Order of the Constitutional Court No. 187 of 24 June 2015

In:

G.U. 29 July 2015 No. 30

With this order, the Constitutional Court returned on the subject of the principles enounced by the European Court of Human Rights in the case Varvara v. Italy (2009). Accordingly, the confiscation of land and buildings in relation to violations of the law on urban planning is a ‘penalty’ in the meaning of Article 7 of the ECHR, and may not be ordered if not in the case of conviction for a criminal offense (while conviction was precluded, in the case, by the extinction of the offense for statutory limitations). Based on its rulings in a number of earlier decisions (No. 348 and 349 of 2007, 311 of 2009 and 49 of 2015), the Constitutional Court declared the question inadmissible for various reasons. In the first place, and differently from the case at hand, when there are doubts about the compatibility with the Constitution of any of the ECHR provisions as interpreted by the European Court of Human Rights, a question of constitutionality of the law that authorized the ratification and implementation of the ECHR should be submitted to the Constitutional Court. Secondly, it is not true that the ruling of the European Court in the Varvara case prevents national judges from ordering the confiscation of land and buildings when conviction is not possible, provided that the penal responsibility of the accused has been proved substantially in the proceeding. Finally, there is not, in reality, a duty of Italian judges to conform to the principles enounced by the European Court in the Varvara case; a duty with such content is incumbent upon Italian judges only in the case that they are required to enforce domestically a judgment of the European Court or, also, with regard to so called ‘pilot-judgments’.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), promosso dal Tribunale ordinario di Rieti, sezione penale, nel procedimento penale a carico di R.M. ed altri, con ordinanza del 29 luglio 2014, iscritta al n. 235 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 54, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 giugno 2015 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Rieti, sezione penale, con ordinanza depositata il 29 luglio 2014 (reg. ord. n. 235 del 2014), ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), in riferimento agli artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi»;

che il giudice a quo premette che sta procedendo nei confronti di alcune persone imputate del reato di lottizzazione abusiva e che è già decorso il termine di prescrizione;

che ciò renderebbe «altamente probabile» che il giudizio penale debba concludersi con una pronuncia di non doversi procedere, posto che gli imputati non hanno rinunciato alla prescrizione;

che gli atti compiuti non consentirebbero, «al momento, di avere l’evidenza della innocenza degli imputati»;

che dovrebbe pertanto trovare applicazione l’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo cui «La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite»;

che a tale proposito il rimettente osserva che la confisca urbanistica, sulla base della giurisprudenza di legittimità, della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl e altri contro Italia, e della sentenza di questa Corte n. 239 del 2009, deve ritenersi una sanzione amministrativa, soggetta alle garanzie proprie della “pena” ai sensi dell’art. 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e può essere disposta con una sentenza di proscioglimento, ove siano stati accertati il fatto e la responsabilità di chi subisce la misura;

che la sentenza della Corte EDU del 29 ottobre 2013, resa nel caso Varvara contro Italia (ric. n. 17475 del 2009), avrebbe modificato il contenuto della disposizione censurata;

che secondo questa sentenza, infatti, in base all’art. 7 della CEDU e all’art. 1 del relativo Primo Procollo addizionale, la confisca non potrebbe essere disposta quando non è pronunciata una sentenza di condanna per il reato di lottizzazione abusiva, e in particolare quando si è verificata l’estinzione di tale reato;

che il giudice a quo ricorda che la Corte di cassazione ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nel significato da attribuirgli in base alla sentenza Varvara, in quanto sarebbe in contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, Cost., i quali impongono che il paesaggio, l’ambiente, la vita e la salute siano tutelati quali valori costituzionali oggettivamente fondamentali, cui riconoscere prevalenza nel bilanciamento con il diritto di proprietà;

che anche per il giudice a quo, che svolge in modo autonomo analoghe censure, il significato assunto dalla norma impugnata contrasterebbe con i parametri costituzionali appena indicati, perché potrebbe determinare il sacrificio dei valori da questi tutelati, a vantaggio del diritto di proprietà;

che la norma impugnata contrasterebbe anche con l’art. 25, secondo comma, Cost., secondo il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge;

che, infatti, l’art. 44, comma 2 non potrebbe essere reputato, a tal fine, una legge, posto che esso «non ha introdotto una sanzione penale» ma una mera sanzione amministrativa;

che la questione sarebbe rilevante, «atteso che le norme in esame, delle quali si chiede il vaglio di costituzionalità, costituiscono l’immediato paradigma normativo di riferimento per la decisione dei reati contestati»;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che questa Corte interpreti la norma impugnata nel senso che essa impone la confisca urbanistica quando il reato, pur dichiarato estinto per prescrizione, è stato accertato anche con riferimento all’elemento soggettivo;

che l’Avvocatura generale ritiene che ai fini della confisca urbanistica debba ritenersi sufficiente l’accertamento della responsabilità e che la sentenza Varvara possa essere letta in senso conforme a questa regola;

che in tal caso la questione potrebbe essere dichiarata non fondata «con una sentenza interpretativa di rigetto»;

che, ove la giurisprudenza della Corte EDU dovesse invece essere intesa nel senso che occorre la condanna penale, si determinerebbe un contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41 e 42 Cost., perché verrebbe attribuita un’ingiustificata prevalenza al diritto di proprietà rispetto ai valori espressi da tali parametri costituzionali.

