G.U. 16 April 2014 No. 17
The Constitutional Court decided on a question concerning the constitutional legitimacy of Article 2 of law No. 218/2011 (Amendments to art. 645 of code of civil procedure and authentic interpretation of art. 165 of code of civil procedure). Article 2, which concerns procedural rules for opposing injunction, has some retroactive effects. The Constitutional Court held that the question was unfounded, because there was no violation of Articles 3, 24, 102, 111 and 117 of the Constitution, latter in relation to Article 6 of the ECHR; and this because the retroactive effects of the censured norms were for the only purpose of protecting the principles of legal certainty and equality before the law. The Court remembered that also the European Court of Human Rights ruled, in the case Agrati and others v. Italy, that non-retroactivity of civil law may be derogated if there are overriding public interests.
Decision of the Constitutional Court No. 15 of 23 January 2012
Order of the Constitutional Court No. 35 of 27 February 2013
Decision of the Constitutional Court No. 170 of 1 July 2013
Ordinanza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), promosso dal Tribunale ordinario di Benevento nel procedimento vertente tra Pennino Costruzioni s.r.l. e M.S., con ordinanza del 28 giugno 2012, iscritta al n. 186 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 marzo 2014 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, promosso dalla società Pennino Costruzioni s.r.l. nei confronti di M.S., il Tribunale ordinario di Benevento, in composizione monocratica, con ordinanza del 28 giugno 2012 (r.o. n. 186 del 2013), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo);
che, come riferisce il giudice a quo, il decreto ingiuntivo era stato emesso il 14-22 giugno 2011, su ricorso di M.S., quale cessionario del credito vantato dall’ing. L.S. per prestazioni professionali rese nei confronti di Pennino Costruzioni s.r.l., ed era stato notificato alla società intimata il 13 luglio 2011;
che quest’ultima aveva proposto opposizione, notificata il 3 ottobre 2011 con invito a comparire per l’udienza del 10 febbraio 2012, e si era costituita in giudizio il 12 ottobre 2011;
che l’intimata aveva eccepito: 1) l’estinzione del credito professionale di L.S., stante l’integrale pagamento avvenuto prima della cessione all’opposto del credito stesso; 2) l’emissione del decreto ingiuntivo senza il parere del competente ordine professionale; 3) il carattere eccessivo della somma richiesta, anche perché comprensiva di attività professionali non svolte da L.S.;
che la medesima società aveva chiesto di essere autorizzata a chiamare in causa il cedente L.S. e, nel merito, la revoca del decreto ingiuntivo;
che l’opposto, costituendosi in giudizio, aveva eccepito in via preliminare la tardività della costituzione dell’opponente, perché effettuata oltre il termine di cinque giorni di cui agli artt. 165 e 645 del codice di procedura civile, con conseguente improcedibilità dell’opposizione, alla luce della sentenza della Corte di cassazione, resa a sezioni unite, il 9 settembre 2010, n. 19246;
che – prosegue il rimettente – nel merito l’opposto aveva evidenziato che la cessione del credito era stata notificata alla società debitrice in data 7 luglio 2010, per cui ogni successivo eventuale pagamento, eseguito dall’opponente in favore dell’originario creditore cedente, non era opponibile ad esso cessionario;
che l’opposto aveva rilevato, altresì, la congruità del corrispettivo richiesto, anche in relazione alle tariffe professionali vigenti all’epoca delle prestazioni, e la non obbligatorietà del parere dell’ordine professionale per l’emissione del provvedimento monitorio, concludendo per la dichiarazione d’improcedibilità dell’opposizione e, in subordine, per il rigetto di essa;
che l’opponente aveva dedotto l’infondatezza dell’eccezione di improcedibilità, stante il disposto dell’art. 2 della legge n. 218 del 2011;
che l’opposto aveva chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge ora citata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., rilevando che l’opposizione era stata proposta da Pennino Costruzioni s.r.l. dopo la sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 19246 del 2010, secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la previsione della riduzione a metà dei termini a comparire, stabilita dall’art. 645, secondo comma, cod. proc. civ., determinerebbe il dimezzamento automatico dei termini di comparizione dell’opposto e dei termini di costituzione dell’opponente;
