Ordinanza della Corte costituzionale 25 febbraio 2013, n. 32

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G.U. 6 marzo 2013, n. 10

L’ordinanza, confermando una precedente pronuncia della Corte costituzionale, ha escluso che gli effetti retroattivi prodotti su procedimenti pendenti dall’art. 12, co. 11, d.l. n. 78/2010 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 122/2010) si ponessero in contrasto con l’art. 117, co.1, Cost. (rispetto degli obblighi internazionali) in relazione all’art. 6 della CEDU (giusto processo). La Corte costituzionale ha ribadito che la norma censurata si limita a recepire, tra le possibili interpretazione di norme preesistenti, quella prevalente nella giurisprudenza di merito e della Corte di cassazione, favorendo in tal modo la certezza del diritto e l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale di Sondrio nel procedimento vertente tra A.O. e l’INPS ed altra, con ordinanza del 28 aprile 2011, iscritta al n. 228 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di F.M.;

udito nella camera di consiglio del 13 febbraio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale di Sondrio, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 28 aprile 2011 ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 102, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti, CEDU), questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122;

che il rimettente premette di essere chiamato a pronunciare nei giudizi riuniti nn. 8, 55, 141 e 193 del 2010, aventi ad oggetto le opposizioni proposte dalla sig.ra A.O. nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (d’ora in avanti INPS) e della S.C.C.I. s.p.a., avverso quattro cartelle di pagamento concernenti contributi previdenziali della gestione commercianti, alla quale la ricorrente era stata iscritta d’ufficio dal detto Istituto, in forza delle risultanze di un verbale di accertamento del 15 ottobre 2008;

che – prosegue il giudice di merito – l’opponente, iscritta alla gestione separata in ragione della propria attività di amministratore unico della società “La Magnifica Terra” s.r.l., esercente attività di agenzia di viaggi e turismo, ha sostenuto la illegittimità della propria iscrizione anche alla gestione commercianti, sia per il difetto dei presupposti legittimanti, sia per il divieto di duplicazione dell’obbligazione contributiva di cui all’art.1, comma 208, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);

che l’opponente ha chiesto, in via principale, l’accertamento dell’infondatezza delle pretese contributive dell’INPS e, in via subordinata, la declaratoria dell’illegittimità della predetta duplice iscrizione e della correlativa duplicazione contributiva;

che gli opposti si sono costituiti nel giudizio a quo chiedendo il rigetto delle avverse domande;

che il giudice a quo aggiunge di ritenere provata la sussistenza dei requisiti per l’iscrizione della sig.ra A.O. alla gestione commercianti, operata d’ufficio dall’INPS, nonché la prevalenza dell’attività lavorativa da essa espletata nella società rispetto a quella di amministratore;

che, ad avviso del rimettente, quanto ai presupposti per l’iscrizione della ricorrente alla gestione commercianti, la prova dell’organizzazione della società “La Magnifica Terra” s.r.l. prevalentemente con il lavoro della sig.ra A.O. nonché dello svolgimento del lavoro aziendale da parte di quest’ultima, con caratteri di stabilità e prevalenza rispetto all’attività prestata da altri soggetti al suo interno, si evince dalle dichiarazioni rese e sottoscritte dalla stessa ricorrente agli ispettori dell’INPS in data 16 settembre 2008 e dalle risultanze del verbale di accertamento dell’INPS del 15 ottobre 2008;

che la prova del possesso della licenza commerciale da parte dell’opponente si desume direttamente dal verbale di accertamento del 15 ottobre 2008;

che, ad avviso del rimettente, mentre, ai sensi dell’art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996, come interpretato dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 12 febbraio 2010, n. 3240, nella fattispecie in esame si sarebbe applicato il criterio della «unicità» dell’iscrizione, in ragione della prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella di amministratore, invece ai sensi dell’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, norma dichiaratamente interpretativa e, dunque, retroattiva, sarebbe operativa la «doppia iscrizione», poiché «la regola della prevalenza ex art. 1, co. 208, cit., non si può applicare all’attività di lavoro autonomo inerente alla Gestione separata (comma 11, secondo alinea), potendosi applicare soltanto in relazione a più attività autonome “esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti” (comma 11, primo alinea)»;

