Ordinanza della Corte costituzionale 3 giugno 2013, n. 136

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G.U. 12 giugno 2013, n. 24

E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 10, co. 1, l. n. 184/1983 (e successive modificazioni) sollevata dal Tribunale per i minorenni di Trieste con riferimento alla procedura per la verifica dello stato di abbandono di un minore. Nella parte in cui non prevede l’apertura d’ufficio della procedura anche da parte del Presidente del Tribunale per i minorenni o di un Giudice da lui delegato, la norma viola gli artt. 2, 3, 30, co. 2, 31, co. 2 e 32, co. 1, Cost. La norma censurata è altresì in contrasto con taluni strumenti giuridici internazionali quali la CEDU, la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996 (art. 8), la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989 (artt. 19 e 20), che richiamano il principio del best interest del minore. Tuttavia, nel caso in esame la Corte ha stabilito che poiché la questione proposta dal giudice a quo ha i connotati di una “novità di sistema” spetta esclusivamente al legislatore intervenire per riformare la procedura. Essa pertanto esula dal controllo di legittimità costituzionale.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 10, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall’art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), promosso dal Tribunale per i minorenni di Trieste con ordinanza del 25 maggio 2012, iscritta al n. 207 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che il Tribunale per i minorenni di Trieste solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall’art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente del Tribunale per i minorenni o un giudice da lui delegato possa procedere d’ufficio all’apertura della procedura per la verifica dello stato di abbandono di un minore»;

che il giudice rimettente premette di essere stato investito il 13 dicembre 2007 da un ricorso urgente del pubblico ministero, con il quale si chiedeva di disporre l’affidamento di un minore, nato il 4 settembre 2003, presso un ente locale, per sostegno, controllo ed eventuale collocamento comunitario, anche unitamente alla madre, se consenziente, formulando nella specie «espressa riserva di richiedere provvedimenti ben più limitativi della potestà genitoriale nel caso di mancata collaborazione dei genitori»;

che, nel corso della procedura, traspariva una situazione di generale degrado – nella quale si inseriva la condanna del padre per maltrattamenti nei confronti della madre – con importanti carenze sul versante della funzione genitoriale, che induceva il Tribunale a collocare presso una struttura comunitaria anche il secondogenito della coppia, nato il 28 maggio 2008;

che la perdurante mancanza di collaborazione da parte dei genitori induceva il Tribunale a disporre, con decreto del 21 luglio 2011, la misura dell’affidamento all’ente locale anche a tutela dell’ultimogenito, nato il 17 maggio 2011, con nomina di un curatore speciale e prescrizione ai genitori di consentire agli operatori sociali di effettuare i necessari controlli sul neonato;

che, con successive relazioni, gli operatori mettevano in luce l’impossibilità di contatti con i genitori e la drammatica situazione psicologica dei minori, nonché il rischio di uno sviluppo psico-patologico e di squilibrio nelle dinamiche interpersonali;

che all’esito dell’udienza – nella quale il pubblico ministero aveva chiesto «la mera conferma delle statuizioni precedentemente emesse» a tutela dei minori – e della discussione in camera di consiglio, il Tribunale disponeva, in via di urgenza, il collocamento dei minori presso idonea famiglia affidataria, sollevando nel contempo, con separato atto, la presente questione di legittimità costituzionale;

che il Tribunale osserva come, a seguito della modifica apportata all’art. 9 della legge n. 184 del 1983 ad opera della legge n. 149 del 2001, sia scomparsa la previsione secondo la quale «la situazione di abbandono può essere accertata anche d’ufficio dal giudice»;

che la nuova disciplina sarebbe, invece, univoca nell’individuare nel pubblico ministero il titolare esclusivo del potere di impulso della procedura, risultando in linea con tale scelta quella di aver concentrato in capo al pubblico ministero le informative relative allo stato di abbandono;

che l’esclusività della valutazione di un organo monocratico precluderebbe qualsiasi controllo da parte del collegio specializzato, con la conseguenza che, in caso di inerzia del pubblico ministero minorile, i minori che versino in condizione di sostanziale abbandono non riceverebbero «la necessaria tutela da parte dell’ordinamento giuridico italiano»;

che ciò comporterebbe la violazione dell’art. 2 Cost., in riferimento ai diritti inviolabili del minore, a tutela dei quali il secondo comma dell’art. 30 Cost. «prevede un dovere da parte dello Stato affinché vengano comunque assolti i compiti dei genitori in tutti i casi di loro perdurante incapacità»;