Considerato che il Tribunale ordinario di Rieti, sezione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia –Testo A), in riferimento agli artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi»;

che un’analoga questione, sollevata dalla Corte di cassazione con riferimento ai medesimi parametri, eccezion fatta per l’art. 25 Cost., è stata giudicata inammissibile da questa Corte con la sentenza n. 49 del 2015, sopravvenuta all’ordinanza di rimessione;

che il giudice a quo incorre nei medesimi vizi di inammissibilità;

che, in particolare, viene erroneamente censurato l’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, anziché la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), nella parte in cui determinerebbe l’introduzione nell’ordinamento di una norma reputata di dubbia costituzionalità, cioè del divieto di applicare la confisca urbanistica se non è pronunciata una condanna penale;

che nei casi in cui si dubita della legittimità costituzionale della norma convenzionale, per come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, oggetto della questione di costituzionalità non può che essere tale legge di ratifica ed esecuzione (sentenze n. 49 del 2015, n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007);

che la questione è inammissibile anche per difetto di motivazione sulla rilevanza;

che, infatti, il divieto di applicare la confisca in caso di estinzione del reato per prescrizione, tratto dalla sentenza Varvara, non sarebbe rilevante ai fini della decisione, ove tale misura non dovesse essere disposta dal giudice a quo;

che al fine di disporre la confisca urbanistica è necessario accertare la responsabilità della persona che sarebbe colpita dalla misura (sentenza n. 239 del 2009);

che il rimettente in proposito si limita ad osservare che gli atti compiuti «non consentono, al momento, di avere l’evidenza della innocenza degli imputati»;

che in tal modo non è stata superata la presunzione di non colpevolezza degli imputati, e non è perciò stata data un’adeguata motivazione della ritenuta rilevanza della questione di legittimità costituzionale;

che la questione è inammissibile anche per erroneità di un presupposto interpretativo;

che la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa;

che i canoni dell’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme avrebbero dovuto orientare il giudice a quo verso tale soluzione;

che, infatti, esigere la condanna penale per l’applicazione di una sanzione di carattere amministrativo (quale è, secondo la giurisprudenza costante, la confisca di una lottizzazione abusiva), per quanto assistita dalle garanzie della “pena” ai sensi dell’art. 7 della CEDU, determina l’integrale assorbimento della misura nell’ambito del diritto penale e rappresenta una soluzione di dubbia compatibilità con il «principio di sussidiarietà, per il quale la criminalizzazione, costituendo l’ultima ratio, deve intervenire soltanto allorché, da parte degli altri rami dell’ordinamento, non venga offerta adeguata tutela ai beni da garantire» (sentenza n. 487 del 1989; in seguito, sentenza n. 49 del 2015);

che ai fini dell’osservanza della CEDU rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell’accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza;

che tale accertamento è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008);

che perciò il rimettente ha proposto la questione sulla base di un erroneo presupposto, relativo al significato da attribuire alla sentenza Varvara;

che la questione è inammissibile anche per l’erroneità di un secondo presupposto interpretativo;

che il giudice a quo infatti è convinto di essere vincolato a recepire l’art. 7 della CEDU, nel significato che la sentenza Varvara gli avrebbe attribuito e di cui contesta la conformità alle norme costituzionali richiamate;

che la sentenza Varvara però non costituisce espressione di una giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo;

che il coordinamento tra gli obblighi derivanti dall’art. 117, primo comma, Cost., e la libertà interpretativa assicurata al giudice comune dall’art. 101, secondo comma, Cost., comporta che questo, al di là dei casi di esecuzione di una sentenza pronunciata dalla Corte EDU, sia tenuto a conformarsi alla sola giurisprudenza consolidata di Strasburgo e alle sentenze pilota in senso stretto (sentenza n. 49 del 2015);

che, pertanto, la difettosa valutazione in ordine al vincolo ricavabile dalla sentenza Varvara si risolve nella erroneità di tale presupposto interpretativo.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 9, 25, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Rieti, sezione penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 giugno 2015.