Decision of the Constitutional Court No. 264 of 19 November 2012

In:

G.U. 5 December 2012, n. 48

Article 1.777 of law No. 296/2007 (law on the State budget for the year 2006) is not inconsistent with Article 117.1 of the Constitution (respect for international obligations) in relation to Article 6 of the ECHR (right to a fair trial) and the First Protocol, as interpreted by the European Court of Human Rights in its judgment of 2011 on the case concerning the pension of Italian workers in Switzerland (Maggio and others v. Italy). The European Court stated that the Italian government had violated the rights of the claimants, by ensuring, through Article 1.777 of law No. 296/2007, a decision favorable to the Government in a proceeding in which it was the defendant. However, according to the principles established in the jurisprudence of the Constitutional Court, the norms of the ECHR, which complement the provision contained in Article 117.1 of the Constitution, must be balanced with the other constitutional values, and the balancing is a competence of the Constitutional Court. In the case, which related to legislation on social security, the principle of non discrimination between the Italian citizens working in Italy and those working abroad, as well as the principle of solidarity, must prevail over other constitutional values. For this reason, though having prejudiced certain interests of the claimants, Article 1.777 of law No. 296/2007 is not inconsistent with the Constitution.

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra l’INPS e Lorenzon Guido Luciano, con ordinanza del 15 novembre 2011, iscritta al n. 10 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visti l’atto di costituzione dell’INPS, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;

uditi l’avvocato Sergio Preden per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.― Nel corso di un giudizio civile – promosso da un lavoratore contro l’INPS, per ottenere la riliquidazione della maturata pensione di anzianità sulla base della retribuzione effettivamente percepita durante il periodo di lavoro in Svizzera, in luogo di quella, inferiore, figurativamente rideterminata dall’istituto in rapporto alle aliquote contributive svizzere, più basse di quelle italiane – la Corte di cassazione, adìta su ricorso dell’INPS avverso la sentenza d’appello favorevole al pensionato, ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale della norma, che il ricorrente lamentava violata, di cui all’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

La norma denunciata – in dichiarata interpretazione dell’articolo 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria) – prevede sostanzialmente che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo.

La Corte rimettente ricorda che la predetta disposizione è già stata oggetto di sindacato da parte di questa Corte, che, con la sentenza n. 172 del 2008, ha respinto i dubbi – sollevati dalla stessa Corte di cassazione – di contrasto con gli artt. 3, primo comma, 35, quarto comma, 38, secondo comma, della Costituzione, affermando, tra l’altro, che la disposizione impugnata aveva reso esplicito un precetto già contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica.

Ciò posto, il giudice a quo solleva un diverso dubbio di illegittimità costituzionale della norma in questione, in riferimento, questa volta, all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare, con la sentenza della seconda sezione del 31 maggio 2011, Maggio ed altri contro Italia, con la quale è stato ritenuto che l’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 ha violato i diritti dei ricorrenti, intervenendo in modo decisivo per impedire che l’esito del procedimento in cui erano parti fosse loro favorevole.

2.― Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituito l’INPS, che ha concluso per la infondatezza della questione, ritenendo che la valutazione di conformità a Costituzione della normativa impugnata, già espressa da questa Corte con la sentenza n. 172 del 2008 in riferimento ad altri parametri, possa essere estesa anche a quello oggi invocato. Rileva, al riguardo, che, secondo la stessa sentenza della Corte europea richiamata dal Collegio rimettente, l’intervento del legislatore ha sanato una situazione di ingiustificata disparità di trattamento sussistente tra i pensionati che hanno lavorato in Italia e quelli che hanno prestato la propria attività in Svizzera trasferendo poi i contributi in Italia. L’estensione della norma ai giudizi pendenti, secondo l’INPS, risulterebbe coerente con la funzione di eliminare tale squilibrio.

3.― Nel giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha parimenti concluso per la infondatezza della questione, rilevando che la norma censurata mira ad uniformare il sistema previdenziale, garantendo parità di trattamento tra il lavoro prestato all’estero e quello svolto in Italia. Ricorrerebbero, pertanto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, le ragioni imperative di interesse generale che consentono interventi interpretativi e retroattivi. La norma in questione, inoltre, sarebbe stata adottata al dichiarato fine di escludere l’incidenza di effetti onerosi tali da compromettere gli equilibri di finanza pubblica e gli impegni assunti dall’Italia con l’Unione europea in materia di contenimento della spesa pensionistica.

