Ordinanza della Corte costituzionale 1 luglio 2013, n. 173

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 G.U. 10 luglio 2013, n. 28

Con l’ordinanza n. 173/2013, la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, co. 4, lett. c), primo periodo, del d.l. n. 98/2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla l. n. 111/2011. La questione di legittimità era stata sollevata dal TAR per l’Abruzzo con riguardo al procedimento vertente tra il Comune di Tagliacozzo e il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo. Il TAR per l’Abruzzo riteneva, in particolare, che la norma violasse gli artt. 3, 24, 72, 73, 103, 113, 117, e 120 della Costituzione, nonché l’art. 6 della CEDU.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, nel procedimento vertente tra il Comune di Tagliacozzo e il Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo ed altre, con ordinanza del 16 febbraio 2012, iscritta al n. 256 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione, fuori termine, del Comune di Tagliacozzo nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2013 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro.

Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, con ordinanza del 16 febbraio 2012, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;

che, secondo il rimettente, il Comune di Tagliacozzo ha proposto giudizio di ottemperanza, ai sensi dell’art. 112 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 («Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo») (infra, anche c.p.a.), allo scopo di ottenere l’attuazione della sentenza del TAR per l’Abruzzo del 9 giugno 2011, n. 324, la quale ha annullato le deliberazioni del Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Abruzzo 3 agosto 2010, n. 44, e 5 agosto 2010, n. 45, costituenti rispettivamente il «programma operativo» di cui all’art. 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), e la «approvazione dei provvedimenti tecnici attuativi delle Azioni 1 e 3», in particolare, per quanto qui interessa, nella parte in cui disponevano la «disattivazione» dell’ospedale di Tagliacozzo e la sua trasformazione in «presidio territoriale di assistenza» e la «disattivazione dei presidi per acuti non coerenti col fabbisogno individuato e cronoprogramma delle loro riconversioni»;

che avverso detta sentenza hanno proposto appello, con separati atti, la Regione Abruzzo ed il Commissario ad acta, chiedendone la sospensione dell’esecutività, ma il Consiglio di Stato «ha dichiarato improcedibili le domande cautelari» (sezione III, ordinanze 30 settembre 2011, n. 4291 e n. 4293), poiché, con la norma censurata, «gli atti amministrativi oggetto del giudizio sono stati trasfusi (e trovano legittimazione) in una fonte di rango legislativo, donde deriva quanto meno la carenza di interesse attuale dell’appellante alla concessione della richiesta misura cautelare»;

che il citato art. 17, comma 4, lettera c), ha, infatti, stabilito: «il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Regione Abruzzo dà esecuzione al programma operativo per l’esercizio 2010, di cui all’articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che è approvato con il presente decreto, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti già adottati e la salvezza degli effetti e dei rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione» e, in tal modo, secondo il rimettente, avrebbe dato veste legislativa agli atti amministrativi parzialmente annullati dalla citata sentenza, «fornendo altresì una generale copertura alle misure attuative nel frattempo adottate»;

che, ad avviso del TAR, il Comune di Tagliacozzo ha proposto giudizio di ottemperanza, chiedendo la fissazione delle modalità di attuazione della sopra richiamata sentenza, eccependo l’illegittimità costituzionale del citato art. 17, comma 4, lettera c), qualora sia ritenuto preclusivo dell’esecuzione della pronuncia;

che le amministrazioni resistenti, nel costituirsi nel giudizio principale, hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso ed hanno dedotto: in primo luogo, che l’ordinanza del Consiglio di Stato ha rilevato l’inefficacia della sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza, la quale non sarebbe, quindi, eseguibile; in secondo luogo, che le misure dirette a disattivare e riconvertire l’ospedale di Tagliacozzo sono state attuate «fin dall’epoca di introduzione del giudizio definito» con detta pronuncia; in terzo luogo, che l’unica pronuncia cautelare resa nel giudizio di merito ha riguardato l’incidenza degli atti impugnati (e poi annullati) sulla funzionalità del servizio di pronto soccorso e sull’attrezzatura tecnologica necessaria per una diagnostica di primo intervento, a cui è stato dato corso con deliberazione commissariale n. 81 del 2010, non impugnata; in quarto luogo, che l’eccezione di illegittimità costituzionale costituirebbe l’unico oggetto del giudizio e difetterebbe una domanda oggetto di un autonomo e distinto petitum;

