G.U. 16 November 2016, No. 46
Unlike some regional administrative courts (the decisions of which were however reformed by the Council of State), the Constitutional Court reputed that it is not a discriminating behavior excluding Italian peacekeepers from certain salary and pension benefits granted by law to “the combatants in war campaigns”. For the Court, UN and other international peace operations cannot be equated to war under both international law and Italian national legislation. On other hand, Parliament duly took into account risks for life connected to peace operations, when passing peacekeeping special legislation, including law No. 145/2016.
Law No. 145 of 21 July 2016
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in servizio per conto dell’O.N.U. in zone d’intervento, dei benefici combattentistici), promossi con nove ordinanze del 12 febbraio 2015 dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia e con un’ordinanza del 17 dicembre 2015 dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80 ed 81 del registro ordinanze 2015 e al n. 35 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19 e 20, prima serie speciale, dell’anno 2015, e 9, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Visti gli atti di costituzione di B.M., S.A. e D.B.D., di V.F. ed altri, L.V. ed altri e F.F. ed altri, nonché gli atti di intervento dell’Inps e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 ottobre 2016 il Giudice relatore Aldo Carosi;
uditi gli avvocati Luciano Quarta per B.M., S.A. e D.B.D., Giacomo Crovetti per V.F. ed altri, L.V. ed altri e F.F. ed altri, Dario Marinuzzi per l’INPS, e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, con nove ordinanze di analogo contenuto, ed iscritte ai numeri da 73 ad 81 del registro ordinanze del 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in servizio per conto dell’ONU in zone d’intervento, dei benefici combattentistici) per violazione dell’art. 3 della Costituzione.
1.1.– Riferisce il giudice a quo che numerosi dipendenti del Ministero della difesa, tutti ufficiali, sottufficiali, graduati e militari, hanno chiesto il riconoscimento dei benefici combattentistici previsti dall’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, dall’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), dall’art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390 (Computo delle campagne della guerra 1940-45), dall’art. 5 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 (Attuazione delle deleghe conferite dall’articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e dell’articolo 1, commi 97, lettera g), e 99 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego. In sostanza – prosegue il rimettente – le domande sono dirette ad ottenere i benefici derivanti dalla valutazione dei periodi di servizio svolti per conto dell’ONU, come previsto dall’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973 secondo il quale «Il servizio computabile è aumentato di un anno per ogni campagna di guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia» e che comporterebbe quindi il diritto alla supervalutazione ai fini pensionistico-previdenziali, nonché il relativo diritto al riscatto ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita.
Espone il TAR rimettente che alcuni tribunali amministrativi regionali (TAR per il Friuli-Venezia Giulia, sentenza n. 450 del 2014 e TAR per la Lombardia, sentenza n. 1168 del 2014), pronunciandosi su identiche questioni, avevano riconosciuto il beneficio richiesto; nondimeno, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5172 del 2014, ha affermato che l’interpretazione corretta dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 limiterebbe il beneficio della supervalutazione prevista dalla legge n. 390 del 1950 solamente alle campagne di guerra del periodo 1940-1945. Secondo il TAR per il Friuli-Venezia Giulia la sentenza del Consiglio di Stato sopra citata costituirebbe attualmente il diritto vivente in materia.
Per tali motivi, il rimettente solleva d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, così come interpretato dal Consiglio di Stato nella predetta decisione, e cioè in quanto esso si riferirebbe unicamente ai benefici stipendiali previsti per le campagne di guerra della seconda guerra mondiale.
Osserva il giudice a quo che l’attività svolta dai militari italiani per conto dell’ONU nelle cosiddette missioni di pace o equiparate si dovrebbe considerare, per le concrete modalità e i rischi anche mortali, equivalente ad una campagna di guerra vera e propria, anche se le finalità siano ovviamente quelle di mantenere o ripristinare la pace.
Pertanto, la limitazione dei benefici previsti espressamente dalla disposizione impugnata per le sole attività belliche della seconda guerra mondiale costituirebbe una disparità di trattamento in situazioni sostanzialmente identiche, e quindi violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
In punto di rilevanza, sostiene il rimettente che la questione risulterebbe decisiva nel giudizio a quo, in quanto i benefici richiesti dai militari sarebbero collegati all’interpretazione attuale della impugnata normativa.
2.– Ha svolto atto di intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o comunque l’infondatezza della questione sollevata dal TAR friulano.
Il Presidente del Consiglio eccepisce preliminarmente l’inammissibilità della questione in quanto si fonderebbe su una incompleta ricostruzione e su una conseguente mancata ponderazione o considerazione del quadro normativo di riferimento.
Evidenzia inoltre che la Corte ha più volte ribadito che «la mancata utilizzazione dei poteri interpretativi, che la legge riconosce al giudice remittente, e la mancata esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche, al fine di far fronte al dubbio di costituzionalità ipotizzato, integrano omissioni tali da rendere manifestamente inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale» (sentenza n. 10 del 2013). Tanto, si prosegue, ridonderebbe «anche in termini di insufficiente motivazione in ordine alla rilevanza» (sentenza n. 314 del 2013 ed ordinanza n. 322 del 2013), configurandosi, «di fatto, quale improprio tentativo di ottenere un avallo interpretativo da parte della Corte» (ordinanza n. 198 del 2013).
Secondo l’interveniente, la questione sarebbe inoltre da ritenersi inammissibile anche per il mancato esperimento, da parte del giudice a quo, di un tentativo teso a rintracciare un’interpretazione della disposizione censurata che la renda conforme alla Costituzione, manifestando anche sotto tale profilo la inadeguatezza della motivazione del provvedimento di rimessione.