Considerato in diritto

1.― La Corte è chiamata a decidere se l’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato − legge finanziaria 2007), che, nel fornire la interpretazione dell’articolo 5, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria), sostanzialmente prevede che la retribuzione percepita all’estero, da porre a base del calcolo della pensione, debba essere riproporzionata al fine di stabilire lo stesso rapporto percentuale previsto per i contributi versati nel nostro Paese nel medesimo periodo, introducendo nell’ordinamento una interpretazione della disciplina de qua in senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati, si ponga in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

2.― In particolare, la pronuncia della Corte EDU cui si fa riferimento è la sentenza del 31 maggio 2011, resa nel caso Maggio ed altri contro Italia, secondo la quale con la censurata disposizione lo Stato italiano ha violato i diritti dei ricorrenti intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte attraverso l’INPS gli fosse favorevole, senza che sussistessero impellenti motivi di interesse generale, e privando di rilievo, con lo stabilire la salvezza dei (soli) trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della legge, la prosecuzione del giudizio per un’intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti nel giudizio a quo.

3.― La questione non è fondata.

3.1.― È preliminarmente necessaria, al fine di un corretto inquadramento del problema, una sintetica ricostruzione della evoluzione legislativa sulla questione delle cosiddette “pensioni svizzere”, che ha origine dal diverso trattamento pensionistico derivato dalla entrata in vigore della norma censurata ai lavoratori che hanno prestato servizio nella Confederazione elvetica.

In base al sistema «retributivo» di computo delle pensioni erogate dall’assicurazione generale obbligatoria introdotto dal d.P.R. n. 488 del 1968, la pensione si calcola applicando alla retribuzione annua pensionabile, cioè alla retribuzione annua media percepita dal lavoratore durante un certo periodo di riferimento, un coefficiente proporzionato al numero complessivo di settimane di contribuzione vantate dall’interessato.

3.1.1.― Per ciò che concerne il regime dei contributi versati in Svizzera e trasferiti in Italia in forza dell’Accordo aggiuntivo alla Convenzione tra l’Italia e la Svizzera relativo alla sicurezza sociale del 14 dicembre 1962, concluso a Berna il 4 luglio 1969 e ratificato con legge 18 maggio 1973, n. 283, si era affermato un orientamento giurisprudenziale – sempre contestato dall’INPS − secondo il quale il lavoratore italiano, che avesse chiesto il trasferimento a detto ente dei contributi versati in Svizzera in suo favore, aveva diritto di ottenere che la pensione venisse determinata con il metodo retributivo sulla base della retribuzione effettivamente percepita in Svizzera, nonostante i contributi colà accreditati fossero stati versati secondo l’aliquota prevista dalla legislazione elvetica, inferiore a quella stabilita dalla legislazione italiana. Espressione di tale orientamento sono, tra le altre, le sentenze della Corte di legittimità n. 7455 del 2005, n. 4623 e n. 20731 del 2004.

Successivamente, era intervenuta, appunto, la legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), che, all’art. 1, comma 777, aveva stabilito che «l’articolo 5, secondo comma, del d.P.R. n. 488 del 1968, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che, in caso di trasferimento presso l’assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l’importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l’aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono. Sono fatti salvi i trattamenti pensionistici più favorevoli già liquidati alla data di entrata in vigore della presente legge».

3.1.2.― La Corte di cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale di tale norma in riferimento agli articoli 3, primo comma, 35, quarto comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, ritenendo che essa avesse introdotto nell’ordinamento una interpretazione della disciplina applicabile in senso non favorevole rispetto alle posizioni degli assicurati.

Questa Corte, con la sentenza n. 172 del 2008, aveva respinto tali dubbi di contrasto con la Costituzione, affermando, tra l’altro, che la disposizione impugnata ha reso esplicito un precetto già contenuto nelle disposizioni oggetto dell’interpretazione autentica, e che, quindi, sotto tale profilo, non è affetta da irragionevolezza. Inoltre, aveva osservato al riguardo che essa, assegnando alla disposizione interpretata un significato rientrante nelle possibili letture del testo originario, non determina alcuna lesione dell’affidamento del cittadino nella certezza dell’ordinamento giuridico, anche perché nella fattispecie l’ente previdenziale ha continuato a contestare la interpretazione sostenuta dalle controparti private, ed accolta dalla giurisprudenza, rendendo così reale il dubbio ermeneutico.