che sarebbe violato anche l’art. 30, secondo comma, Cost., in quanto la norma censurata «non predispone un efficace apparato di tutela atta a sopperire alla condotta pregiudizievole dei genitori, laddove la stessa sia così grave da integrare gli estremi di una sostanziale situazione di abbandono del minore»;

che sussisterebbe altresì violazione dell’art. 3 Cost., in quanto, mentre l’art. 336 del codice civile prevede, in ipotesi d’urgenza, interventi d’ufficio per l’adozione dei provvedimenti limitativi o ablativi in tema di potestà genitoriale, di cui all’art. 330 e seguenti cod. civ., analogo potere officioso non è previsto per la verifica dello stato di abbandono, derivandone una «illogicità del sistema», dal momento che lo strumento officioso sarebbe previsto in riferimento a situazioni meno gravi (riconducibili allo scorretto esercizio della potestà genitoriale) e sarebbe invece escluso per situazioni più gravi (in ipotesi destinate a integrare uno stato di irreversibile abbandono materiale e morale);

che si deduce, inoltre, la possibile violazione dell’art. 31, secondo comma, Cost., in quanto non si offrirebbe adeguata protezione ai diritti dei minori, potendo sfuggire dal perimetro di tutela situazioni gravi di sostanziale abbandono, per le quali il pubblico ministero non si sia attivato;

che risulterebbe compromesso anche il diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost., in quanto l’eventuale inerzia del pubblico ministero nel promuovere il procedimento di verifica dello stato di abbandono, «comporta il concreto rischio di una grave ed irreparabile lesione del diritto alla salute – inteso quale pretesa all’integrità psicofisica e a vivere in un ambiente familiare idoneo – del bambino che si trova in uno stato di fatto di abbandono morale e materiale»;

che la normativa censurata si porrebbe, poi, in contrasto con «i princìpi vigenti in ambito europeo ed internazionale» – si citano, al riguardo, l’art. 6, comma 2, del Trattato sull’Unione europea («nel testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997»), in tema di rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77), il cui art. 8 prevede che «nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del minore sia seriamente minacciato, di procedere d’ufficio»; l’art. 19 della Convenzione sui diritti del fanciullo (adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176), il quale sancisce l’obbligo per gli Stati aderenti di adottare ogni misura anche legislativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di abbandono o di negligenza, con adozione di misure di protezione che dovranno includere eventuali procedure di intervento giudiziario; l’art. 20 della medesima Convenzione sui diritti del fanciullo, che prevede, se del caso, una protezione sostitutiva che può realizzarsi anche attraverso l’istituto della adozione; l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale stabilisce il principio che in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente –;

che, in punto di rilevanza, il Tribunale sottolinea come nel corso del procedimento, aperto – come si è ricordato – nel 2007, il pubblico ministero non abbia mai formulato ricorso per la verifica dell’eventuale stato di abbandono dei minori, mentre il collegio reputa che «limitarsi ad accogliere le richieste del Pmm in sede di conferma dei decreti sinora emessi a tutela dei tre minori non consenta di apprestare una sufficiente tutela dei bambini»;

che, infatti, si reputa che «solamente attraverso l’apertura della procedura per la verifica dell’eventuale stato di abbandono possano essere da un lato fornite ai minori le risposte adeguate al fine di sopperire alle carenze presentate dai genitori e dall’altro assicurare a questi ultimi le massime garanzie di difesa ai sensi della Legge 184/83»;

che, al contrario, il perdurare del collocamento extrafamiliare dei minori, privo di progettualità e di sbocchi in tempi brevi, contrasterebbe con gli artt. 2 e 4 della legge n. 184 del 1983, che prevedono il collocamento extrafamiliare come misura del tutto contingente, in luogo di «un progetto a lungo termine, di natura adozionale» che deve essere riguardato come misura elettiva, in mancanza della possibilità di collocamento nella famiglia di origine, secondo i princìpi «elaborati in ambito europeo ed efficacemente riassunti alla lettera G della Risoluzione del Parlamento europeo sull’adozione internazionale nell’Unione Europea»;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata;

che, secondo la difesa erariale, la questione sarebbe inammissibile per aberratio ictus, in quanto la novità, introdotta dalla richiamata novella del 2001 a proposito dell’apertura del procedimento per l’accertamento dello stato di abbandono del minore, sarebbe enunciata non nell’art. 10 denunciato ma nell’art. 9 della stessa legge;