che, secondo il TAR, il ricorrente ha chiesto l’esecuzione di una sentenza appellata, ma esecutiva ex art. 33, comma 2, del codice del processo amministrativo, in quanto non sospesa e la questione di legittimità costituzionale sarebbe rilevante, in quanto il suo accoglimento «rimuoverebbe anche l’ostacolo all’esecuzione della decisione», sussistendo l’incidentalità della stessa, poiché la sua fondatezza comporterebbe che «il potere del giudice amministrativo ex art. 112 [c.p.a.] riprenderebbe il suo primitivo vigore», mentre la circostanza che le deliberazioni annullate sono state interamente eseguite rileverebbe solo ai fini dell’identificazione delle misure necessarie per garantirne l’esecuzione;

che, nel merito, ad avviso del rimettente, la Regione Abruzzo, in presenza di una situazione di squilibrio economico-finanziario della spesa sanitaria regionale, in data 6 marzo 2007 aveva stipulato con i Ministri della salute e dell’economia l’accordo previsto dall’art. 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), e dall’art. 8 dell’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 (Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in attuazione dell’articolo 1, comma 173, della legge 30 dicembre 2004, n. 311), impegnandosi ad attuare il piano di rientro dal disavanzo, e detto accordo era stato approvato con deliberazione della Giunta regionale del 13 marzo 2007, n. 224, composta da tre elaborati;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, con nota del 30 luglio 2008, aveva attivato la procedura di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222, in virtù della quale, quando è accertata l’inosservanza da parte della Regione degli adempimenti previsti dal piano di rientro, la stessa è diffidata ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti e, nella specie, riscontrata la persistenza dei presupposti della diffida, il Consiglio dei ministri, con deliberazione dell’11 settembre 2008, ha nominato, ai sensi dell’art. 4 del decreto-legge n. 159 del 2007, un Commissario ad acta, per l’attuazione di detto piano di rientro, designandolo, con successiva delibera dell’11 dicembre 2009, nella persona del Presidente pro tempore di detta Regione;

che il Commissario ad acta, con deliberazione del 3 agosto 2010, n. 44, approvava il programma operativo 2010, recante la previsione di una serie di interventi, tra i quali il «Piano della rete ospedaliera», in vista dell’identificazione delle «strutture ospedaliere che non risultano coerenti (…) con il fabbisogno di prestazioni della popolazione» e, con deliberazione 5 agosto 2010, n. 45, individuava cinque strutture (tra queste quella sita nel Comune di Tagliacozzo) «da disattivare da ospedali per acuti»;

che, secondo il giudice a quo, la sentenza della quale è stata chiesta l’esecuzione ha ritenuto che i poteri del Commissario ad acta non prevedevano la disattivazione, ma la riconversione dei cosiddetti piccoli ospedali in «ospedali di territorio» e questi neppure poteva derogare a specifici contenuti di leggi regionali (in particolare, le leggi della Regione Abruzzo 10 marzo 2008, n. 5, recante «Un sistema di garanzie per la salute – Piano sanitario regionale 2008- 2010» e 5 aprile 2007, n. 6, recante «Linee-guida per la redazione del piano sanitario 2007/2009 – Un sistema di garanzie per la salute – Piano di riordino della rete ospedaliera»), non motivatamente assunte quale «ostacolo alla piena realizzazione del piano di rientro» e costituenti parte integrante del citato accordo;

che, per il TAR, la disposizione censurata costituirebbe una norma-provvedimento diretta ad eludere l’annullamento degli atti amministrativi del Commissario ad acta e, a suo avviso, questa Corte ha affermato che le leggi-provvedimento sono soggette ad uno scrutinio stretto di costituzionalità e le stesse devono rispettare i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e l’intangibilità del giudicato (sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n. 282 del 2005);

