Ordinanza della Corte costituzionale 24 marzo 2014, n. 58

Pubblicato in:

G.U. 2 aprile 2014 n. 15

La censura riguardava gli artt. 4, co. 3, 9, co. 4, e 26, co. 7 bis del d.lgs. n. 286/1998 (T.U. sull’immigrazione) da cui discenderebbe – secondo il TAR rimettente – l’automatico diniego del permesso di soggiorno per lo straniero residente di lungo periodo, dichiarato colpevole di uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della l. n. 633/1941, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli artt. 473 e 474 del c.p., o condannato anche non definitivamente per delitti non colposi ex art. 381 c.p.p. Tale previsione si porrebbe in contrasto con la pertinente normativa dell’UE, nonché con l’art. 8 della CEDU. La Corte costituzionale ha però ricordato che, secondo consolidata giurisprudenza amministrativa, il diniego del permesso di soggiorno non è automatico, richiedendo invece un effettivo giudizio di pericolosità sociale del richiedente, adeguatamente motivato. La questione di legittimità costituzionale, che non teneva conto di tale interpretazione, era manifestamente inammissibile.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, 9, comma 4, e 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, nel procedimento vertente tra S.E. e il Ministero dell’interno, con ordinanza del 19 novembre 2012, iscritta al n. 6 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2014 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, con ordinanza del 19 novembre 2012, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3 («applicato in correlazione con il successivo art. 5, comma 5»), 9, comma 4, e 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), «nelle parti in cui le condanne con provvedimenti irrevocabili per uno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché le condanne, anche non definitive, per delitti non colposi, di cui all’art. 381 del codice di procedura penale sono considerate “automaticamente” ostative al rilascio del permesso di soggiorno, ivi compreso quello per soggiornanti CE di lungo periodo, senza che l’effettiva pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato del cittadino extracomunitario sia concretamente valutata di volta in volta dall’Amministrazione»;

che, secondo il rimettente, il cittadino extracomunitario S.E. ha chiesto il rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, con istanza rigettata dal Questore della Provincia di Reggio Calabria, in quanto, con sentenza del Tribunale ordinario di Locri del 12 febbraio 2007, confermata con sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria del 28 ottobre 2008, divenuta irrevocabile il 13 gennaio 2009, è stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione ed euro 1.200,00 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale della pena, per il reato di cui all’art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) e, con altra sentenza dello stesso Tribunale del 6 aprile 2007, è stato condannato alla pena di anni uno di reclusione ed euro 400,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 171-ter di detta legge, condanne ritenute ostative al rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo;

che S.E. ha impugnato il suindicato provvedimento, formulando tre motivi di censura ed il TAR, con ordinanza del 24 ottobre 2012, ha accolto la domanda cautelare, disponendo la sospensione di detto provvedimento sino all’esito della decisione della questione di legittimità costituzionale;

che ad avviso del giudice a quo l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce, tra l’altro, che «Impedisce l’ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale», mentre l’art. 5, comma 5, di detto decreto legislativo, a sua volta, dispone: «il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato» e, in riferimento al lavoro autonomo, il successivo art. 26, comma 7-bis, dispone che «la condanna con provvedimento irrevocabile per alcuno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale comporta la revoca del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica»;

che dunque, ad avviso del rimettente, le condanne suddette comporterebbero automaticamente la perdita del permesso di soggiorno già ottenuto, ovvero costituirebbero un impedimento assoluto al rinnovo dello stesso;

che – prosegue il giudice a quo – l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998 disciplina il «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo» e dispone, al comma 4, che quest’ultimo «non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato», fissando i criteri che devono presiedere alla formulazione di tale giudizio;

che, secondo il TAR, le condanne riportate dal ricorrente impedirebbero, con mero automatismo, il rilascio del permesso di soggiorno e, tuttavia, la sentenza n. 172 del 2012 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1-ter, comma 13, lettera c), del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell’istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 cod. proc. pen., senza prevedere che la Pubblica amministrazione accerti se egli rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, conforterebbe il dubbio in ordine all’illegittimità costituzionale delle norme censurate;

che, ad avviso del rimettente, non sarebbe condivisibile il principio enunciato da alcune sentenze del TAR per la Calabria, le quali hanno ritenuto applicabile la citata sentenza n. 172 del 2012 anche ai cittadini extracomunitari che chiedono il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno ordinario, ovvero del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, anche qualora non versino nella condizione disciplinata dal richiamato art. 1-ter, comma 13, lettera c), ma le argomentazioni svolte in quest’ultima pronuncia potrebbero essere richiamate a conforto delle censure proposte in riferimento alle norme qui in esame;

che, secondo il TAR, coloro che, già muniti di permesso di soggiorno, ne chiedono il rinnovo, ovvero chiedono (come il ricorrente) il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, sono a tutti gli effetti «individui già da tempo presenti in Italia e dediti al lavoro» e, «quindi, meritevoli di tutela, alla pari dei clandestini che hanno presentato domanda di emersione» dal lavoro irregolare, con la conseguenza che, nel caso di sentenze di condanna per reati non particolarmente gravi, la Pubblica amministrazione dovrebbe «valutare, di volta in volta, se il richiedente rappresenti o meno una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, al di fuori di qualsiasi automatismo, non giustificato dalla tenuità delle ipotesi delittuose»;

