Ordinanza della Corte costituzionale 21 giugno 2016, n. 180

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G.U. 20 luglio 2016, n. 29

Il caso di un cittadino siriano da tempo regolarmente residente in Italia a cui era stato negato l’assegno sociale perché non in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ha sollevato questione di costituzionalità delle norme applicabili, per contrasto – secondo il giudice remittente – con il divieto di discriminazione dello straniero stabilito nel diritto internazionale generale e dall’art. 14 CEDU (e quindi con gli artt. 10, co. 1, e 117, co. 1, Cost.). La Corte costituzionale ha però statuito che le disposizioni censurate, in realtà, non operano una discriminazione tra cittadini UE e di paesi terzi, né tra stranieri e italiani.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001), promosso dal Tribunale ordinario di Bologna, nel procedimento vertente tra H.J.J.N. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 13 marzo 2015, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 21 giugno 2016 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi l’avvocato Clementina Pulli per l’INPS e l’avvocato dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto che, con ordinanza del 13 marzo 2015 (r.o. n. 161 del 2015), il Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da almeno dieci anni, del beneficio dell’assegno sociale previsto dall’art. 3, comma 6°, della legge n. 335/1995 e successive integrazioni»;

Il caso di un cittadino siriano da tempo regolarmente residente in Italia, al quale era stato negato l’assegno sociale perché non era in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ha sollevato questione di costituzionalità delle norme applicabili per contrasto – secondo il giudice rimettente – con il divieto di discriminazione degli stranieri previsto nel diritto internazionale generale e nella CEDU (e quindi, con gli artt. 10, co. 1, e 117,co. 1, Cost.). La Corte costituzionale ha però statuito che le disposizioni censurate non operavano una discriminazione, in realtà, né tra cittadini dell’UE e di paesi terzi, né tra stranieri e italiani.

che, secondo il giudice rimettente, tale disposizione, si porrebbe in contrasto con l’art. 10, primo comma, Cost., tenuto conto che, tra le norme internazionali generalmente riconosciute, «rientrano quelle che, nel garantire i diritti inviolabili indipendentemente dalla appartenenza a determinate entità politiche, vietano la discriminazione nei confronti degli stranieri, legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato» e che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, «sul punto la Corte costituzionale si è già pronunciata in situazioni analoghe con le sentenze n. 306/2008 e n. 11/2009»;

che, inoltre, alla luce di quanto affermato nella sentenza n. 87 del 2010 (recte: n. 187 del 2010), sarebbe violato anche l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 della CEDU, e all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e reso esecutivo con legge n. 848 del 1955, così come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, dal momento che le prestazioni in esame «sono destinate a consentire il concreto soddisfacimento di bisogni primari inerenti alla sfera di tutela della persona, ovvero a costituire un diritto fondamentale, in quanto garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto beneficiario»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo ha evidenziato che «il ricorrente è in possesso di tutti i requisiti per il riconoscimento del beneficio dell’assegno sociale» e «il rifiuto della prestazione è dipeso unicamente dal mancato possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo ai sensi dell’art. 80, comma 19° Legge 23 dicembre 2000 n. 388»;

che si è costituito in giudizio l’INPS, il quale ha chiesto dichiararsi manifestamente inammissibile o infondata la questione, osservando che analoghe questioni sono già state dichiarate inammissibili con l’ordinanza n. 197 del 2013 e con la sentenza n. 22 del 2015;

che, inoltre, secondo l’Istituto resistente, il rimettente non avrebbe considerato che le sentenze della Corte costituzionale, richiamate nell’ordinanza come precedenti pertinenti, si riferiscono, in realtà, a provvidenze economiche diverse, non assimilabili all’assegno sociale e, quanto all’asserita violazione della normativa comunitaria, avrebbe trascurato che il regolamento (CEE) 14 giugno 1971, n. 1408/71 del Consiglio, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, come interpretato dalla Corte di giustizia, esclude dal suo campo di applicazione i regimi di assistenza sociale;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, per l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata;

che, in punto di rilevanza, l’Avvocatura generale dello Stato ha osservato che l’ordinanza, da un lato, non chiarisce perché il cittadino straniero, malgrado residente in Italia dal 1992, non sia in possesso della carta di soggiorno e, dall’altro, non tiene conto della disciplina dettata dall’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce che «a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale»;

che, comunque, secondo la difesa statale, la questione sarebbe infondata in quanto al legislatore è consentito prevedere ragionevoli restrizioni nella corresponsione di provvidenze in considerazione delle limitate risorse finanziarie;

che, trattandosi di cittadini di Paesi terzi, la previsione denunciata non risulterebbe in contrasto con l’ordinamento comunitario né con le disposizioni della CEDU o con l’art. 10 Cost.;

che, infine, il giudice rimettente non avrebbe considerato che il beneficio in esame è volto a tutelare interessi «obiettivamente non comparabili» a quelli relativi ad altre provvidenze e persegue, al tempo stesso, «la finalità di scoraggiare atteggiamenti opportunistici»;

che con memoria depositata il 29 gennaio 2016 l’INPS, ribadite le conclusioni già rassegnate, ha segnalato che la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza del 30 ottobre 2015, n. 22261, ha reputato ragionevole la disciplina oggetto di censura affermando che si tratta di emolumento che prescinde dallo stato di invalidità e, pertanto, non investe la tutela di condizioni minime di salute o gravi situazioni di urgenza.

Considerato che il Tribunale ordinario di Bologna, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da almeno dieci anni, del beneficio dell’assegno sociale previsto dall’art. 3, comma 6°, della legge n. 335/1995 e successive integrazioni»;

che il giudice rimettente ha mostrato di non essersi posto il problema della eventuale applicabilità, anche solo per escluderla, al caso del ricorrente, della disciplina dettata dall’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, il quale stabilisce che «a decorrere dal 1° gennaio 2009, l’assegno sociale di cui all’articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale»;

che, come questa Corte ha già chiarito, tale disciplina – le ragioni della cui eventuale inapplicabilità nel giudizio principale non risultano neppure accennate – «appare comunque indicativa dell’orizzonte entro il quale il legislatore ha ritenuto di disporre in una materia del tutto singolare come questa dell’assegno sociale, dal momento che il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo – stando allo stretto tenore letterale della norma – agli stessi cittadini italiani» (ordinanza n. 197 del 2013);

che, dunque, non vi sarebbe violazione dei principi enunciati dall’art. 14 della CEDU, e dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, in quanto «da un lato, non risulterebbe evocabile alcun elemento di discriminazione tra cittadini extracomunitari, a seconda che risultino o no titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e, dall’altro lato, neppure sussisterebbe una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito temporale del soggiorno riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio» (ordinanza n. 197 del 2013, citata);

che, infine, la previsione di un limite di stabile permanenza (per dieci anni) sul territorio nazionale come requisito per ottenere il riconoscimento del predetto beneficio appare adottata, piuttosto che sulla base di una scelta di tipo meramente “restrittivo”, sul presupposto, per tutti «gli aventi diritto», di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato e, del resto, in esatta corrispondenza alla previsione del termine legale di soggiorno richiesto per il conseguimento della cittadinanza italiana, a norma dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza);

che, alla luce dei riferiti rilievi, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2001), sollevata, in riferimento agli artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 ed all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, dal Tribunale ordinario di Bologna con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2016.