G.U. 23 October 2013, No. 43
With this order the Constitutional Court declared the admissibility of the claim of the President of the Council concerning the conflict of competences between the executive and the judiciary, which results from judgment No. 985/2013 of the Court of Appeal in the proceeding concerning the criminal responsibility of Nicolò Pollari, Marco Mancini and other SISMI agents, who participated in the abduction of the imam of Milan Abu Omar within an extraordinary rendition operation carried out by CIA agents. The President of the Council has complained that: a) the Supreme Court of Cassation, in deferring the case to the Court of Appeal for decision on the merits, gave an erroneous interpretation of the legislation on state secrecy as regards the respective competences of the executive and the judiciary; b) that, in turn, the Court of Appeal has violated the principle of cooperation between the institutions, by founding its decision on documents covered with state secrecy and, further, by not suspending the proceeding until the conflict will be solved by the Constitutional Court.
Decision of the Court of Cassation, V Criminal Section, No. 46340 of 19 September 2012; Decision of the Court of Appeal of Milan, III Criminal Section, of 1 February 2013; Decision of the Court of Appeal of Milan, IV Criminal Section, of 12 February 2013
Ordinanza
nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della sentenza della Corte d’appello di Milano, sezione quarta penale, del 12 febbraio 2013, n. 985, promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria il 3 luglio 2013 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2013, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2013 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 3 luglio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Corte d’appello di Milano, in persona del Presidente pro tempore, in riferimento alla sentenza n. 985 del 12 febbraio 2013, con la quale la medesima Corte d’appello (nel processo penale a carico di Pollari Nicolò, Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori Luciano, per sequestro di persona in danno di Nasr Osama Mustafà, alias Abu Omar), pur resa edotta dell’intervenuto deposito in data 11 febbraio 2013 di altro conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, ha affermato la responsabilità di detti imputati, non ravvisando la sussistenza di una causa di sospensione del processo in corso;
che in un precedente conflitto di attribuzioni (dichiarato ammissibile dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 69 del 2013), il ricorrente – in relazione allo svolgimento ed alle decisioni fino ad allora adottate nello stesso processo – aveva richiesto dichiararsi che: a) non spettava alla Corte di cassazione annullare i proscioglimenti degli imputati Pollari, Ciorra, Di Troia, Di Gregori e Mancini nonché le ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la Corte di appello di Milano aveva ritenuto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda del sequestro Abu Omar concernesse solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonché gli interna corporis che hanno portato ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico cui si riferisce l’imputazione, e che sarebbe tutt’ora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall’autorità giudiziaria nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale era stato successivamente apposto il segreto di Stato; b) non spettava alla Corte di appello di Milano né ammettere la produzione, da parte della Procura generale, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori – atti dei quali era stata disposta la restituzione al Procuratore generale da parte della stessa Corte di appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 – né omettere l’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso della udienza del 4 febbraio 2013, invitando invece il Procuratore generale a concludere, consentendogli in tal modo di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato;
che, conseguentemente, il ricorrente aveva domandato l’annullamento, in parte qua, previa sospensione della relativa efficacia, della sentenza della Corte di cassazione n. 46340/12, nonché, previa sospensione della relativa efficacia, delle ordinanze pronunciate dalla Corte di appello di Milano in data 28 gennaio 2013 e 4 febbraio 2013, in riferimento ai profili e per le parti innanzi indicate;