che, inoltre, la giurisprudenza costituzionale «ha escluso che all’adozione di una determinata disciplina con norme di legge sia di ostacolo la circostanza che, in sede giurisdizionale, sia stata ritenuta illegittima quella contenuta in una fonte normativa secondaria o in un atto amministrativo» (sono richiamate le sentenze n. 211 del 1998 e n. 263 del 1994, nonché le ordinanze n. 32 del 2008 e n. 352 del 2006), ma è censurabile che il legislatore ordinario, oltre a creare una regola astratta, prenda «espressamente in considerazione anche le sentenze passate in giudicato» (sentenza n. 374 del 2000), emanando «leggi di sanatoria il cui unico intento è quello di incidere su uno o più giudicati (ordinanza n. 352 del 2006)»;

che, secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe «ispirata all’unico “intento”, seppure non esplicitato, di incidere direttamente sulle decisioni del giudice amministrativo» e non rileverebbe il mancato passaggio in giudicato della sentenza di cui è stata chiesta l’esecuzione, in quanto essa «impedisce proprio il formarsi della cosa giudicata, sovrapponendo la propria disciplina a quella derivante dalla sentenza», dovendo reputarsi equiparate dall’art. 112 del c.p.a., ai fini dell’ottemperanza, «le sentenze passate in giudicato e quelle esecutive», con conseguente violazione degli artt. 24, 103, 113 e 117 Cost., in relazione (per quest’ultimo parametro) all’art. 6 della CEDU, nonché dell’art. 3 Cost., per difetto di ragioni in grado di «giustificare il regime speciale riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono per essere inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del quarto comma del citato art. 17;

che, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 17, comma 4, lettera a), disciplina il procedimento preordinato ad eliminare gli ostacoli che impediscono l’attuazione del piano di rientro o dei programmi operativi, prevedendo l’intervento del Consiglio regionale per le eventuali modifiche delle leggi regionali e del Consiglio dei ministri, in caso di inerzia del primo, ma la norma censurata ne impedirebbe l’applicabilità alla Regione Abruzzo e, in tal modo, in violazione degli artt. 117 e 120 Cost., senza rispettare i parametri dell’art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), avrebbe non ragionevolmente estromesso gli «organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi ed eventualmente rimuoverle laddove siano considerate di ostacolo al perseguimento degli obiettivi di risanamento»;

che, secondo il TAR, la disciplina in esame concerne le materie «tutela della salute» ed «armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica», spettanti alla competenza legislativa concorrente della Regione, nelle quali è riservata allo Stato la fissazione dei principi fondamentali, quali non sarebbero quelli posti dalla norma censurata, tenuto conto del carattere provvedimentale della medesima, con conseguente lesione dell’art. 117, terzo comma, Cost., anche in considerazione «dell’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili» e della circostanza che la legificazione del programma operativo del Commissario ad acta lo fa prevalere sul citato accordo tra Stato e Regione Abruzzo e, quindi, sul piano di rientro e relativi allegati, ai quali la Regione ha dato esecuzione con le leggi n. 5 del 2008 e n. 6 del 2007;

che, inoltre, gli atti del Commissario ad acta sono stati annullati perché ritenuti in contrasto con leggi regionali di attuazione del piano di rientro, mentre, come risulta anche dal citato art. 17, comma 4, lettera a), l’eliminazione degli ostacoli di natura legislativa all’attuazione del piano di rientro spetta al Consiglio regionale, salvo l’intervento del Consiglio dei ministri ex art. 120 Cost., avendo la lettera b) di tale disposizione confermato che «il programma operativo non ha automatici effetti abrogativi o modificativi o sospensivi di leggi regionali»;

