Il Tribunale di Palermo, nel decidere sull’aggravamento di una misura di prevenzione, non ha ritenuto prevalente l’obbligo di conformarsi alla sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso de Tommaso c. Italia (sentenza della Grande Camera del 23 febbraio 2017), evidenziando che i giudici nazionali sono tenuti ad attenersi all’interpretazione della Corte europea solo se questa risulti da ‘pronunce consolidate’. Sulla base dei principi enunciati dalla C. cost. nelle sent. n. 49/2015 e nn. 348 e n. 349 del 2007, al giudice nazionale è fatto obbligo di sollevare questione di legittimità costituzionale delle norme interne confliggenti con la CEDU solo quando non è possibile un’interpretazione conforme a quella della Corte europea. La decisione si discosta da alcune pronunce di merito che, nell’applicare o rinnovare le misure di prevenzione, avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale per sospetta violazione dell’art. 117 Cost., co. 1, Cost. in relazione all’art. 2 (libertà di circolazione) del Protocollo n. 4 alla CEDU e all’art. 1 (protezione della proprietà) del Protocollo n. 1 alla CEDU, come interpretati dalla Corte europea.
Sentenza della Corte europea dei diritti umani, Grande Camera, 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia; Decreto del Tribunale di Milano, Sez. autonoma misure di prevenzione, 7 marzo 2017, n. 13; Ordinanza della Corte d’appello di Napoli, VIII sez. pen., 15 marzo 2017; Decreto del Tribunale di Roma, sez. misure di prevenzione, 3 aprile 2017, n. 30; Ordinanza del Tribunale di Udine, sez. penale, 4 aprile 2017; Sentenza della Corte di cassazione, S.U. pen., 27 aprile 2017, n. 40076; Decreto del Tribunale di Palermo, I sez. pen. misure di prevenzione, 16-29 maggio 2017; Decreto del Tribunale di Palermo, Sez. I – misure di prevenzione, del 1 giugno 2017, n. 62; Ordinanza della Corte di cassazione, II sez. pen., 25 ottobre 2017, n. 49194