che la questione sarebbe comunque manifestamente infondata, dal momento che la riforma del 2001 avrebbe trasformato il procedimento di adottabilità da procedura di volontaria giurisdizione in procedimento camerale contenzioso, con il contraddittorio dei soggetti interessati e con l’assistenza legale, sin dall’inizio, del minore, dei genitori o degli altri parenti;

che la previsione del potere di iniziativa soltanto in capo al pubblico ministero, peraltro destinatario delle varie segnalazioni circa lo stato di abbandono, non risulterebbe dunque irragionevole e nessun vulnus alla tutela dei minori ed alla loro integrità psicofisica potrebbe, pertanto, derivare dalla vigente disciplina della materia.

Considerato che il Tribunale per i minorenni di Trieste solleva, in riferimento agli articoli 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall’art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente del Tribunale per i minorenni o un Giudice da lui delegato possa procedere d’ufficio all’apertura della procedura per la verifica dello stato di abbandono di un minore»;

che, a parere del Tribunale, la disposizione impugnata contrasterebbe con l’art. 2 Cost., che riconosce i diritti fondamentali dell’uomo, a tutela dei quali l’art. 30, secondo comma, della stessa Carta prevede che, in base alla legge, vengano comunque assolti i compiti dei genitori in tutti i casi di loro perdurante incapacità;

che violato sarebbe del pari l’art. 30, secondo comma, Cost., in quanto la disciplina censurata non predisporrebbe un efficace apparato di tutela atto a sopperire alla condotta pregiudizievole dei genitori, laddove la stessa sia così grave da integrare gli estremi di una sostanziale situazione di abbandono del minore;

che sussisterebbe un contrasto pure con l’art. 3 Cost., in quanto l’art. 336 del codice civile consente al Tribunale per i minorenni, in situazioni di grave pregiudizio per i minori, di adottare anche d’ufficio, in caso di urgente necessità, i provvedimenti limitativi o ablativi della potestà dei genitori, di cui agli artt. 330 e seguenti del codice civile, mentre analogo potere officioso non è previsto con riferimento all’apertura del procedimento per la verifica dello stato di abbandono di un minore, con conseguente illogicità del sistema, che garantisce nel caso di situazioni meno gravi (scorretto esercizio della potestà) uno strumento di intervento officioso che non è invece previsto nelle situazioni più gravi (che possono integrare un vero e proprio irreversibile abbandono morale e materiale);

che risulterebbe vulnerato anche l’art. 31, secondo comma, Cost., dal momento che la norma censurata non sarebbe congegnata in modo adeguato a soddisfare le esigenze di protezione dell’infanzia, non salvaguardando situazioni gravi di sostanziale abbandono di minori per le quali il pubblico ministero non si sia attivato promuovendo il relativo procedimento;

che si appaleserebbe un contrasto pure con l’art. 32, primo comma, Cost., in quanto l’eventuale inerzia del pubblico ministero nel promuovere il procedimento di verifica dello stato di abbandono «comporta il concreto rischio di una grave ed irreparabile lesione del diritto alla salute – inteso quale pretesa all’integrità psicofisica e a vivere in un ambiente familiare idoneo – del bambino che si trova in uno stato di fatto di abbandono morale e materiale»;

che sarebbero inoltre violati «i princìpi vigenti in ambito europeo ed internazionale», richiamandosi, a tal proposito, via via, l’art. 6, comma 2, del Trattato sull’Unione europea («nel testo risultante dal Trattato sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997»), in tema di rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (firmata a Strasburgo il 25 gennaio 1996, e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77), il cui art. 8 prevede che «nei procedimenti che riguardano un minore, l’autorità giudiziaria ha il potere, nei casi in cui il diritto interno ritenga che il benessere del minore sia seriamente minacciato, di procedere d’ufficio»; l’art. 19 della Convenzione sui diritti del fanciullo (adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176), il quale sancisce l’obbligo per gli Stati aderenti di adottare ogni misura anche legislativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di abbandono o di negligenza, con adozione di misure di protezione che dovranno includere eventuali procedure di intervento giudiziario; l’art. 20 della stessa Convenzione sui diritti del fanciullo, che prevede, se del caso, una protezione sostitutiva che può realizzarsi anche attraverso l’istituto della adozione; l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il quale stabilisce il principio che in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente; la Risoluzione, infine, del Parlamento europeo del 19 gennaio 2011 sull’adozione internazionale nell’Unione europea, ove, alla lettera G del «considerando», si enuncia che «qualora sia impossibile affidare minori alla custodia primaria della famiglia, l’adozione dovrebbe essere una delle scelte secondarie naturali, mentre il collocamento di un minore in un istituto dovrebbe essere l’ultima opzione in assoluto»;