che, ad avviso del giudice a quo, a seguito della sentenza n. 172 del 2012, sarebbe garantito un trattamento di favore esclusivamente nel caso di emersione dal lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari, benché questo sia omologo a quelli «di richiesta o di rinnovo del permesso di soggiorno (ordinario e di lungo periodo)», con conseguente violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.);

che, in definitiva, la previsione in virtù della quale le condanne irrogate con sentenza (o provvedimento) irrevocabile per uno dei reati sopra indicati sono «automaticamente» ostative al rilascio e/o al rinnovo del permesso di soggiorno ordinario e per lavoro autonomo e, quindi, fanno venire meno un requisito per potere ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, nonostante che per tali reati non sia previsto neppure l’arresto facoltativo in flagranza, ai sensi dell’art. 381 cod. proc. pen. (ad eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 171-ter, comma 2, della legge n. 633 del 1941) e che le relative condanne non ostino all’emersione dal lavoro irregolare, sarebbe manifestamente irragionevole, in quanto l’automatismo del diniego è correlato alla commissione di reati non necessariamente sintomatici della pericolosità degli autori degli stessi, apparendo imprescindibile a questo scopo una specifica delibazione da parte della Pubblica amministrazione;

che, infine, secondo il TAR, la questione sarebbe rilevante, poiché la decisione del ricorso è «indissolubilmente legata all’esito» della stessa e potrebbe essere favorevole al cittadino extracomunitario soltanto qualora sia ritenuta fondata;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che, a suo avviso, questa Corte, con la sentenza n. 148 del 2008, ha ritenuto compatibili con la Costituzione norme che vietano la permanenza nel territorio dello Stato per il solo fatto che il cittadino non italiano abbia commesso determinati reati, salvo che sussistano, in contrario, ragioni umanitarie e solidaristiche, quali quelle contemplate dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo) e dal decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5 (Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare) e l’automatismo sarebbe giustificato dal bilanciamento degli interessi sottesi alla tutela della sicurezza pubblica e alla tutela della vita familiare, al quale fa riferimento anche l’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (CEDU);

che, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, avrebbe inoltre pregnante rilievo che «in analoga materia», recentemente, è stata adottata un’interpretazione adeguatrice da parte del Consiglio di Stato, il quale è pervenuto ad «annullare gli atti amministrativi che non abbiano avuto una motivazione adeguata ai principi contenuti nella direttiva europea in materia di ricongiungimento familiare per contrasto con i principi fondamentali contenuti» nella CEDU (Consiglio di Stato, sezione IV, 13 settembre 2010, n. 6566);

che, in definitiva, ad avviso dell’interveniente, il rimettente doveva «pervenire ad una interpretazione adeguatrice» alle norme convenzionali, in particolare a quella contenuta nell’art. 8 della CEDU.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Calabria ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, («applicato in correlazione con il successivo art. 5, comma 5»), 9, comma 4, e 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nelle parti in cui stabiliscono che «le condanne con provvedimenti irrevocabili per uno dei reati previsti dalle disposizioni del Titolo III, Capo III, Sezione II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, relativi alla tutela del diritto di autore, e dagli articoli 473 e 474 del codice penale, nonché le condanne, anche non definitive, per delitti non colposi, di cui all’art. 381 del codice di procedura penale sono considerate “automaticamente” ostative al rilascio del permesso di soggiorno, ivi compreso quello per soggiornanti CE di lungo periodo, senza che l’effettiva pericolosità per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato del cittadino extracomunitario sia concretamente valutata di volta in volta dall’Amministrazione»;

che, dette norme si porrebbero in contrasto l’art. 3 Cost., sotto un primo profilo, in quanto nel caso di emersione dal lavoro irregolare, in virtù della sentenza di questa Corte n. 172 del 2012, la condanna per i suindicati reati non è automaticamente ostativa alla regolarizzazione del cittadino extracomunitario e, quindi, per quest’ultimo sarebbe stabilito un trattamento di favore, nonostante che la fattispecie sia omologa alle «ipotesi di richiesta o di rinnovo del permesso di soggiorno (ordinario e di lungo periodo)», con conseguente violazione del principio di eguaglianza;

che detto parametro costituzionale sarebbe leso, sotto un secondo profilo, a causa dell’intrinseca irragionevolezza del censurato automatismo, poiché concerne anche le condanne per reati per i quali neppure è previsto l’arresto facoltativo in flagranza, ai sensi dell’art. 381 cod. proc. pen. (ad eccezione dell’ipotesi di cui all’art. 171-ter, comma 2, della legge 22 aprile 1941, n. 633, recante «Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio»), i quali non impediscono l’emersione dal lavoro irregolare, né sono necessariamente sintomatici di pericolosità sociale;