che tale duplice automatismo conseguirebbe – ad avviso della Corte di cassazione nella pronuncia richiamata – alla mera proposizione dell’opposizione, e, quindi, non soltanto nel caso di assegnazione all’opposto di un termine a comparire inferiore a quello ordinario, con conseguente improcedibilità dell’opposizione nel caso di costituzione dell’opponente oltre i cinque giorni dalla notifica della citazione;
che, tutto ciò premesso, il Tribunale dubita della legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 218 del 2011, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU);
che, in punto di rilevanza, secondo il giudice a quo, nel caso di declaratoria di illegittimità costituzionale del censurato art. 2, in conformità al principio giuridico di cui alla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 19246 del 2010, l’opposizione a decreto ingiuntivo dovrebbe essere dichiarata improcedibile, per essersi la società opponente costituita in giudizio oltre i cinque giorni di cui all’art. 165 cod. proc. civ., letto in combinato disposto con l’art. 645, secondo comma, del medesimo codice, nel testo vigente all’epoca dell’instaurazione del giudizio principale;
che il rimettente sottolinea come fosse consolidato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la tardiva costituzione dell’opponente fosse da equiparare alla sua mancata costituzione e comportasse l’improcedibilità dell’opposizione medesima (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 20 agosto 1992, n. 9684; 3 aprile 1990, n. 2707 e 13 febbraio 1978, n. 652);
che – rileva ancora il Tribunale – qualora, invece, l’art. 2 della legge n. 218 del 2011 fosse ritenuto costituzionalmente legittimo, in quanto rispettoso dei limiti generali alla efficacia retroattiva delle leggi, l’eccezione di improcedibilità dell’opposizione dovrebbe essere considerata infondata;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo, dopo avere riportato il contenuto dell’art. 2 della legge n. 218 del 2011, osserva che detta norma, avuto riguardo al suo preciso tenore letterale, non potrebbe essere interpretata in modo diverso dal senso reso palese dal significato proprio delle parole, per cui non potrebbe essere disapplicata nella sua efficacia retroattiva, né interpretata in modo conforme ai principi costituzionali sanciti dal giudice delle leggi e dalla Corte EDU in materia di retroattività delle leggi;
che il Tribunale sottolinea come la Corte di cassazione (sezione prima civile, sentenza 17 maggio 2012, n. 7792) si sia già espressa nel senso della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della citata norma, ma il caso preso in esame atteneva ad un’opposizione a decreto ingiuntivo iscritta a ruolo in data 6 marzo 2002, cioé in epoca in cui la pregressa giurisprudenza della Corte di cassazione era costante nell’affermare che il termine di costituzione dell’opponente si riduce automaticamente a cinque giorni quando l’opponente si sia avvalso della facoltà di indicare un termine di comparizione inferiore a quello ordinario (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 30 marzo 1998, n. 3316 e sezione seconda civile, sentenza 7 aprile 1987, n. 3355);
che, pertanto, le argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione nella sentenza sopra richiamata, per ritenere conforme a Costituzione la norma censurata senza scorgere «alcuna intrusione indebita del legislatore nei procedimenti in corso», sarebbero da riferire ad un giudizio instaurato e deciso dai giudici di merito in epoca anteriore alla sentenza, a sezioni unite, della Corte di cassazione n. 19246 del 2010;
che la società Pennino, invece, aveva proposto l’opposizione nell’ottobre del 2011, cioè dopo oltre un anno dalla sopra richiamata pronuncia, secondo cui l’automatico dimezzamento dei termini di costituzione dell’opponente opererebbe, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, anche nel caso in cui quest’ultimo abbia assegnato all’opposto un termine a comparire non inferiore a quello ordinario;
che, pertanto, ad avviso del rimettente, la società ben poteva essere a conoscenza dell’interpretazione data all’art. 165 cod. proc. civ. dalla Corte di cassazione a sezioni unite, nell’esercizio della funzione nomofilattica ad essa riservata dall’ordinamento e, quindi, ben poteva costituirsi in giudizio nel termine abbreviato di cinque giorni dalla notificazione dell’atto di citazione in opposizione;
che – aggiunge il giudice a quo – l’opposto, nell’avviare lo speciale procedimento di cui agli artt. 633 e seguenti cod. proc. civ., sapeva di potere fare affidamento su di una norma che, secondo l’interpretazione datane dalle sezioni unite della Corte di cassazione, successivamente non contrastata da alcun difforme giudicato, garantiva una più sollecita trattazione del procedimento di opposizione mediante la previsione del dimezzamento automatico del termine di costituzione in giudizio dell’opponente, per il solo fatto che si trattasse di un’opposizione a decreto ingiuntivo e, quindi, a prescindere dalla volontà dell’opponente medesimo di assegnare un termine di comparizione inferiore a quello previsto per il processo di cognizione ordinario;