che, ad avviso del TAR, la norma censurata inciderebbe sull’assetto scaturente dal citato accordo, in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., anche in quanto la Corte costituzionale avrebbe ritenuto costituzionalmente illegittimi gli interventi unilaterali idonei ad incidere su di esso (sentenze n. 123 e n. 77 del 2011, n. 141 e n. 2 del 2010) e, nella specie, la forza di legge conferita al programma operativo comporterebbe tale esito e realizzerebbe «rilevanti interferenze su un atto che nasce da un processo co-decisionale» e che non potrebbe «essere modificato da provvedimenti unilaterali di una delle parti, in assenza di coinvolgimento della Regione interessata»;

che, infine, secondo il rimettente, la norma in esame sarebbe in contrasto con gli artt. 72 e 73, terzo comma, Cost., poiché recherebbe una generica approvazione del «programma operativo», rendendo del tutto incerto l’ambito della legificazione e la riferibilità della stessa «al solo atto presupposto o anche a quelli attuativi, dubbio accentuato dal fatto che l’atto “approvato” non è contraddistinto da alcun estremo identificativo, né tantomeno risulta pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale ed il conferimento di forza e valore di legge ad un atto amministrativo ne imporrebbe la pubblicazione, occorrendo, per ragioni di certezza del diritto, che la formulazione «del testo legislativo risponda a criteri di univocità, chiarezza e semplicità del dato normativo», essendo detta esigenza sottesa all’art. 72, primo comma, Cost.;

che nel giudizio davanti a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, nell’atto di intervento ed in una successiva memoria, che la questione sia dichiarata inammissibile e, comunque, infondata;

che, a suo avviso, la sentenza oggetto del giudizio di ottemperanza è stata appellata dalla Regione Abruzzo e dal Commissario ad acta ed il Consiglio di Stato ha dichiarato improcedibile la domanda di sospensione dell’esecutività della stessa, a causa della sopravvenienza della norma censurata, e la questione sarebbe irrilevante, anzitutto perché il programma operativo per l’anno 2010 è «ormai superato», in conseguenza dell’approvazione con delibera commissariale del 6 luglio 2011, n. 22, del nuovo programma operativo 2011/2012;

che la nuova programmazione regionale adottata ai sensi dell’art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009 prevede, infatti, ulteriori manovre ed interventi e costituisce, ai sensi del comma 88-bis di detto articolo, la prosecuzione, ai fini della loro completa e definitiva attuazione, degli originari piani di rientro, attualizzati in applicazione delle sopravvenienze normative;

che, come emerge dal verbale della riunione tenuta in data 13 novembre 2012, per la verifica dello stato di attuazione del piano di rientro e dei successivi programmi operativi della Regione Abruzzo, la possibilità di redigere ulteriori programmi operativi, a decorrere dall’anno 2013, in prosecuzione degli originari piani di rientro è, inoltre, prevista dall’art. 15, comma 20, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e la programmazione sanitaria regionale dovrà essere rivista alla luce dei nuovi (emanandi) standard qualitativi, strutturali e tecnologici relativi alla assistenza ospedaliera, per procedere all’adozione di provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto a carico del servizio sanitario regionale (SSR) (art. 15, comma 13, lettera c, del d.l. n. 95 del 2012), essendo altre «recenti indicazioni in ordine al “riordino della assistenza territoriale”» contenute nell’art. 1 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189;

che siffatte sopravvenienze, innovando il quadro normativo e fattuale in pendenza del processo di appello avverso la sentenza sopra indicata, evidenzierebbero l’irrilevanza della questione, poiché anche nel caso di eventuale accoglimento della stessa, il giudizio di ottemperanza non potrebbe prescindere dalla nuova situazione di fatto e di diritto e dall’esigenza della «preventiva valutazione della rilevanza degli interessi in gioco, nel contemperamento cioè dei costi-benefìci per l’intera collettività che l’operazione richiesta dal Comune di Tagliacozzo (ossia il ripristino della situazione quo ante) potrebbe comportare»;

