Order of the Constitutional Court No. 229 of 5 October 2016

In:

G.U. 26 October 2016, No.  43

In its judgment of 2014 on the case Grande Stevens v. Italy, the ECHR Court ruled that the fact of targeting with administrative and criminal sanctions a same individual for the same facts violates the ‘ne bis in idem’ principle. For this reason, the Court of Torino submitted to the Constitutional Court a question concerning the legitimacy of provisions on sanctions for tax offenses as laid down in Article 10 bis of legislative decree No. 74/2000. The Constitutional Court ordered that the Court of Torino re-examine the question in light of modification introduced with legislative decree No, 158 of 2015, which set out a new discipline of offenses related to income tax and VAT tax.

  • See also:

    Judgment of the European Court of Human Rights, II Section, 4 March 2014, Grande Stevens and others v. Italy

  • Original language: Italiano

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso dal Tribunale di Treviso nel procedimento penale a carico di B. M., con ordinanza del 31 marzo 2015, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di costituzione di B. M. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 ottobre 2016 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che, con ordinanza del 31 marzo 2015, il Tribunale ordinario di Treviso, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205):

a) per contrasto con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98;

b) per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare superiore ad euro 50.000 per ciascun periodo d’imposta, anziché ad euro 103.291,38;

che il giudice a quo premette di essere chiamato a giudicare, a seguito della riunione di tre procedimenti di opposizione a decreto penale di condanna, una persona imputata del reato previsto dalla norma censurata per aver omesso di versare, quale legale rappresentante di una società per azioni, ritenute alla fonte risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti relative a tre diversi anni d’imposta: il 2007, per un importo di euro 76.687; il 2008, per un importo di euro 512.541; il 2009, per un importo di euro 313.176;

che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata si porrebbe in contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al principio del ne bis in idem sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, in forza del quale «Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato»;

che, secondo un consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, ai fini dell’applicazione della citata disposizione si deve tenere conto non della mera qualificazione formale attribuita alla misura dalla legislazione nazionale, ma della natura effettiva della sanzione cui il soggetto si trova esposto, desunta dalla sua gravità e afflittività;

che, nella specie, in base a quanto dedotto e documentato dalla difesa, gli omessi versamenti di ritenute contestati all’imputato sono stati sanzionati ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), che prevede l’applicazione di una sanzione amministrativa pari al trenta per cento dell’importo non versato;

che le sanzioni irrogate sono già state interamente pagate per l’anno 2007, mentre per gli anni 2008 e 2009 sono in corso di pagamento secondo i piani di ammortamento stabiliti dall’amministrazione finanziaria: sicché i provvedimenti sanzionatori amministrativi dovrebbero ritenersi ormai definitivi;

che le sanzioni in questione, per la loro gravità e afflittività, avrebbero senza dubbio natura sostanzialmente penale: con la conseguenza che, ove l’imputato abbia già pagato la sanzione, la sua sottoposizione a procedimento penale per il medesimo fatto si tradurrebbe in un bis in idem lesivo della garanzia convenzionale;

che, in senso contrario, non varrebbe evocare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale tra l’illecito sanzionato in via amministrativa dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 e quello penalmente represso dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 non sussisterebbe un rapporto di specialità, ma di «progressione», posto che il primo resta integrato dall’omesso versamento delle ritenute alle singole scadenze mensili, mentre il secondo postula un omesso versamento di entità superiore a 50.000 euro per periodo d’imposta che si protragga sino al termine finale per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta;

che detto indirizzo giurisprudenziale apparirebbe, infatti, superato dal costante orientamento della Corte di Strasburgo, secondo il quale, ai fini dell’applicazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, occorre verificare se i fatti siano i medesimi sotto il profilo storico-naturalistico, e non dal punto di vista del loro inquadramento giuridico;

che, nell’ipotesi in esame, la sostanziale identità dei fatti risulterebbe incontestabile, giacché la condotta integrativa tanto dell’illecito amministrativo che dell’illecito penale consiste nell’omesso versamento delle ritenute certificate, senza che possa assumere rilievo la diversità dei termini di adempimento previsti dalle due normative;

che la questione sarebbe, altresì, rilevante nel giudizio a quo, essendo provato che, per tutte le annualità d’imposta di cui si discute, il procedimento per l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 è stato definito: con la conseguenza che, in caso di accoglimento della questione, l’imputato dovrebbe essere prosciolto da tutti i reati contestatigli;

che la norma censurata si porrebbe, altresì, in contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento di ritenute per importi non superiori ad euro 103.291,38 per periodo d’imposta: ciò, in ragione della ingiustificata disparità di trattamento della fattispecie considerata rispetto a quella dell’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, quale risultante a seguito della sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale;