che l’intervento del legislatore, realizzato con la censurata norma transitoria interpretativa, avrebbe comportato un mutamento delle “regole del gioco” a procedimento già in corso, senza che vi fosse una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo né un dibattito giurisprudenziale irrisolto;
che, secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe, altresì, i limiti costituzionali dell’efficacia retroattiva delle leggi;
che il Tribunale osserva, al riguardo, come, sebbene il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale) non riceva nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., l’introduzione da parte del legislatore di norme retroattive debba trovare adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare beni costituzionalmente rilevanti, che assurgano a «motivi imperativi di interesse generale», e non debba violare i limiti generali dell’efficacia retroattiva delle leggi, come individuati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 78 del 2012) e dalla Corte Edu;
che, ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe, in primo luogo, il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (art. 3 Cost.);
che, mentre le cause di opposizione a decreto ingiuntivo, caratterizzate da analoga questione di improcedibilità per la costituzione dell’opponente oltre il termine di cinque giorni dalla notifica dell’atto di citazione, che siano state decise medio tempore tra l’arresto giurisprudenziale di cui alla sentenza n. 19246 del 2010 delle sezioni unite della Corte di cassazione e l’intervento legislativo di cui alla legge n. 218 del 2011, hanno trovato una definizione in rito con dichiarazione di improcedibilità dell’opposizione, anche con sentenze passate in giudicato, altre cause contemporanee, non definite alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011, per un mero e casuale dato temporale, non potrebbero essere decise, in base ad una norma precedentemente vigente, come interpretata dalle sezioni unite della Corte di cassazione, in senso favorevole ai creditori opposti;
che, pertanto, secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., per ingiustificata disparità di trattamento di situazioni simili, per inosservanza dei limiti di coerenza e di certezza dell’ordinamento giuridico, nonché per violazione dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo Stato di diritto;
che, per gli stessi motivi, risulterebbero violati anche il principio della tutela dei diritti davanti all’autorità giurisdizionale (art. 24 Cost.) e quello del giusto processo (art. 111 Cost.);
che, ad avviso del giudice a quo, il citato art. 2 contrasterebbe anche con l’art. 117, primo comma, Cost., per violazione dell’art. 6 della Convenzione Edu, come interpretato in modo consolidato dalla Corte di Strasburgo;
che il rimettente ricorda come, secondo la Corte di Strasburgo, il legislatore possa intervenire retroattivamente modificando le norme vigenti in materia civile, purché non vengano ad essere violati i principi della preminenza del diritto e dell’equo processo sanciti dall’art. 6 della CEDU, così ingerendosi nell’amministrazione della giustizia, con incidenza su cause in corso, salvo che per imperative ragioni di interesse generale (ex plurimis, CEDU, sezione seconda, sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia);
che, ad avviso del giudice a quo, nel caso di specie, non sarebbero ravvisabili i «motivi imperativi di interesse generale», idonei a giustificare il censurato intervento del legislatore su tutti i processi di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011, compresi quelli instaurati in epoca successiva alla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 19246 del 2010;
che, in tal modo, secondo il rimettente, sarebbe violato anche l’art. 102 Cost., stante l’invasione della sfera giurisdizionale riservata alla magistratura ordinaria;
che, con atto depositato in data 24 settembre 2013, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità e, nel merito, di non fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale;
che, ad avviso della difesa dello Stato, infatti, la legge n. 218 del 2011, nel ridefinire i termini per le opposizioni a decreto ingiuntivo, avrebbe posto fine ad una situazione di incertezza del dato normativo, determinatasi a seguito della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione, n. 19246 del 2010;