che, ad avviso dell’Avvocatura, la norma censurata inciderebbe «sulla vicenda passata superandola», privandola «sostanzialmente dei suoi effetti», e «l’eventuale rinnovazione dell’attività amministrativa non può più dirsi dovuta quale adempimento a seguito di pronunzie demolitorie» e si «concretizzerà in attività esecutiva del nuovo disposto legislativo, sulla cui esclusiva base potrà essere valutata la legittimità» (Cons. Stato, Ad. Plen., 9 marzo 2011, n. 2), con la conseguenza che le domande del ricorrente «travalicano gli ambiti dell’azione di ottemperanza» e in tal senso sarebbe significativo che lo stesso TAR per l’Abruzzo ha dichiarato «improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse» un ricorso di contenuto analogo a quello oggetto della sentenza della quale è stata chiesta l’ottemperanza (sentenza 10 dicembre 2011, n. 2011);

che, secondo l’interveniente, le censure di costituzionalità costituirebbero l’unico oggetto del giudizio di ottemperanza e le considerazioni che: la sentenza della quale è stata chiesta l’esecuzione è intervenuta quando il provvedimento di disattivazione e riconversione dell’ospedale di Tagliacozzo era stato già completato; nel giudizio di merito l’unica misura cautelare concerneva gli atti incidenti sulla funzionalità del servizio di pronto soccorso e sull’attrezzatura tecnologica necessaria per una diagnostica di primo intervento; il Commissario ad acta «alle preoccupazioni esplicitate in sede cautelare» ha dato risposta con la deliberazione n. 81 del 2010, non impugnata, conforterebbero l’impossibilità di identificare un petitum distinto dalla questione di legittimità costituzionale, che sarebbe, quindi, inammissibile;

che, nel merito, l’Avvocatura ripercorre in dettaglio la disciplina dei piani di rientro dai disavanzi sanitari, sottolineandone la strumentalità rispetto allo scopo di garantire il rispetto dei saldi di finanza pubblica programmati e degli impegni assunti in sede comunitaria e deducendo la rilevanza delle esigenze di governo del sistema e di garanzia degli obiettivi di finanza pubblica sottesi alla norma censurata, la quale ha dovuto tenere conto della programmazione prevista «con l’Intesa Stato-Regioni del 3 dicembre 2009, non scontata nei piani sottoscritti nel 2007, quale è il piano della Regione Abruzzo», richiedendo l’esatta identificazione della ratio della stessa di avere riguardo all’art. 2, commi 88 ed 88-bis, della legge n. 191 del 2009;

che, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, rileverebbe il fatto che il legislatore ha ritenuto che il piano di rientro, qualora non sia stato completamente eseguito, deve necessariamente proseguire ed essere aggiornato (con le modalità analiticamente descritte), fermo restando quale obiettivo minimo delle Regioni sottoposte a piano di rientro quello di ridurre il disavanzo nella misura prescritta;

che l’esito avuto di mira dal rimettente «avrebbe come immediata ed inevitabile conseguenza un grave disservizio nell’erogazione dell’assistenza sanitaria», essendo necessario valutare le prescrizioni della norma censurata nel loro complesso, in modo da apprezzare che la stessa persegue la finalità di dare seguito agli interventi e alle azioni stabilite nei programmi operativi 2010 e 2011/2012 e di fornire alle Regioni uno strumento di programmazione di nuove azioni, funzionali al risanamento e alla riqualificazione del SSR, anche completando i processi di riqualificazione dell’offerta ospedaliera e dei servizi territoriali;

che la cogenza dei piani di rientro già prevista dall’art. l, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è stata ribadita dall’art. 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, il quale, secondo questa Corte, reca un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e l’espressa condivisione, da parte delle Regioni, della necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario comporta che la competenza legislativa concorrente delle stesse nella materia della tutela della salute può incontrare limiti, mentre le funzioni amministrative del Commissario ad acta «devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli organi regionali» (sentenza n. 78 del 2011), avendo la giurisprudenza costituzionale ritenuto legittime le leggi-provvedimento;