che nell’odierno ricorso – rievocate le articolate vicende che hanno contrassegnato l’iter del procedimento penale in esame – il ricorrente osserva che anche la recente sentenza della Corte d’appello di Milano risulterebbe «gravemente lesiva delle attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri, quale autorità preposta all’opposizione, alla tutela ed alla conferma del segreto di Stato, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lettere b) e c) della legge n. 124/2007», per cui risulterebbero violati gli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione, in riferimento agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 (sostitutivo dell’art. 202 del codice di procedura penale) e 41 della richiamata legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto);
che, in punto di ammissibilità, il ricorrente (richiamata la giurisprudenza della Corte in tema di legittimazione attiva e passiva) rivendica, quanto alla sussistenza del requisito oggettivo del conflitto, le prerogative del Presidente del Consiglio dei ministri in tema di sicurezza dello Stato – nella specie concretizzatesi nella apposizione del segreto di Stato e nella conferma di esso con riferimento ai rapporti tra i Servizi italiani e la “Central intelligence agency” (CIA) nonché agli interna corporis del Servizio, anche in ordine al fatto storico del sequestro Abu Omar – che sarebbero state lese dai provvedimenti giurisdizionali impugnati;
che, nel merito, il ricorrente osserva come, a far tempo dalla sentenza n. 86 del 1977, la Corte costituzionale, nell’evidenziare il livello supremo dei valori tutelabili col presidio del segreto di Stato, abbia individuato nel Presidente del Consiglio dei ministri il titolare del potere, di natura squisitamente politica, di segretazione ed abbia precisato che la strumentalità di tale potere alla salvaguardia dei valori supremi per la salus rei publicae giustifica, poi, la non segretabilità dei fatti eversivi dell’ordinamento costituzionale; e come di ciò sia espressione la legge n. 124 del 2007 che, all’art. 1, attribuisce appunto al Presidente del Consiglio dei ministri la responsabilità generale della politica della informazione per la sicurezza ed il compito di apporre e tutelare il segreto di Stato e di confermarne la opposizione (il ricorrente puntualizza, poi, il contenuto degli artt. 39, 40 e 41 della stessa legge, segnalandone i profili di rilevanza agli effetti dell’oggetto del ricorso);
che, secondo il Presidente del Consiglio, la sentenza impugnata con il presente ricorso è affetta da illegittimità derivata, in primo luogo, in quanto ha applicato alla fattispecie concreta i criteri seguiti dalla Corte di cassazione nella sentenza del 19 febbraio 2012;
che il ricorrente ribadisce che, alla luce del richiamato quadro normativo, la Corte di cassazione, mentre afferma correttamente – secondo quanto puntualizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106 del 2009 – che il segreto di Stato è stato apposto su documenti e notizie riguardanti i rapporti tra Servizi italiani e stranieri e sugli interna corporis, anche se relativi alla vicenda delle renditions e del sequestro di Abu Omar, erra nel ritenere che il segreto sia limitato ai rapporti tra Servizi che si siano estrinsecati nella realizzazione di operazioni comuni, dal momento che una simile conclusione non può fondarsi sulla circostanza – risultante da una nota dell’11 novembre 2005 – della assoluta estraneità del Governo italiano e del Servizio al sequestro di Abu Omar;
che sarebbe dunque arbitrario circoscrivere il segreto alle sole operazioni cogestite dai servizi e legittimamente approvate dai vertici dei Servizi italiani, con conseguente lesione della sfera delle attribuzioni spettanti in materia al Presidente del Consiglio dei ministri, in particolare per ciò che attiene alla determinazione in concreto dell’ambito di operatività del segreto di Stato;
che il ricorrente ribadisce, altresì, che risulterebbe a sua volta lesivo di tali prerogative, ancorché sotto altro profilo, anche l’annullamento delle statuizioni con cui la Corte d’appello di Milano aveva dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale esercitata nei confronti degli imputati italiani che avevano opposto il segreto di Stato, nonché delle ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010, con le quali la medesima Corte d’appello aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese, quali indagati, da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori, malgrado il segreto di Stato da loro opposto fosse stato confermato; annullamento cui ha fatto seguito, da parte del giudice del rinvio, la pronuncia della ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale è stata ammessa la produzione di tali dichiarazioni;