che, in punto di rilevanza, il rimettente osserva che, mentre dall’applicazione dell’art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996, come interpretato dalla Corte di cassazione, a sezioni unite, da ultimo nella sentenza n. 3240 del 2010, sarebbe conseguito il rigetto della domanda principale e l’accoglimento di quella subordinata della ricorrente, l’applicazione della norma dichiaratamente interpretativa e, dunque, retroattiva, di cui all’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, determinerebbe il rigetto di entrambe le domande della ricorrente medesima;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma censurata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 102, 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6, paragrafo 1, CEDU;

che, in particolare, il giudice a quo deduce la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio generale di ragionevolezza delle norme, dell’art. 24, primo comma, Cost., con riguardo all’effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, dell’art. 102 Cost., quanto all’integrità delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria;

che, infatti, la norma censurata sarebbe stata emanata in assenza dei presupposti individuati dalla giurisprudenza costituzionale (ex plurimis: sentenze n. 209 del 2010, nn. 162 e 132 del 2008) con riferimento alle leggi aventi efficacia retroattiva, considerato che la sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 3240 del 2010 – in base alla quale, applicando il principio della «prevalenza», si ribadisce, come già sostenuto dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nella sentenza del 22 maggio 2008, n. 13215, il carattere unico della gestione cui iscrivere il socio lavoratore della s.r.l. che svolga anche compiti di amministratore, con conseguente erroneità della tesi dell’INPS circa la duplicità della relativa iscrizione e contribuzione – è intervenuta in un contesto in cui non vi era contrasto nella giurisprudenza di legittimità sul significato del testo normativo, ma esclusivamente una vastità di contenzioso ed i notevoli relativi risvolti economici;

che il Tribunale prospetta anche il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto, nel caso di specie, il legislatore nazionale, in mancanza di «superiori motivi di interesse generale» – tali non potendosi qualificare le ragioni finanziarie dell’INPS – e dopo la sentenza della Corte di cassazione, a sezioni unite, n. 3240 del 2010, avrebbe emanato una norma dichiaratamente interpretativa e, come tale, retroattiva, in favore della parte pubblica del giudizio, così violando il diritto ad un «giusto processo»;

che, con memoria depositata il 21 novembre 2011, si è costituito l’INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

che, con atto depositato in data 22 novembre 2011, nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata;

che, con atto depositato in data 22 novembre 2011, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale il sig. F.M. chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata dal rimettente;

che l’interveniente premette: 1) di essere iscritto alla gestione separata, in ragione della rivestita attività di amministratore unico della società unipersonale “Nonsoloacqua” s.r.l., con sede in Trieste, avente ad oggetto la vendita di acqua ad uso alimentare, nonché la commercializzazione e il noleggio delle apparecchiature che ne permettono il consumo; 2) che, in considerazione dell’attività commerciale da lui svolta all’interno della società, l’INPS lo aveva iscritto, d’ufficio, alla gestione commercianti; 3) che gli erano state notificate cinque cartelle esattoriali di pagamento dei contributi previdenziali per gli anni 2002-2008 e parte del 2009, oltre alle relative sanzioni civili, ai compensi di riscossione e alle spese di notifica; 4) che, avverso le suddette cartelle esattoriali, lo stesso aveva proposto opposizione dinanzi al Tribunale di Trieste, sezione lavoro, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, nonché l’annullamento dell’atto presupposto di iscrizione d’ufficio alla gestione commercianti; 5) che, a sostegno della impugnativa, il ricorrente aveva dedotto il carattere esclusivo o comunque prevalente dell’attività di amministratore svolta all’interno della società e, in ogni caso, la illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, cui non doveva riconoscersi carattere retroattivo; 6) che, con sentenza n. 444 del 2010, il Tribunale aveva rigettato le opposizioni, ritenendo, peraltro, manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale; 7) che, avverso la sentenza di primo grado, lo stesso aveva proposto appello deducendo la illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010 ed, in subordine, la illegittimità costituzionale della stessa norma nella parte in cui non esclude la debenza delle sanzioni civili;

che, a sostegno della legittimità del proprio intervento, il sig. F.M. osserva che l’orientamento della Corte costituzionale, volto a ritenere ammissibili soltanto gli interventi di terzi titolari di un «interesse qualificato» inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (ex plurimis: sentenze n. 138 del 2010 e n. 151 del 2009) finirebbe, nella fattispecie in esame, per ledere indirettamente i superiori interessi del rispetto del diritto di difesa e del principio di «parità delle armi», considerata la possibilità offerta alle controparti – INPS e SCCI s.p.a. – di costituirsi nel presente giudizio per sostenere la legittimità della norma censurata;

che, nel merito, il sig. F.M. chiede, in primo luogo, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 11, del d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 10 e 117, primo comma, Cost. e, in subordine, la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma «nella parte in cui non esclude la debenza delle sanzioni civili per gli illeciti contributivi accertati prima dell’entrata in vigore di tale norma».