che, secondo l’interveniente, non sussisterebbe un’irragionevole estromissione degli organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi in contrasto con gli obiettivi del piano di rientro, con conseguente infondatezza delle censure riferite all’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto la Regione avrebbe potuto riappropriarsi dei poteri di riprogrammazione del piano di rientro e porre fine al commissariamento, proponendo un nuovo piano, ai sensi dell’art. 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009, avendo il programma operativo 2010 tenuto conto dell’esigenza di riorganizzare la rete ospedaliera ed avendo la norma censurata considerato il nuovo contesto e, quindi, nell’inerzia della Regione nella predisposizione di un nuovo piano di rientro, salvaguardato le direttive del Commissario ad acta coerenti con il novellato quadro normativo di riferimento;

che le disposizioni del programma operativo garantirebbero l’attuazione del piano di rientro anche perché, come esplicitato dal citato art. 17, comma 4, a distanza di tre anni le previsioni originarie del risanamento non avrebbero potuto trovare efficace applicazione, donde l’esigenza di adeguarle, conseguita dal programma operativo 2010, i cui elementi innovativi non sono frutto di una valutazione discrezionale del Commissario ad acta, ma hanno contenuto vincolato, in quanto imposti dalla necessità di adeguare l’organizzazione sanitaria regionale ai nuovi parametri di riferimento economici e normativi;

che «del tutto incongruente», ad avviso dell’Avvocatura, sarebbe la censura riferita all’art. 120 Cost., poiché il programma operativo 2010 approvato dal Commissario ad acta costituisce un provvedimento amministrativo, che ha assunto valore ed efficacia di legge in virtù della norma censurata, non in forza dell’illegittimo ed arbitrario esercizio del potere legislativo da parte del predetto, e contiene molteplici previsioni; con la conseguenza che detta disposizione non avrebbe avuto lo scopo di eludere il giudicato – peraltro, nella specie inesistente – e non avrebbe interferito sull’esercizio della funzione giurisdizionale;

che, infine, conclude l’interveniente, la norma censurata neanche contrasterebbe con le altre recate dal citato art. 17, comma 4, né escluderebbe l’applicabilità alla Regione Abruzzo, ricorrendone le condizione, della lettera a) di quest’ultima disposizione, risultando la specialità della prima giustificata dall’urgenza economica conseguente all’incremento del disavanzo;

che si è costituito nel giudizio davanti a questa Corte il Comune di Tagliacozzo, in persona del Sindaco pro tempore, parte nel processo principale, con atto depositato in data 5 aprile 2013 (quindi, oltre il termine stabilito dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale», ciò che esclude l’esigenza di riassumere le argomentazioni svolte nello stesso) ed ha chiesto l’accoglimento della questione, deducendo che la norma censurata violerebbe anche gli artt. 118 e 121 Cost. ed eccependo, altresì, l’illegittimità costituzionale: dell’art. 17, comma 4, lettera b), del decreto-legge n. 98 del 2011, che ha introdotto nell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, il comma 88-bis, in riferimento agli artt. 24, commi primo e secondo, 113, comma primo, e 117, comma primo, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU; del comma 4, lettera a), di detta norma, che ha modificato il comma 80 del citato art. 2, in riferimento agli artt. 24, 117, primo e terzo comma, e 121 Cost.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (di seguito: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;

che, secondo il TAR, la norma censurata, stabilendo che «il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Abruzzo dà esecuzione al programma operativo per l’esercizio 2010, di cui all’articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, che è approvato con il presente decreto, ferma restando la validità degli atti e dei provvedimenti già adottati e la salvezza degli effetti e dei rapporti giuridici sorti sulla base della sua attuazione», violerebbe gli artt. 24, 103, 113 e 117, primo comma, Cost., in relazione (per quest’ultimo parametro) all’art. 6 della CEDU, i quali vietano al legislatore ordinario «di intervenire con norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso», in quanto sarebbe «ispirata all’unico “intento”, seppure non esplicitato, di incidere direttamente sulle decisioni del giudice amministrativo» e, inoltre, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., poiché non sussisterebbero elementi in grado di «giustificare il regime speciale riservato alla Regione Abruzzo, nel cui ambito finiscono per essere inapplicabili le disposizioni introdotte dalla lettera a)» del citato art. 17, comma 4;

