensione dell’esecuzione della pena inflitta per tale reato;
che in particolare, per il giudice a quo, «la considerazione dell’ipotesi di fatto del processo» a carico del ricorrente, che «ha portato all’inflizione della pena della cui esecuzione si discute nel presente incidente di esecuzione, mostra in tutta evidenza un profilo di irragionevolezza nel complesso normativo applicabile alla fase esecutiva»;
che la condanna riguarda «fatti di congiunzione carnale con una minorenne» con la quale il ricorrente «aveva allacciato una relazione – nec vi nec clam e consenzienti i genitori della vittima – iniziata quando anch’egli era minorenne e proseguita nel corso degli anni sino all’instaurazione di una stabile convivenza dalla quale era nato anche un figlio»;
che, trattandosi di una relazione «nata nell’ambito del gruppo dei pari e sfociata in rapporti sessuali privi di qualunque connotato di violenza o clandestinità», non sarebbe stato possibile individuare nell’agente «alcun profilo personologico patologico tale da suggerire o imporre quel periodo di osservazione intramuraria di un anno previsto dalla legge»;
che nell’ipotesi di sottoposizione della vittima ad atti di natura sessuale con violenza o minaccia, attenuata ai sensi del terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen., pur residuando nell’autore un profilo personologico tale da consigliare un’osservazione della personalità, l’esecuzione della pena verrebbe riportata alle regole ordinarie, mentre in una situazione di fatto di minore gravità, quale quella di cui all’art. 609-quater, quarto comma, cod. pen., sopra riferita, il condannato subirebbe un trattamento ingiustificatamente deteriore, con violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.;
che, secondo la Corte di appello di Bologna, inoltre, sarebbe ravvisabile la violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost. in quanto nei casi come quello di specie non sussisterebbe la particolare «esigenza rieducativa» che ha condotto il legislatore a stabilire un regime differenziato e più gravoso dell’esecuzione penale, con la previsione dell’anno di osservazione intramuraria;
che successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione è intervenuta la legge 1° ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell’ordinamento interno);
che questa legge ha, tra l’altro, inciso sull’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, sia modificando il comma 1-quater, con l’ampliamento del catalogo dei delitti rispetto ai quali l’accesso a taluni benefici penitenziari è subordinato ai risultati positivi dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto, sia, soprattutto, inserendo il comma 1-quinquies, secondo il quale ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati «per i delitti di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne», è previsto un trattamento psicologico con finalità di recupero e sostegno del condannato e la sua «positiva partecipazione» è valutata dal magistrato di sorveglianza o dal tribunale di sorveglianza;
che lo jus superveniens appare idoneo ad influire sulle proposte questioni di legittimità costituzionale;
che, in particolare, devono essere considerate le possibili implicazioni derivanti dall’introduzione del comma 1-quinquies dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, posto che, richiamando l’art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. l’intero art. 4-bis, un ulteriore vincolo ostativo alla sospensione dell’esecuzione delle pene detentive brevi potrebbe, secondo un’interpretazione, derivare dal nuovo comma 1-quinquies dell’art. 4-bis, riflettendosi sulla rilevanza delle questioni di legittimità costituzionale relative al comma 1-quater;
che la nuova disposizione potrebbe incidere sulla valutazione del tertium comparationis, in quanto comprende anche l’ipotesi attenuata dell’art. 609-bis cod. pen., quando concerne minori, sicché si potrebbe ritenere che, in ogni caso (e non solo in presenza dell’aggravante dell’art. 609-ter, primo comma, numero 1, cod. pen., richiamata dalla prima parte del comma 1-quater dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario), operi il divieto di sospensione dell’esecuzione;
che, inoltre, la legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ridefinendo l’assetto della tutela dei minori, ha comportato modifiche al quadro di riferimento che potrebbero aver rilievo rispetto alle questioni prospettate dal rimettente;
che una valutazione sull’incidenza della legge sopravvenuta sulle censure in esame, effettuata per la prima volta da questa Corte, senza che su di essa abbia potuto interloquire il giudice a quo, comporterebbe «un’alterazione dello schema dell’incidentalità del giudizio di costituzionalità, spettando anzitutto al rimettente accertare se ed entro quali termini permanga il denunciato contrasto» con la Costituzione (ordinanza n. 150 del 2012);
che, pertanto, alla luce della sopravvenuta normativa rappresentata dalla legge n. 172 del 2012, deve essere ordinata la restituzione degli atti, affinché il rimettente proceda a un rinnovato esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
ordina la restituzione degli atti alla Corte di appello di Bologna.