che detti provvedimenti avrebbero determinato la arbitraria esclusione della operatività del segreto in ordine ai rapporti tra Servizio italiano e CIA e in merito alle direttive impartite dal direttore del SISMI circa il fatto storico del sequestro Abu Omar, dal momento che era precluso per l’autorità giudiziaria utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte dal segreto;
che non sarebbe corretta l’affermazione contenuta nella richiamata ordinanza del 28 gennaio 2013, secondo la quale la restituzione dei verbali degli interrogatori resi nel corso delle indagini sarebbe stata disposta per la ritenuta irrilevanza ai fini del decidere, giacché ciò riguarderebbe le sole circostanze che nel caso specifico non fossero coperte da segreto di Stato, nei termini innanzi detti e ricostruiti dalla ricordata sentenza n. 106 del 2009, e la cui vigenza – ribadita dal Presidente del Consiglio dei ministri in sede di interpello formulato dal Giudice della udienza preliminare – è stata da ultimo riaffermata dalla nota A.I.S.E. prodotta dalla difesa di Mancini nel corso della udienza del 28 gennaio 2013;
che la sentenza impugnata sarebbe inoltre censurabile nella parte in cui riafferma (in conformità a quanto statuito dalla Corte di cassazione) la tardività della apposizione del segreto di Stato agli atti ed ai documenti acquisiti in riferimento al sequestro Abu Omar, essendo una simile affermazione in contrasto con la sentenza n. 106 del 2009;
che la Corte di cassazione, infatti, avrebbe stravolto il significato della pronuncia della Corte costituzionale, nel senso che, avendo i soggetti tenuti alla opposizione del segreto formulato tale opposizione solo successivamente alla acquisizione dei documenti da parte della autorità giudiziaria, gli atti, essendo stati legittimamente acquisiti, non sarebbero inutilizzabili, ma comporterebbero l’uso di cautele atte ad impedire la divulgazione del segreto;
che la Corte costituzionale, infatti, pur negandone un effetto di retroattiva demolizione della attività di indagine, aveva puntualizzato come l’apposizione del segreto successiva alla acquisizione non fosse una evenienza processualmente indifferente, tanto da dichiarare che non spettava alla autorità procedente porre i documenti non “omissati” a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio e del decreto che dispone il giudizio;
che lo stesso orientamento sarebbe desumibile da altro passo della sentenza costituzionale n. 106 del 2009, ove si è puntualizzato come anche la legittima acquisizione di elementi di prova – nella specie riferita alle intercettazioni telefoniche disposte “a tappeto” su utenze intestate al SISMI – non escludesse la necessità di non utilizzare quegli elementi che dovessero risultare coperti dal segreto, posto che questo funge da sbarramento al potere giurisdizionale, nel senso di «inibire all’Autorità giudiziaria di acquisire e conseguentemente utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto» (da qui lo iato tra la sentenza della Cassazione ed i principi affermati dalla Corte costituzionale, con conseguente lesione delle prerogative del ricorrente, «mantenendo all’interno del circuito divulgativo del processo documenti in relazione ai quali era stato opposto e confermato il segreto di Stato»);
che sarebbe altresì censurabile la decisione impugnata là dove ha limitato l’inutilizzabilità delle testimonianze, delle dichiarazioni e degli altri elementi di prova sugli interna corporis, facendo salva la utilizzabilità di quegli elementi in relazione alle condotte poste in essere a titolo individuale dagli agenti del servizio, al di fuori di operazioni riconducibili al SISMI, giacché ciò risponderebbe alla già confutata tesi secondo la quale il segreto avrebbe coperto soltanto le operazioni approvate dal servizio;
che la sentenza sarebbe viziata, ancora, per effetto della illegittimità dell’ordinanza del 28 gennaio 2013, con la quale la Corte milanese aveva accolto, proprio in ossequio alla sentenza della Corte di cassazione, la produzione dei verbali di interrogatorio degli indagati già menzionati, trattandosi di fonti di prova certamente coperte da segreto di Stato;
che analoga lesione viene lamentata anche in relazione alla ordinanza del 4 febbraio 2013, con la quale la Corte milanese ha omesso di chiedere la conferma del segreto di Stato, opposto dagli imputati, senza conseguentemente sospendere ogni iniziativa volta ad acquisire la notizia oggetto di segreto, consentendo così al Procuratore generale di svolgere la propria requisitoria, ripresa dagli organi di informazione, utilizzando ampiamente le fonti di prova coperte dal segreto di Stato;