Del pari, era stata esclusa la violazione del principio di eguaglianza, perché la salvezza delle posizioni dei lavoratori, cui già sia stato liquidato il trattamento pensionistico secondo un criterio più favorevole, risponde, questo sì, all’esigenza di rispettare il principio dell’affidamento e i diritti ormai acquisiti di detti lavoratori.

Né era stato ravvisato alcun vulnus all’art. 35, quarto comma, Cost., perché l’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 non attribuisce al lavoro prestato all’estero un trattamento deteriore rispetto a quello svolto in Italia, ma anzi assicura la razionalità complessiva del sistema previdenziale, evitando che, a fronte di una esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le stesse utilità che chi ha prestato attività lavorativa esclusivamente in Italia può conseguire solo grazie ad una contribuzione molto più gravosa.

Infine, la Corte aveva escluso il contrasto con l’art. 38, secondo comma, Cost., perché la norma censurata non determina alcuna riduzione ex post del trattamento previdenziale spettante ai lavoratori. Essa, in definitiva, non fa altro che imporre per legge un’interpretazione già desumibile dalle disposizioni interpretate. Né la rimettente offre – aveva sottolineato la Corte – elementi per far ritenere che la norma determini un trattamento pensionistico addirittura insufficiente al soddisfacimento delle esigenze di vita del lavoratore.

A seguito di tale pronuncia, il giudice di legittimità aveva modificato il proprio orientamento, sostenendo il carattere di disposizione di interpretazione autentica dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 (v. Cass., sez. un., n. 17076 del 2011; Cass., n. 23754 del 2008).

3.1.3.― Tuttavia, successivamente, su identica questione è intervenuta la Corte EDU, la quale, con la richiamata sentenza resa nel caso Maggio, ha ritenuto che con tale disposizione lo Stato italiano abbia violato i diritti dei ricorrenti intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.

Detta sentenza pone a fondamento del decisum le seguenti argomentazioni, come richiamate nella ordinanza di rimessione: 1) benché non sia precluso al legislatore disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto [rectius: rule of law] e la nozione di equo processo contenuti nell’articolo 6 impediscono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, l’interferenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia; 2) benché le regole pensionistiche previste dalla legge possano cambiare e non si possa fare affidamento su di un orientamento giurisprudenziale come garanzia contro tali cambiamenti, anche se tali cambiamenti sono svantaggiosi per alcuni beneficiari di prestazioni previdenziali, lo Stato non può interferire in modo arbitrario nella procedura giudiziaria; 3) nel caso in esame, la legge ha escluso espressamente dal suo ambito di applicazione le sentenze diventate irrevocabili (trattamenti pensionistici già liquidati) e ha fissato retroattivamente i termini delle controversie davanti ai tribunali ordinari. Invero la promulgazione della legge n. 296 del 2006, mentre i procedimenti erano pendenti, in realtà incideva sul merito delle controversie, e la sua applicazione da parte dei vari tribunali ordinari ha privato di rilievo, per una intera categoria di persone che si trovavano nella posizione dei ricorrenti, la prosecuzione del giudizio; 4) al fine di determinare l’esistenza di un motivo impellente di interesse generale in grado di legittimare l’ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia, il rispetto della preminenza del diritto [rule of law] e delle regole dell’equo processo impone che le ragioni addotte per giustificare tale misura siano valutate con il massimo grado di cautela possibile; 5) considerazioni di carattere finanziario non possono, da sole, giustificare che il legislatore si sostituisca al giudice al fine di risolvere le controversie; dopo il 1982, l’INPS ha applicato una interpretazione della legge in vigore all’epoca che era più favorevole ad esso in qualità di autorità erogatrice: tale ricostruzione normativa non era condivisa dalla maggioranza della giurisprudenza; 6) quanto alla tesi del Governo secondo cui la legge si era resa necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico, eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, se la Corte europea accetta questa come una ragione di interesse generale, non è persuasa che si tratti di argomenti abbastanza convincenti da superare i pericoli insiti nell’uso di una legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo Stato era parte.

3.2.― Ed è proprio con riguardo alle esposte argomentazioni alla base della citata sentenza Maggio che il rimettente sospetta ora la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006 per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6, paragrafo 1, della CEDU come interpretato dalla pronuncia medesima.