che la questione proposta mirerebbe ad introdurre una nuova ipotesi di apertura del procedimento relativo alla verifica dello stato di abbandono del minore, in vista dei conseguenti provvedimenti, tanto di ordine provvisorio che definitivo, intesi a salvaguardare le esigenze di tutela del minore e ad assicurare al medesimo il “diritto ad una famiglia”, come paradigmaticamente recita la stessa intitolazione della legge n. 184 del 1983, dopo le modifiche intervenute ad opera dell’art. 1 della richiamata legge n. 149 del 2001;

che, infatti, il Tribunale rimettente formula un petitum volto a consentire che il Presidente del Tribunale per i minorenni o un giudice da lui delegato possa procedere, anche d’ufficio, alla apertura del procedimento di cui si è detto, senza, evidentemente, eliminare la concorrente possibilità che il procedimento stesso venga promosso dal pubblico ministero, unico soggetto legittimato in base anche alla disciplina oggetto di censura;

che la pronuncia richiesta, peraltro, aspira a risultati di segno opposto rispetto al sistema normativo delineato ed agli obiettivi in esso perseguiti, atteso che, con la novella introdotta dalla predetta legge n. 149 del 2001, il procedimento per l’adozione è stato modellato in funzione di uno schema di tipo contenzioso-partecipativo, contrassegnato dal contraddittorio fra i soggetti interessati, dalla partecipazione difensiva, dai connotati decisori della relativa statuizione terminativa, che assume la forma della sentenza, dall’introduzione del relativo regime di impugnazioni, nonché dall’attribuzione al giudice – ed è questo il profilo qui maggiormente rilevante – di una posizione di assoluta terzietà, che presuppone la devoluzione ad altro organo (appunto, il pubblico ministero) del potere-dovere di esercitare l’“azione”, promuovendo il procedimento stesso;

che, nel configurare in capo al pubblico ministero il munus di presentare il ricorso di cui all’art. 9, comma 2, della citata legge n. 184 del 1983, il legislatore ha coerentemente designato lo stesso organo come quello che diviene ex lege destinatario di tutte le informative provenienti da soggetti privati o pubblici e concernenti situazioni di abbandono di minori di età, rendendo, dunque, sistematicamente eccentrica l’ipotesi, coltivata dal Tribunale rimettente, di un procedimento attivato ex officio da un organo giurisdizionale, il quale, solo occasionalmente ed incidentalmente, possa essere venuto a “conoscenza” della situazione di minori che versino in una condizione di abbandono (profili, quelli accennati, non sfuggiti, del resto, allo stesso giudice rimettente, quando – in riferimento al principio della terzietà del giudicante – ha auspicato l’introduzione, in via consequenziale, di uno specifico meccanismo di incompatibilità);

che, pertanto, l’intervento richiesto assume i connotati di una “novità di sistema” non costituzionalmente imposta e colloca il quesito proposto – come riconosciuto dalla costante giurisprudenza di questa Corte – «al di fuori dell’area del sindacato di legittimità costituzionale, per rimetterlo alle eventuali e future soluzioni di riforma, affidate in via esclusiva alle scelte del legislatore» (sentenza n. 252 del 2012, nonché, ex plurimis, sentenza n. 274 del 2011);

che, infine, la stessa grave situazione denunciata dal giudice rimettente, anziché essere diretta conseguenza della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, si rivela piuttosto come una patologia di mero fatto, derivante dalla (in ipotesi, colpevole) inerzia del pubblico ministero nel promuovere il procedimento, rimuovibile attraverso i meccanismi ordinamentali inerenti alla organizzazione del relativo ufficio, senza che ciò possa implicare alcun vizio “intrinseco” della disposizione censurata e restando comunque impregiudicato il profilo relativo alla sua applicabilità nel giudizio principale;

che, di conseguenza, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nel testo sostituito dall’art. 10 della legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184 recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile), «nella parte in cui non prevede che il Presidente del Tribunale per i minorenni o un Giudice da lui delegato possa procedere d’ufficio all’apertura della procedura per la verifica dello stato di abbandono di un minore», sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3, 30, secondo comma, 31, secondo comma, e 32, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 giugno 2013.