che entrambe le norme avrebbero, infatti, riguardo a situazioni nelle quali il detentore di somme di spettanza del fisco ne omette il versamento alle scadenze previste dalla legge, pur dopo essersene dichiarato debitore nelle dichiarazioni annuali e, quindi, in assenza di comportamenti fraudolenti nei confronti dell’amministrazione finanziaria;

che l’equivalenza delle due condotte sarebbe confermata dal fatto che l’art. 10-ter richiama il precedente art. 10-bis al fine di individuare tanto la soglia di punibilità che la pena: il che renderebbe irrazionale la permanenza di soglie di punibilità diverse in relazione ai soli fatti commessi sino al 17 settembre 2011;

che anche con riguardo all’omesso versamento di ritenute sarebbe, d’altro canto, ravvisabile l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai delitti di cui agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, riscontrata dalla sentenza n. 80 del 2014 in relazione all’omesso versamento dell’IVA: la dichiarazione infedele e l’omessa dichiarazione costituirebbero, infatti, illeciti incontestabilmente più gravi, sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco, rispetto all’omesso versamento di somme di cui il contribuente si è comunque riconosciuto debitore;

che anche tale questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, giacché, in caso di suo accoglimento l’imputato andrebbe esente da responsabilità penale per l’omesso versamento delle ritenute relative all’anno d’imposta 2007, il cui importo è inferiore a 103.291,38 euro;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, in subordine, infondate;

che si è costituito, altresì, B.M., imputato nel giudizio a quo, il quale ha svolto deduzioni adesive alle tesi del rimettente, chiedendo l’accoglimento delle questioni.

Considerato che il Tribunale ordinario di Treviso dubita della legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), ventilandone il contrasto:

a) con l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98;

b) con l’art. 3 Cost., nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare non superiore ad euro 103.291,38;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), che ha apportato un ampio complesso di modifiche al sistema sanzionatorio tributario, tanto penale che amministrativo;

che, nel quadro degli interventi di revisione del sistema sanzionatorio penale, l’art. 7 del citato decreto legislativo ha modificato anche la norma censurata, stabilendo, per un verso, che le ritenute, il cui omesso versamento assume rilievo penale, possano risultare, oltre che dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, anche dalla dichiarazione di sostituto d’imposta (donde il nuovo nomen iuris del reato, risultante dalla rubrica, di «Omesso versamento di ritenute dovute o certificate») e innalzando, al tempo stesso – per quanto qui più interessa – la soglia di punibilità dell’illecito dai precedenti 50.000 euro a 150.000 euro per ciascun periodo d’imposta: dunque, ad un importo più elevato di quello che il giudice a quo ha chiesto a questa Corte di introdurre, con riguardo ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011;

che la novella legislativa del 2015 ha, inoltre, sostituito l’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, introducendo una speciale causa di non punibilità di taluni reati tributari – tra cui quello di omesso versamento delle ritenute dovute o certificate – collegata all’integrale pagamento del debito tributario, comprensivo di sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

che il comma 3 del novellato art. 13 stabilisce, altresì, che qualora, prima dell’apertura del dibattimento, il debito tributario risulti in fase di estinzione mediante rateizzazione, è accordato all’imputato – al fine di fruire della causa di non punibilità – un termine di tre mesi, prorogabile, a discrezione del giudice, una sola volta e per non oltre (ulteriori) tre mesi;

che secondo quanto riferito dal giudice a quo, nel caso di specie il debito tributario è già stato estinto con riguardo ad uno degli anni d’imposta in contestazione (il 2007), mentre per le due annualità successive è in corso di estinzione sulla base del piano di ammortamento stabilito dall’amministrazione finanziaria;

che, conformemente a quanto già deciso da questa Corte in rapporto ad analoghe questioni (con riguardo a questione volta a denunciare la violazione del principio «ne bis in idem» sancito dall’art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, come conseguenza della duplicazione di procedimenti sanzionatori in materia tributaria, ordinanza n. 112 del 2016; con riguardo a questioni intese a censurare la soglia di punibilità dell’omesso versamento di ritenute certificate, ordinanze n. 89 e n. 14 del 2016, n. 256 del 2015), va quindi disposta la restituzione degli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce del mutato quadro normativo: ciò, a prescindere da ogni rilievo riguardo alla carenza, nel caso di specie – eccepita dall’Avvocatura generale dello Stato – del presupposto di applicabilità dell’evocato principio del ne bis in idem, rappresentato dall’identità del soggetto sottoposto a duplice procedimento sanzionatorio per il medesimo fatto (essendo l’imputato nel giudizio a quo chiamato a rispondere del reato di omesso versamento delle ritenute nella veste di legale rappresentante di una società per azioni, alla quale soltanto sono state dunque applicate le sanzioni amministrative, in base a quanto disposto dall’art. 7 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326).

Visto l’art. 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

ordina la restituzione degli atti al Tribunale ordinario di Treviso.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 ottobre 2016.