che la difesa statale ricorda come le sezioni unite della Corte di cassazione, con la richiamata sentenza, modificando il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, abbiano ritenuto il dimezzamento automatico del termine di costituzione per l’opponente quale conseguenza del solo fatto della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo, stante la previsione della dimidiazione dei termini di comparizione, ai sensi dell’art. 645 cod. proc. civ.;
che il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea come a tale mutamento giurisprudenziale abbia fatto seguito una giurisprudenza di merito (Trib. Torino, sezione prima, ordinanza 11 ottobre 2010; Trib. Milano, ordinanza 13 ottobre 2010; Trib. Varese, sentenza 8 ottobre 2010, n. 1274) volta ad evitare la declaratoria di improcedibilità delle opposizioni a decreto ingiuntivo già in corso alla data della sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite, n. 19246 del 2010, nonché una dottrina alquanto critica;
che, peraltro, – prosegue la difesa statale – la Corte di cassazione ha nuovamente rimesso la questione alle sezioni unite, ritenendo che la riduzione automatica a cinque giorni del termine di costituzione in giudizio, a prescindere da ogni consapevole scelta dell’opponente, di cui alla sentenza n. 19246 del 2010, non sarebbe compatibile con i principi del giusto processo che deve svolgersi «in condizioni di parità tra le parti» ed essere «regolato dalla legge» (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 22 marzo 2011, n. 6514);
che l’interveniente pone in evidenza come, con la norma censurata, il legislatore sia intervenuto per fare chiarezza in un quadro di incertezze del dato normativo che rischiava di travolgere i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo in corso;
che, in particolare, con la legge n. 218 del 2011 il legislatore avrebbe, da un lato, inciso sulla disciplina generale dei termini di costituzione in giudizio, espungendo dall’art. 645 cod. proc. civ. il riferimento alla dimidiazione dei termini a comparire (art. 1) e, dall’altro, interpretato autenticamente l’art. 165 cod. proc. civ., con specifico riferimento ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della norma, nel senso della correlazione del dimezzamento del termine di costituzione dell’opponente alla scelta di quest’ultimo di assegnare un termine a comparire inferiore a quello ordinario (art. 2), con ciò confermando il previo consolidato orientamento di legittimità in materia (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 1° settembre 2006, n. 18942; 27 novembre 1998, n. 12044; 30 marzo 1998, n. 3316; 3 marzo 1995, n. 2460 e sezione seconda civile, sentenza 7 aprile 1987, n. 3355);
che la difesa erariale ritiene, dunque, priva di fondamento la censura mossa dal giudice a quo in riferimento all’art. 3 Cost.;
che essa richiama, al riguardo, la giurisprudenza costituzionale secondo cui le leggi retroattive, non solo interpretative, ma anche innovative, non possono dirsi costituzionalmente illegittime, per violazione dell’art. 3 Cost., qualora si limitino ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in esso contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario, e non contrastino con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis, sentenze n. 15 del 2012, n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009);
che, pertanto, ad avviso della difesa dello Stato, con l’opzione ermeneutica di cui all’art. 2 della legge n. 218 del 2011, il legislatore non avrebbe introdotto nella disposizione interpretata elementi ad essa estranei, limitandosi ad assegnarle un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario e confermando, legislativamente, un orientamento giurisprudenziale consolidato che correlava la riduzione del termine di costituzione dell’opponente alla scelta di quest’ultimo di fissare all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello ordinario;
che – sottolinea il Presidente del Consiglio dei ministri – la stessa Corte di cassazione, con la sentenza del 17 maggio 2012, n. 7792, ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge n. 218 del 2011, sulla base della considerazione che la disposizione censurata, rappresentando una delle possibili letture del dato normativo, trova adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza;
che la difesa dello Stato esclude, peraltro, anche la sussistenza dell’assunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU;
