Order of the Constitutional Court No. 10 of 15 January 2014

In:

G.U. 29 January 2014, No. 5

By order No. 10/2014, the Court ruled that the question of constitutionality submitted by the Court of Appeal of Venice on Article 1, para. 777, of law No. 296/2006 is manifestly unfounded. At this regard, on 31 August 2011, the ECHR Court condemned Italy for the infringement of Article. 6, para. 1 of the ECHR on the right to a fair trial. In the case Maggio and others c. Italy, the Strasbourg Court stated that with law No. 296/2006 Italy introduced retroactive provisions that interfered in the administration of justice by influencing arbitrarily pending court cases. Therefore, by this order, the Court settled the alleged contrast with ECHR provisions as interpreted by the European Court and confirmed its own ruling in decision No. 264 of 2012 in on the same issue.

Ordinanza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte d’appello di Venezia nei procedimenti riuniti vertenti tra D. V. R. A. ed altri e l’INPS, con ordinanza del 2 maggio 2012 iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti gli atti di costituzione dell’INPS e di C. S. ed altra, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto che la Corte d’appello di Venezia, nel corso dei giudizi riuniti in epigrafe, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, e in particolare con la sentenza del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio e altri contro l’Italia;

che, secondo l’esposizione del rimettente, gli appellanti, premesso di aver prestato lavoro dipendente in Svizzera, avevano impugnato le sentenze di primo grado con le quali erano state rigettate le loro domande nei confronti dell’INPS, dirette ad ottenere la riliquidazione dei rispettivi trattamenti pensionistici tenendo conto di quanto effettivamente percepito, nel periodo di lavoro prestato in Svizzera, anziché di quanto figurativamente ricostruito dall’INPS sulla base della maggiore aliquota contributiva italiana;

che dette domande erano state rigettate in primo grado alla stregua del dettato dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 – donde la rilevanza della questione – affermandosene la natura retroattiva, in conformità alla sentenza di questa Corte n. 172 del 2008, che ha ritenuto la natura interpretativa della citata disposizione, giudicando non fondata la relativa questione di legittimità costituzionale;

che, ciò premesso, il giudice a quo richiama, condividendone i contenuti, la ordinanza della Corte di cassazione n. 23834 del 2011, con la quale è stata sollevata questione di legittimità costituzionale della norma in oggetto in riferimento ai medesimi parametri sopra indicati;

che, in particolare, nella ordinanza di rimessione si riassume il profilo del rapporto tra fonti e Corti nazionali e sovranazionali, tenuto conto che la norma in questione ha costituito oggetto di pronunce, tra loro “dialoganti”, del giudice nazionale, della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e si sottolinea il decisum della pronuncia della Corte di Strasburgo resa nel caso Maggio contro Italia, divenuta definitiva il 31 agosto 2011, con la quale quella Corte ha ritenuto che con la norma impugnata lo Stato italiano ha violato i diritti dei ricorrenti di cui all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU, intervenendo con essa in modo decisivo per garantire che l’esito della controversia in cui esso era parte gli fosse favorevole;

che nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’INPS, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la stessa Corte EDU, nella pronuncia richiamata dal giudice rimettente, ha sottolineato che l’intervento del legislatore ha posto riparo ad una situazione di sostanziale ed ingiustificata disparità di trattamento sussistente tra il pensionato che abbia lavorato in Italia e quello che abbia prestato la propria attività in Svizzera ed abbia poi trasferito i contributi in Italia, posto che, a parità di retribuzione pensionabile, a costoro sarebbe stata liquidata una pensione di identica misura, pur a fronte di un carico contributivo sopportato dal primo lavoratore maggiore di circa quattro volte di quello sopportato dal secondo;

che si sono altresì costituiti i signori S. C. e G. C., parti private nel giudizio a quo, che hanno concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma censurata, alla stregua di argomentazioni adesive ai contenuti della ordinanza di rimessione, e sottolineando, in particolare, la primazia, nella gerarchia delle fonti, della interpretazione della CEDU fornita dalla Corte di Strasburgo, cui è riservato il controllo sul rispetto dei diritti salvaguardati dalla stessa Convenzione;

che è altresì intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione, osservando che la Corte costituzionale non può sindacare l’interpretazione della CEDU fornita dalla Corte di Strasburgo, ma può ben verificare se la norma della Convenzione, come interpretata dalla Corte EDU, che si colloca pur sempre ad un livello subcostituzionale, si ponga in conflitto con altre norme della Costituzione, e che, nell’operare tale giudizio, il giudice delle leggi è chiamato ad un bilanciamento con altre norme costituzionali che a loro volta garantiscono diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dalla espansione di una singola tutela;

che, nella imminenza della camera di consiglio, la difesa delle predette parti private ha depositato una memoria con la quale, ampliando il thema decidendum rispetto al petitum di cui alla ordinanza di rimessione, ne ha prospettato l’estensione al controllo del rispetto dei parametri comunitari e, in subordine, ha chiesto che questa Corte disponga, in relazione ad essi, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, ovvero la restituzione degli atti al giudice a quo sempre ai fini del rinvio pregiudiziale;

che ha depositato memoria anche l’INPS, che ha chiesto la declaratoria di manifesta infondatezza della questione, in quanto già decisa con la sentenza di questa Corte n. 264 del 2012;

che anche l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato memoria, ribadendo le conclusioni già rassegnate nel senso della infondatezza della questione.

Considerato che identica questione è già stata dichiarata non fondata con la richiamata sentenza n. 264 del 2012;

che l’ordinanza di rimessione non deduce argomenti nuovi che inducano ad una diversa decisione;

che non può trovare ingresso nel presente giudizio il thema decidendum come ampliato, peraltro solo con memoria illustrativa depositata nell’imminenza della data fissata per la camera di consiglio, dalla difesa delle parti private del giudizio principale;

che nemmeno la richiesta subordinata della medesima difesa – intesa a sollecitare, sulla base del prospettato ampliamento, i poteri di ufficio di questa Corte, con riferimento ad una eventuale autorimessione della questione riguardata sotto il profilo dei parametri comunitari, ovvero di rinvio pregiudiziale, in relazione a detti parametri, alla Corte di giustizia dell’Unione europea – può trovare accoglimento;

che, infatti, manca nella ordinanza di rimessione alcuna indicazione circa gli elementi fattuali ed i riferimenti normativi a tali fini necessari;

che, infine, inconferente risulta la richiesta, avanzata in via ulteriormente subordinata, di restituzione degli atti al giudice a quo ai fini del rinvio pregiudiziale, atteso che, a seguito della pronuncia di questa Corte, il processo è destinato comunque a rientrare nella sfera di competenza del rimettente, che potrà valutare, essendo in possesso degli elementi necessari, se procedere o meno all’invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia;

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, dalla Corte d’appello di Venezia, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sottoscritta dall’Italia il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, con la ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014