che, infine, il ricorrente lamenta la violazione del principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato (al quale non sfugge neppure l’ordine giudiziario: sentenze n. 87 del 2012, n. 149 del 2007, n. 110 del 1998 e n. 403 del 1994), in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Milano, per avere omesso di sospendere il procedimento penale in corso di celebrazione, in attesa della decisione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, del cui deposito presso la cancelleria della Corte costituzionale la Corte d’appello era stata informata dall’Avvocatura dello Stato il giorno prima della emissione della sentenza impugnata;
che viene, altresì, formulata istanza di sospensione della impugnata sentenza della Corte d’appello di Milano, al fine di non aggravare la lesione delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri;
che, conclusivamente, il ricorrente chiede dichiararsi che: a) «non spetta alla Corte di appello di Milano affermare la penale responsabilità degli imputati del fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in relazione alla vicenda del sequestro di Abu Omar, concernerebbe solo i rapporti tra Servizio italiano e CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione, e che sarebbe tutt’ora utilizzabile la documentazione legittimamente acquisita dall’autorità giudiziaria, nel corso del procedimento avente ad oggetto il sequestro in questione, sulla quale era stato successivamente opposto il segreto di Stato, nonché tutti gli elementi di prova ritenuti coperti dal segreto di Stato dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 106 del 2009»; b) «non spetta alla Corte d’appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede sulla base dell’utilizzazione dei verbali relativi agli interrogatori resi dagli allora indagati nel corso delle indagini preliminari Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori – di cui era stata disposta la restituzione al P.G. da parte della stessa Corte di Appello con ordinanze del 22 e 26 ottobre 2010 – senza che si sia dato corso all’interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati Pollari, Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori nel corso dell’udienza del 4 febbraio 2013, essendosi invitato il Procuratore generale a concludere, in modo tale da consentirgli di svolgere la sua requisitoria utilizzando fonti di prova coperte dal segreto di Stato»; c) «non spetta alla Corte d’appello di Milano emettere la sentenza impugnata in questa sede, senza aver sospeso il processo penale in questione fino alla definizione del giudizio sul conflitto di attribuzione»; e chiede altresì che si «annulli – previa sospensione dell’efficacia della sentenza n. 985 del 2013 della Corte d’appello di Milano e conseguente sospensione del processo penale attualmente pendente dinanzi alla Corte di cassazione – la predetta sentenza della Corte ambrosiana».
Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo, fermo restando il potere, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, compreso quello relativo alla ammissibilità;
che il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a promuovere il presente conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base a quanto previsto dapprima dalla legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e, poi, dalla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni (in tal senso, da ultimo, ordinanze n. 69 del 2013, n. 376 del 2010 e n. 425 del 2008);
che la legittimazione a resistere nel conflitto della Corte d’appello di Milano, quale giudice del rinvio disposto dalla Corte di cassazione nel procedimento di cui innanzi si è detto, deve essere affermata avuto riguardo alla costante giurisprudenza di questa Corte che riconosce ai singoli organi giurisdizionali la legittimazione ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto in posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle relative funzioni, la volontà del potere cui appartengono (da ultimo, ordinanza n. 69 del 2013);
che, quanto al profilo oggettivo del conflitto, è lamentata dal ricorrente la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo (in tal senso, e con riferimento alla stessa vicenda qui all’esame, ordinanze n. 69 del 2013 e n. 230 del 2008).
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Corte d’appello di Milano con l’atto indicato in epigrafe;
visto il decreto, in data odierna, del Presidente della Corte costituzionale, con il quale sono ridotti i termini del procedimento;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Corte d’appello di Milano, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, presso la cancelleria della Corte entro il termine di quindici giorni dalla notificazione, a norma dell’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.