che, infatti – conformemente all’orientamento giurisprudenziale della Corte europea, che ammette un’incidenza del potere legislativo sull’amministrazione della giustizia attraverso la produzione di norme retroattive solo se giustificata da «motivi imperativi di interesse generale» – la norma censurata, nel confermare l’orientamento costante della giurisprudenza di legittimità fino alla citata pronuncia innovativa delle sezioni unite della Corte di cassazione, avrebbe superato una situazione di oggettiva incertezza, contribuendo a realizzare i principi di interesse generale della certezza del diritto e dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge;
che la difesa erariale esclude anche l’assunta violazione degli artt. 24 e 111 Cost., rilevando come l’incidenza di una norma interpretativa sui giudizi in corso sia da considerare un fenomeno fisiologico (ex plurimis, sentenza n. 376 del 2004 e ordinanza n. 428 del 2006);
che, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe, altresì, infondata la censura relativa alla violazione dell’art. 102 Cost., in quanto, come affermato dalla Corte costituzionale, non sarebbe configurabile a favore del giudice una esclusività nell’esercizio dell’attività ermeneutica che possa precludere quella spettante al legislatore (sentenza n. 15 del 2012).
Considerato che il Tribunale ordinario di Benevento, in composizione monocratica, con ordinanza del 28 giugno 2012 (r.o. n. 186 del 2013), dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo);
che la norma censurata dispone che «Nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l’articolo 165, primo comma, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell’attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l’opponente abbia assegnato all’opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all’articolo 163-bis, primo comma, del medesimo codice»;
che il divieto di retroattività della legge, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006);
che il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare, dunque, disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della Corte Edu (ex multis, sentenza n. 15 del 2012);
che la norma che deriva dalla legge di interpretazione autentica, pertanto, non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis, sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009);
che, con riguardo ai principi qui richiamati, nel caso in esame non sussistono le violazioni dell’art. 3 Cost. ipotizzate dal rimettente, sotto il profilo della irragionevolezza, della disparità di trattamento di situazioni omogenee, della lesione del principio di legittimo affidamento nonché dell’eccesso dei cosiddetti limiti di coerenza e certezza dell’ordinamento giuridico;
che, infatti, l’opzione ermeneutica prescelta dal legislatore non ha introdotto nella disposizione interpretata elementi ad essa estranei, ma le ha assegnato un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex multis, sentenze n. 15 del 2012 e n. 257 del 2011), cioè ha reso vincolante un dettato comunque ascrivibile al tenore letterale della disposizione interpretata;
che ciò è reso palese dal rilievo che quella opzione interpretativa – che correla, per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011, la dimidiazione del termine di costituzione dell’opponente all’esercizio da parte di quest’ultimo della facoltà di assegnare all’opposto un termine a comparire inferiore a quello previsto dall’art. 163-bis, primo comma, cod. proc. civ. – aveva trovato spazio nella consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 218 del 2011;
che è significativo come, poi, la Corte di cassazione, dopo avere definito l’art. 2 della legge n. 218 del 2011 norma di «interpretazione autentica», ne abbia fatto applicazione, così superando il precedente orientamento di cui alla sentenza delle sezioni unite n. 19246 del 2010 (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 16 febbraio 2012, n. 2242);
che proprio il contrasto emerso in giurisprudenza sull’interpretazione dell’art. 165, primo comma, cod. proc. civ. (in combinato disposto con l’art. 645, secondo comma, cod. proc. civ.), in quanto fonte di dubbi ermeneutici con conseguente incremento del contenzioso, giustifica ulteriormente l’intervento legislativo finalizzato a garantire la certezza applicativa del sistema, con ciò escludendone ogni carattere d’irragionevolezza;
che non è ravvisabile, altresì, la violazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo del diritto alla tutela giurisdizionale, in quanto la norma censurata assicura: 1) con riguardo ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011 ed incardinati prima della sentenza delle sezioni unite civili della Corte di cassazione n. 19246 del 2010, la tutela dell’affidamento incolpevole dell’opponente in relazione ad atti compiuti sulla base di un consolidato previo orientamento giurisprudenziale e prima della oggettiva conoscibilità del cosiddetto overruling, comportante un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte; 2) con riguardo ai giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 218 del 2011 ed incardinati dopo la sentenza ora citata, il non aggravamento della posizione di una sola delle parti del giudizio nell’esercizio del diritto di difesa, ferma restando la possibilità da parte dell’opposto di chiedere l’anticipazione dell’udienza di comparizione ai sensi dell’art. 163-bis, terzo comma, cod. proc. civ., a tutela dell’interesse di quest’ultimo alla trattazione sollecita del giudizio;