Sottolinea il giudice rimettente che spetta a questa Corte il controllo del rispetto dei cosiddetti controlimiti, tanto più nel caso di specie, in cui è già intervenuta una sua sentenza che ha vagliato la disciplina sostanziale di cui si tratta in riferimento a diversi parametri costituzionali, nonché avuto riguardo alle affermazioni della stessa Corte EDU, secondo cui fare salvi i motivi imperativi di interesse generale che suggeriscono al legislatore nazionale interventi interpretativi deve lasciare ai singoli Stati contraenti quanto meno «una parte del compito e dell’onere di identificarli, in quanto nella posizione migliore per assolverlo, trattandosi, tra l’altro, degli interessi che sono alla base dell’esercizio del potere legislativo».

4.― Ai fini dello scrutinio della questione proposta, giova richiamare la giurisprudenza costituzionale sulla efficacia e sul ruolo delle norme CEDU chiamate ad integrare il parametro dell’articolo 117, primo comma, Cost.

A partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, questa Corte ha costantemente ritenuto che «le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n. 113, n. 80 – che conferma la validità di tale ricostruzione dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – e n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009).

Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU, quindi, «il giudice nazionale comune deve preventivamente verificare la praticabilità di un’interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica» (sentenze n. 236 e n. 113 del 2011; n. 93 del 2010; n. 311 del 2009). Se questa verifica dà esito negativo e il contrasto non può essere risolto in via interpretativa, il giudice comune, non potendo disapplicare la norma interna né farne applicazione, avendola ritenuta in contrasto con la CEDU, nella interpretazione che ne ha fornito la Corte di Strasburgo, e pertanto con la Costituzione, deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo una questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., ovvero all’art. 10, primo comma, Cost., ove si tratti di una norma convenzionale ricognitiva di una norma del diritto internazionale generalmente riconosciuta (sentenze n. 113 del 2011, n. 93 del 2010 e n. 311 del 2009).

4.1.― Nella giurisprudenza costituzionale si è, inoltre, reiteratamente affermato che, con riferimento ad un diritto fondamentale, il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa.

Del resto, l’art. 53 della stessa Convenzione stabilisce che l’interpretazione delle disposizioni CEDU non può implicare livelli di tutela inferiori a quelli assicurati dalle fonti nazionali.

Di conseguenza, il confronto tra tutela prevista dalla Convenzione e tutela costituzionale dei diritti fondamentali deve essere effettuato mirando alla massima espansione delle garanzie, concetto nel quale deve essere compreso, come già chiarito nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, il necessario bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti, cioè con altre norme costituzionali, che a loro volta garantiscano diritti fondamentali che potrebbero essere incisi dall’espansione di una singola tutela.

Il richiamo al «margine di apprezzamento» nazionale − elaborato dalla stessa Corte di Strasburgo, e rilevante come temperamento alla rigidità dei principi formulati in sede europea − deve essere sempre presente nelle valutazioni di questa Corte, cui non sfugge che la tutela dei diritti fondamentali deve essere sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro.

4.2.― In definitiva, se, come più volte affermato da questa Corte (sentenze n. 236, n. 113 e n. 1 del 2011, n. 93 del 2010, n. 311 e n. 239 del 2009, n. 39 del 2008, n. 349 e n. 348 del 2007), il giudice delle leggi non può sostituire la propria interpretazione di una disposizione della CEDU a quella data in occasione della sua applicazione al caso di specie dalla Corte di Strasburgo, con ciò superando i confini delle proprie competenze in violazione di un preciso impegno assunto dallo Stato italiano con la sottoscrizione e la ratifica, senza l’apposizione di riserve, della Convenzione, esso però è tenuto a valutare come ed in quale misura l’applicazione della Convenzione da parte della Corte europea si inserisca nell’ordinamento costituzionale italiano. La norma CEDU, nel momento in cui va ad integrare il primo comma dell’art. 117 Cost., come norma interposta, diviene oggetto di bilanciamento, secondo le ordinarie operazioni cui questa Corte è chiamata in tutti i giudizi di sua competenza (sent. n. 317 del 2009). Operazioni volte non già all’affermazione della primazia dell’ordinamento nazionale, ma alla integrazione delle tutele.

5.― È in applicazione di tali principi che deve essere risolta la questione all’odierno esame.

5.1.― Il vincolo per la Corte, nel caso di specie, è costituito dalla applicazione che la Corte EDU ha operato, nella sentenza Maggio, dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, stabilendo che «benché non sia precluso al corpo legislativo di disciplinare, mediante nuove disposizioni retroattive, diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e la nozione di equo processo contenuti nel richiamato art. 6 precludono, tranne che per impellenti motivi di interesse generale, l’interferenza del corpo legislativo nell’amministrazione della giustizia con il proposito di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia». La Corte europea ha ritenuto di “non essere persuasa” del fatto che il motivo di interesse generale fosse sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, e perciò ha concluso che, nel caso ad essa sottoposto, lo Stato aveva violato i diritti dei ricorrenti ai sensi della citata disposizione convenzionale, intervenendo in modo decisivo per garantire che l’esito del procedimento in cui esso era parte gli fosse favorevole.