che, in linea preliminare, va osservato che il TAR rimettente ha accolto la domanda cautelare sul presupposto della non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale e sino all’esito della relativa decisione e che, quindi, non ha esaurito la propria potestas iudicandi, con la conseguenza che, sotto questo profilo, la questione è ammissibile (tra le molte, sentenza n. 83 del 2013);

che, tuttavia, in linea ancora preliminare, va osservato che, secondo l’univoca e reiterata puntualizzazione svolta nell’ordinanza di rimessione, il cittadino extracomunitario ha presentato istanza per «il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo», chiedendo nel giudizio principale l’annullamento dell’atto di rigetto della medesima e, conseguentemente, nello stesso è in contestazione esclusivamente la legittimità del diniego di tale tipo di permesso di soggiorno;

che, quindi, nella specie viene in rilievo soltanto il citato art. 9, comma 4, perchè tale disposizione – ha di recente affermato questa Corte – disciplina in modo autonomo ed esaustivo detto tipo di permesso di soggiorno (sentenza n. 202 del 2013), sicché la questione è rilevante esclusivamente in relazione a siffatta norma (con la conseguenza che neppure occorre prendere in esame le eventuali ricadute di quest’ultima sentenza, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, norma peraltro non specificamente censurata dal TAR);

che, a prescindere altresì da ogni considerazione sul difetto di motivazione circa i profili di rilevanza concernenti la negativa incidenza delle condanne non definitive e delle condanne per i reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen. (tenuto conto degli elementi della fattispecie indicati nell’ordinanza di rimessione), occorre osservare che, secondo un orientamento della giurisprudenza amministrativa, l’art. 9 del d.lgs. n. 286 del 1998, nel testo sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), esige che «l’eventuale diniego di rilascio del “permesso per soggiornanti di lungo periodo” sia sorretto da un giudizio di pericolosità sociale dello straniero, con una motivazione articolata non solo con riguardo alla circostanza dell’intervenuta condanna, ma su più elementi, ed in particolare con riguardo alla durata del soggiorno nel territorio nazionale e all’inserimento sociale, familiare e lavorativo dell’interessato, escludendo l’operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate» (per tutte, Consiglio di Stato, sezione III, 29 ottobre 2012, n. 5515);

che, soprattutto, assume pregnante rilievo la considerazione che un orientamento della giurisprudenza ha reputato applicabile il sistema di tutela rafforzata quando il cittadino extracomunitario, sul presupposto della permanenza effettiva nel territorio dello Stato da oltre un quinquennio, abbia avviato il procedimento di rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ai sensi del citato art. 9 (TAR Puglia, sezione di Lecce, 14 marzo 2013, n. 582; v. anche TAR Campania, sezione VI, 11 luglio 2013, n. 3602; TAR Lazio, sezione II-quater, 20 novembre 2012, n. 9598), ritenendo che versino in detta situazione «anche coloro che hanno maturato la condizione per il rilascio del permesso di soggiorno a siffatto titolo» (TAR Toscana, sezione II, 7 febbraio 2013, n. 233), con la conseguenza che l’eventuale diniego di rilascio di tale tipo di permesso è subordinato allo svolgimento di un giudizio di pericolosità sociale, nel quale non è possibile tenere conto, con mero automatismo, della sola condanna penale eventualmente irrogata al richiedente (TAR Lazio, sezione II-quater, 15 ottobre 2013, n. 8879; TAR Lazio, sezione II-quater, 17 aprile 2013, n. 3896);

che, peraltro, lo stesso Ministero dell’interno – Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari, nel parere reso in data 13 febbraio 2013 alla Presidenza del Consiglio dei ministri sulla questione di legittimità costituzionale in esame (prodotto nel presente giudizio dall’Avvocatura generale dello Stato), ha sottolineato che, «Ad avviso di questo Ministero, gli automatismi rilevati dal giudice remittente non sono riscontrabili nelle norme censurate», osservando che, «per quanto concerne il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo di cui all’art. 9, il rilascio, diniego o revoca del permesso richiede un giudizio sulla effettiva pericolosità del richiedente» e, quindi, il «richiamo ai reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio ovvero facoltativo in flagranza […] vale soltanto ad orientare […] tale giudizio di pericolosità » ed ha, altresì, riferito siffatte considerazioni anche alla «ipotesi di rinnovo del permesso di soggiorno al cittadino straniero che sia incorso nei reati in materia di tutela del diritto d’autore che, ai sensi dell’art. 26, comma 7-bis […] comportano la revoca del permesso di soggiorno per lavoro autonomo»;

che la mancata compiuta considerazione di detto orientamento, da un canto, si risolve nella carente esposizione degli argomenti in ordine al presupposto interpretativo dal quale muove il rimettente,che ridonda in difetto di motivazione sulla rilevanza della questione concernente il citato art. 9, comma 4 (ordinanza n. 86 del 2013), dall’altro, comporta il mancato, dovuto, approfondimento delle ragioni impeditive dell’interpretazione adeguatrice, in quanto il TAR ha, invece, valutato il differente profilo della riferibilità a detta norma del principio enunciato da questa Corte con la sentenza n. 172 del 2012;

che, quindi, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 3, 9, comma 4, e 26, comma 7-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2014.