che, del pari, non sussiste la violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo del principio del “giusto processo”, perché – fermo il punto che l’incidenza di una norma interpretativa su giudizi in corso è fenomeno fisiologico, (sentenza n. 376 del 2004 e ordinanza n. 428 del 2006) – la norma censurata non interferisce sull’esercizio della funzione giudiziaria e sulla parità delle parti nello specifico processo, bensì pone una disciplina generale sull’interpretazione di un’altra norma e, dunque, si colloca su un piano diverso da quello dell’applicazione giudiziale delle norme a singole fattispecie (ex plurimis, sentenza n. 15 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto e ordinanza n. 428 del 2006);
che è da escludere, altresì, la violazione dell’art. 102 Cost., sotto il profilo di un’assunta invasione della sfera giurisdizionale riservata alla magistratura ordinaria, in quanto, sulla base delle argomentazioni esposte sopra, l’intervento legislativo deve ritenersi legittimo, mentre non è configurabile a favore del giudice «una esclusività nell’esercizio dell’attività ermeneutica che possa precludere quella spettante al legislatore, in quanto l’attribuzione per legge ad una norma di un determinato significato non lede la potestas iudicandi, ma definisce e delimita la fattispecie normativa che è oggetto della potestas medesima» (ex plurimis, sentenze n. 15 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto e n. 234 del 2007, punto 17 del Considerato in diritto);
che, per le ragioni fin qui esposte, non sussiste neanche la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 CEDU, nel significato e nella portata chiariti dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo;
che la regola di diritto, affermata dalla Corte europea con sentenza in data 7 giugno 2011, in causa Agrati ed altri contro Italia, è che «Se, in linea di principio, il legislatore può regolamentare in materia civile, mediante nuove disposizioni retroattive, i diritti derivanti da leggi già vigenti, il principio di prevalenza del diritto e la nozione di equo processo sancito dall’articolo 6 ostano, salvo che per ragioni imperative d’interesse generale, all’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la risoluzione di una controversia. L’esigenza della parità delle armi comporta l’obbligo di offrire ad ogni parte una ragionevole possibilità di presentare il suo caso, in condizioni che non comportino un sostanziale svantaggio rispetto alla controparte» (sentenza n. 15 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto);
che, anche secondo la detta regola, dunque, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), se giustificato da «motivi imperativi di interesse generale» che spetta innanzitutto al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, nell’ambito del margine di apprezzamento riconosciuto dalla Convenzione europea ai singoli ordinamenti statali;
che, «diversamente, se ogni intervento del genere fosse considerato come indebita ingerenza allo scopo d’influenzare la risoluzione di una controversia, la regola stessa sarebbe destinata a rimanere una mera enunciazione, priva di significato concreto» (sentenze n. 15 del 2012, punto 3.3. del Considerato in diritto e n. 257 del 2011, punto 5.1. del Considerato in diritto);
che, nella fattispecie, la norma censurata si è limitata ad enucleare una delle possibili opzioni ermeneutiche dell’originario testo normativo, peraltro già fatta propria da un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità;
che la soluzione prescelta dal legislatore ha superato una situazione di oggettiva incertezza, contribuendo così a realizzare principi d’indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale, quali sono la certezza del diritto e l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge;
che, pertanto, le questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Benevento sono manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale) e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 102, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Benevento, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2014.