che detta disposizione, a suo avviso, violerebbe, altresì, gli artt. 117 e 120 Cost., in quanto renderebbe inapplicabili alla Regione Abruzzo le ulteriori prescrizioni del citato art. 17, comma 4, poiché «ha direttamente risolto ogni possibile conflitto tra il programma operativo e la legislazione regionale, per di più senza alcuna puntuale considerazione dei motivi di contrasto», e in tal modo avrebbe realizzato un’irragionevole «estromissione degli organi regionali dalla funzione di rivedere le proprie leggi ed eventualmente rimuoverle laddove siano considerate di ostacolo al perseguimento degli obiettivi di risanamento»;

che, secondo il rimettente, la norma censurata recherebbe vulnus anche all’art. 117, terzo comma, Cost.: in primo luogo, perché il carattere provvedimentale della stessa evidenzierebbe che con essa non sono stati stabiliti «principi fondamentali», con conseguente violazione della competenza legislativa della Regione nella materia «tutela della salute», rafforzata «dall’immotivata abrogazione implicita delle leggi regionali incompatibili»; in secondo luogo, in quanto la legificazione del programma operativo lo farebbe prevalere anche sull’accordo tra Stato e Regione Abruzzo e, quindi sul piano di rientro e relativi allegati, eseguiti dalla Regione, essendo stato il programma operativo annullato proprio perché giudicato in contrasto con atti di natura legislativa adottati dalla Regione Abruzzo, allo scopo di dare attuazione al piano di rientro;

che, infine, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 17, comma 4, lettera c), violerebbe gli artt. 72 e 73, terzo comma, Cost., poiché, disponendo una generica approvazione del «programma operativo», renderebbe dubbio l’ambito della legificazione, con conseguente incerta riferibilità della stessa «al solo atto presupposto o anche a quelli attuativi, dubbio accentuato dal fatto che l’atto “approvato” non è contraddistinto da alcun estremo identificativo, né tantomeno risulta pubblicato» nella Gazzetta Ufficiale;

che, preliminarmente, deve essere dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio del Comune di Tagliacozzo, parte del processo principale, in quanto effettuata con atto depositato in data 5 aprile 2013 e, quindi, oltre il termine stabilito dall’art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), computato secondo quanto previsto dall’art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte (tra le molte, sentenze n. 75 del 2012, n. 190 del 2006), con conseguente impossibilità di tenere conto delle deduzioni svolte dal predetto;

che, ancora in linea preliminare, va ricordato che, per «consolidata giurisprudenza» amministrativa, «l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla verifica, da parte del giudice adito, dell’esatto adempimento, da parte dell’amministrazione soccombente, dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione» (tra le più recenti, Cons. Stato, sez. III, 31 luglio 2012, n. 4363), restando escluso che nello stesso possa essere riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto a quello fatto valere ed affermato con la sentenza da eseguire (ex plurimis, Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011 , n. 880);

che questa Corte ha ritenuto rilevante la questione di legittimità costituzionale proposta nel giudizio di ottemperanza in riferimento ad una norma che incide sul diritto riconosciuto da una sentenza che, quando essa è sollevata, è assistita dalla forza del giudicato e non è più suscettibile di riesame nel merito (sentenze n. 273 del 2012, n. 267 del 2007; cfr. anche sentenza n. 280 del 2012);

che, nella fattispecie in esame, la norma censurata è entrata in vigore il 6 luglio 2011, ventisette giorni dopo la pronuncia della sentenza oggetto del giudizio principale (sentenza 9 giugno 2011, n. 324), la quale, secondo l’espressa puntualizzazione contenuta nell’ordinanza di rimessione, è stata appellata dal Commissario ad acta e, conseguentemente, costituisce tuttora oggetto di esame da parte del giudice dell’impugnazione;