Considerato che il Tribunale di Sondrio, in funzione di giudice del lavoro, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 102 e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122;

che l’intervento spiegato nel presente giudizio dal sig. F.M è inammissibile;

che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale) le sole parti del giudizio principale, qualità che non risulta rivestita dall’interveniente;

che l’intervento di soggetti estranei al detto giudizio principale è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 ottobre 2012, confermata con sentenza n. 272 del 2012; ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007);

che del resto, l’ammissibilità dell’intervento ad opera di un terzo, titolare – come nel caso di specie – di un interesse soltanto analogo a quello dedotto nel processo principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo;

che le questioni sono manifestamente infondate;

che, infatti, identiche questioni sono state già dichiarate non fondate da questa Corte con la sentenza n. 15 del 2012;

che, nella pronunzia citata, questa Corte ha, in primo luogo, escluso la violazione dell’art. 3 Cost., in quanto «l’opzione ermeneutica prescelta dal legislatore non ha introdotto nella disposizione interpretata elementi ad essa estranei, ma le ha assegnato un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex multis, sentenza n. 257 del 2011), cioè ha reso vincolante un dettato comunque ascrivibile al tenore letterale della disposizione interpretata. Ciò è reso palese dal rilievo che quella opzione interpretativa aveva trovato spazio nella giurisprudenza di merito formatasi in epoca anteriore all’entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2010; ed anche nella sezione lavoro della Corte di cassazione, tanto da provocare per ben due volte, in un breve arco di tempo, la rimessione della questione interpretativa dell’art. 1, comma 208, della legge n. 662 del 1996 alle sezioni unite della medesima Corte»;

che, quanto agli altri profili di censura prospettati con riferimento all’art. 24, primo comma, Cost. (sarebbe violata l’effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi), all’art. 102 Cost. (sarebbe violata l’integrità delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giudiziaria), all’art. 111, secondo comma, Cost. (sarebbe violato il principio di parità delle parti processuali), la Corte ha osservato che: «1) il richiamo all’art. 24 Cost. non è pertinente, perché l’intervento legislativo censurato non incide su diritti processuali, bensì opera sul piano sostanziale e, dunque, non vulnera il diritto alla tutela giurisdizionale, a presidio del quale la norma costituzionale invocata è posta; 2) non sussiste violazione dell’art. 102 Cost. perché, sulla base delle argomentazioni esposte nel punto che precede, l’intervento legislativo deve ritenersi legittimo, mentre non è configurabile a favore del giudice una esclusività dell’esercizio dell’attività ermeneutica che possa precludere quella spettante al legislatore, in quanto l’attribuzione per legge ad una norma di un determinato significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce e delimita la fattispecie normativa che è oggetto della potestas medesima; 3) del pari non sussiste violazione dell’art. 111, secondo comma, Cost., perché – fermo il punto che l’incidenza di una norma interpretativa su giudizi in corso è fenomeno fisiologico – detta norma non interferisce sull’esercizio della funzione giudiziaria e sulla parità delle parti nello specifico processo, bensì pone una disciplina generale ed astratta sull’interpretazione di un’altra norma e, dunque, si colloca su un piano diverso da quello dell’applicazione giudiziale delle norme a singole fattispecie»;

che la Corte ha, altresì, escluso la dedotta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, in quanto «la norma censurata si è limitata ad enucleare una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, peraltro già fatta propria da parte consistente della giurisprudenza di merito e di quella della Corte di cassazione che, secondo l’orientamento più recente, si è uniformata alla soluzione prescelta dal legislatore, soluzione che ha superato una situazione di oggettiva incertezza, contribuendo così a realizzare principi d’indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale, quali sono la certezza del diritto e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge»;

che il rimettente non adduce elementi nuovi, idonei a superare il convincimento qui richiamato, sicché va dichiarata la manifesta infondatezza della questione sollevata con l’ordinanza di cui in epigrafe (ex plurimis: ordinanze n. 301 del 2011, nn. 261 e 153 del 2010, n. 356 del 2003 e n. 170 del 2002).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

1) dichiara inammissibile l’intervento del sig. F.M.;

2) dichiara manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 11, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 24, primo comma, 102, 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6 della CEDU, dal Tribunale di Sondrio, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.