5.2.― Peraltro, siffatta impostazione risulta sostanzialmente coincidente con i principi enunciati da questa Corte con riguardo al divieto di retroattività della legge, che, pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011 e n. 393 del 2006). Il legislatore, nel rispetto di tale previsione, può emanare – come rilevato nelle citate sentenze – disposizioni retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nella esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse generale» ai sensi della giurisprudenza della Corte EDU.

La richiamata disposizione convenzionale, come applicata dalla Corte europea, integra, quindi, pianamente il parametro dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, rispetto al quale il Collegio rimettente ripropone il dubbio di illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 777, della legge n. 296 del 2006.

5.3.― Tuttavia, nell’attività di bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti cui, come dianzi chiarito, anche in questo caso è chiamata questa Corte, rispetto alla tutela dell’interesse sotteso al parametro come sopra integrato prevale quella degli interessi antagonisti, di pari rango costituzionale, complessivamente coinvolti nella disciplina recata dalla disposizione censurata. In relazione alla quale sussistono, quindi quei preminenti interessi generali che giustificano il ricorso alla legislazione retroattiva.

Ed infatti, gli effetti di detta disposizione ricadono nell’ambito di un sistema previdenziale tendente alla corrispondenza tra le risorse disponibili e le prestazioni erogate, anche in ossequio al vincolo imposto dall’articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ed assicura la razionalità complessiva del sistema stesso (sent. n. 172 del 2008), impedendo alterazioni della disponibilità economica a svantaggio di alcuni contribuenti ed a vantaggio di altri, e così garantendo il rispetto dei principi di uguaglianza e di solidarietà, che, per il loro carattere fondante, occupano una posizione privilegiata nel bilanciamento con gli altri valori costituzionali.

È ispirata, invero, ai principi di uguaglianza e di proporzionalità una legge che tenga conto della circostanza che i contributi versati in Svizzera siano quattro volte inferiori a quelli versati in Italia e operi, quindi, una riparametrazione diretta a rendere i contributi proporzionati alle prestazioni, a livellare i trattamenti, per evitare sperequazioni e a rendere sostenibile l’equilibrio del sistema previdenziale a garanzia di coloro che usufruiscono delle sue prestazioni.

5.4.― Né è priva di rilievo la circostanza che la sentenza della Corte EDU, che è tenuta a tutelare in modo parcellizzato, con riferimento a singoli diritti, i diversi valori in giuoco, da un lato, ritenga sussistente, nella specie, la violazione del diritto dei ricorrenti ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro un indennizzo, e, dall’altro, escluda la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto il profilo dell’ingerenza nel pacifico godimento dei loro beni attraverso la riduzione della pensione.

La esclusione della violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 è motivata dai giudici europei alla stregua della considerazione che la legge n. 296 del 2006 persegue un interesse pubblico, quello di fornire un metodo di calcolo della pensione armonizzato, al fine di garantire un sistema previdenziale sostenibile e bilanciato, evitando che i ricorrenti possano beneficiare di vantaggi ingiustificati, e che il sacrificio subito da costoro non è tale da pregiudicarne i diritti pensionistici nella loro essenza, avendo essi perso solo un ammontare parziale della pensione. Pertanto, la sentenza, non senza considerare «l’ampio margine di apprezzamento dello Stato nel disciplinare il suo sistema pensionistico», rigetta la domanda di riliquidazione della pensione.

A differenza della Corte EDU, questa Corte, come dianzi precisato, opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è, quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella specie, dà appunto luogo alla soluzione indicata.

E ciò anche considerando, a contrario, che una declaratoria che non fosse di infondatezza della questione, e che espungesse, quindi, la norma censurata dall’ordinamento, inciderebbe necessariamente sul regime pensionistico in esame, così contraddicendo non solo il sistema nazionale di valori nella loro interazione, ma anche la sostanza della decisione della Corte EDU di cui si tratta, che ha negato accoglimento alla domanda dei ricorrenti di riconoscimento del criterio di calcolo della contribuzione ad essi più favorevole.

Conclusivamente, la questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza in epigrafe deve essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 777, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione in relazione all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952), come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.