che l’appellante – come precisato dal rimettente e sottolineato dall’Avvocatura generale dello Stato – ha, inoltre, proposto anche domanda di sospensione dell’efficacia di detta sentenza, dichiarata, tuttavia, improcedibile dal Consiglio di Stato, esclusivamente in quanto «gli atti amministrativi oggetto del giudizio sono stati trasfusi (e trovano legittimazione) in una fonte di rango legislativo, donde deriva quanto meno la carenza di interesse attuale dell’appellante alla concessione della richiesta misura cautelare di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata» (Cons. Stato, sez. III; ordinanza 30 settembre 2011, n. 4291);

che, sebbene la pendenza del processo di impugnazione non incida sulla proponibilità del giudizio di ottemperanza (art. 112, comma 2, lettera b, c.p.a.), siffatta circostanza riveste, nondimeno, peculiare rilievo, in quanto la questione di legittimità costituzionale, nei termini entro i quali è stata sollevata e proposta, rinviene il suo indefettibile presupposto logico-giuridico nella definitività dell’accertamento dell’illegittimità degli atti del Commissario ad acta, che, nella specie, è ancora controversa, poiché è ancora pendente il giudizio di impugnazione;

che, essendo in corso il processo di secondo grado, riveste particolare importanza il profilo concernente la circostanza che l’ulteriore valutazione della legittimità degli atti amministrativi risulta già rimessa al giudice di appello, il che, quindi, fa emergere: in primo luogo, il problema della possibilità ed imprescindibilità di una preliminare verifica in ordine ai vizi riscontrati in primo grado, in quanto la delibazione dell’eventuale inesistenza degli stessi (in difformità rispetto all’accertamento svolto in primo grado) risulterebbe, all’evidenza, suscettibile di incidere sull’interpretazione della norma censurata e sulla stessa rilevanza della questione di legittimità costituzionale; in secondo luogo, la questione relativa alla possibilità di svolgere siffatta delibazione nel giudizio di ottemperanza, tenuto conto del contenuto e dell’oggetto del medesimo, ovvero l’imprescindibilità della riserva della stessa al giudice dell’appello;

che, come eccepito dall’interveniente, sussistono, altresì, sopravvenienze normative (indicate dal Presidente del Consiglio dei ministri, tra l’altro, negli artt. 15, comma 13, lettera c, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché nell’art. 1 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Disposizioni urgenti per promuovere lo s viluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute), convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189) per le quali anche sorge il problema della delibazione della loro eventuale incidenza sulla situazione giuridica azionata in giudizio e della riserva della stessa al giudice dell’impugnazione, oppure della possibilità che le stesse siano considerate in sede di ottemperanza, nonostante il contenuto del relativo giudizio e la mera esecutività della pronuncia oggetto del medesimo;

che lo stesso rimettente dà, peraltro, conto che il Consiglio di Stato ha deciso la domanda cautelare limitandosi a «prendere atto della normativa sopravvenuta», in quanto essa «è tale da impedire l’esecuzione della sentenza di primo grado» e si dimostra, quindi, consapevole dell’esigenza, in caso di eventuale accoglimento della questione, di «recuperare l’interesse delle amministrazioni a chiedere nuovamente al giudice di appello la sospensione cautelare», ma omette di esplicitare modi e tempi di tale «recupero», in grado di tutelare e bilanciare i diritti di tutte le parti del giudizio;

che, quindi, alla luce dell’oggetto del giudizio di ottemperanza e della peculiarità della fattispecie in esame, tenuto conto della pendenza del processo di appello e del contenuto dell’ordinanza resa sulla domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado, la mancata considerazione di tutti i profili sopra richiamati si risolve in difetto di una plausibile motivazione in ordine alla rilevanza della questione, con conseguente manifesta inammissibilità della stessa.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi avanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 4, lettera c), primo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24, 72, 73, terzo comma, 103, 113, 117, primo e terzo comma, e 120 della Costituzione ed in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’1 luglio 2013.