Espone al riguardo il Presidente del Consiglio che l’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973 non sarebbe applicabile al di fuori dell’ipotesi espressamente prevista dell’evento bellico nel quale il militare dovrebbe essere direttamente impiegato, né potrebbero trovare applicazione le disposizioni recate dalla legge n. 390 del 1950, perché espressamente applicabili esclusivamente alle «campagne della guerra 1940-45», e quindi riconoscibili al personale ivi indicato ed alle condizioni dettate in tale provvedimento. Secondo la difesa dello Stato, sarebbe poi dirimente l’esplicita esclusione posta dall’art. 5, comma 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 824 recante “Norme di attuazione, modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed assimilati” in ragione della quale le disposizioni della legge 24 maggio 1970, n. 336 e quelle della stessa legge non si applicano al personale di cui alla legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (personale militare impiegato in missione per conto dell’ONU).
Evidenzia in proposito il Presidente del Consiglio che la stessa [legge n. 824 del 1971], all’art. 2, sancisce anche che «[…] la valutazione va effettuata nella misura di un anno intero per ciascuna campagna di guerra, riconosciuta tale dall’autorità competente». Nello stesso senso, anche il richiamato art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, rubricato «Campagne di guerra», statuisce che «Il servizio computabile è aumentato di un anno per ogni campagna di guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia».
Le disposizioni sopra citate, quindi, richiederebbero un riconoscimento formale delle «campagne di guerra» da parte delle Autorità competenti; riconoscimento che, per le missioni svolte per conto dell’ONU non potrebbe aver luogo, poiché l’Amministrazione della difesa non potrebbe trascrivere a matricola, come «campagne di guerra», le suddette missioni di pace, in mancanza di una norma in tal senso.
Sottolinea inoltre il Presidente del Consiglio che dalle determinazioni periodiche dello Stato Maggiore della Difesa, invocate dai ricorrenti, discenderebbe esclusivamente il riconoscimento formale delle zone di intervento delle missioni svolte per conto dell’ONU e non anche la loro equiparazione con gli eventi bellici.
Secondo l’interveniente basterebbe evidenziare, sul punto, che la dichiarazione dello stato di guerra è prerogativa del Capo dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 87, comma nono della Costituzione, e non sarebbe quindi sufficiente una determinazione amministrativa come quella del Capo di Stato Maggiore della difesa. L’impossibilità di supervalutare ai fini pensionistici le “campagne di guerra» troverebbe inoltre, a giudizio della difesa erariale, uno sbarramento ulteriore anche nella previsione di cui all’art. 3 della legge 3 agosto 2009, n. 108 recante « Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali» che, al comma 4, in virtù del rinvio posto all’art. 19 del d.P.R. n. 1092 del 1973, prevede l’aumento di un terzo del servizio prestato sulla costa in tempo di guerra: avendo già il legislatore previsto un simile beneficio per il servizio prestato in tempo di guerra, non sarebbe sostenibile il riconoscimento di un’ulteriore abbreviazione temporale per lo stesso servizio e per le medesime finalità.
Per completezza, peraltro, evidenzia il Presidente del Consiglio che non sarebbe priva di fondamento neanche la tesi secondo cui il sopra richiamato art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973 sarebbe da considerarsi implicitamente abrogato e, comunque, disapplicato.
Tanto si desumerebbe dall’art. 5 del d.lgs. 30 aprile 1997, n. 165 (articolo inserito nel Titolo l, rubricato “Personale delle Forze Armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza, delle Forze di polizia ad ordinamento civile e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco”) che, nel limitare a cinque anni la supervalutazione dei periodi di servizio in particolari condizioni, enumera esclusivamente le situazioni previste dagli artt. 19, 20, 21 e 22 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, senza menzionare l’art. 18 (riferito alle «campagne di guerra»).
Inoltre, secondo l’interveniente la tesi dell’inoperatività dell’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 troverebbe conferma nei lavori preparatori del Codice dell’ordinamento militare e del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (sono richiamate, in particolare, le note a piè di testo all’articolato degli schemi dei provvedimenti posti all’esame del Consiglio di Stato, Commissione Speciale Difesa, Adunanza del 10 febbraio 2010, n. 149 e 152), ove si precisa, con riferimento all’art. 1858 del predetto codice che, pur trattandosi di norma non più attivata, «la conservazione dell’art. 18 nell’ordinamento giuridico è, però, opportuna, tenuto conto dei rischi conseguenti al verificarsi di una crisi internazionale»; si tratterebbe quindi di rischi correlati al verificarsi di una situazione di guerra, ma che non sarebbe rinvenibile nell’impegno militare internazionale per conto dell’ONU.
Relativamente alla questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, come prospettata dal TAR per il Friuli-Venezia Giulia, secondo l’interpretazione datane dal diritto vivente e dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, obietta il Presidente del Consiglio che il giudice a quo affermerebbe direttamente, senza altra motivazione, che l’attività svolta dai militari italiani per conto dell’ONU nelle cosiddette missioni di pace o equiparate si debba considerare, per le concrete modalità ed i rischi anche mortali, equivalente ad una campagna di guerra vera e propria.
Tuttavia, secondo la difesa erariale, la pretesa equiparazione sarebbe difatti sostenuta dal rimettente poggiandola unicamente sui rischi anche mortali che si correrebbero nelle missioni svolte per conto dell’ONU ma, diversamente, prosegue il Presidente del Consiglio, il TAR non avrebbe tenuto in adeguato conto la vigente normativa, dalla quale emergerebbe chiaramente la non sovrapponibilità tout court delle campagne di guerra con le missioni svolte per conto dell’ONU, che sarebbero inequivocabilmente missioni di pace, tanto che nell’ordinamento giuridico non vi sarebbe una norma apposita che equipari espressamente le missioni di pace per conto dell’ONU alle «campagne di guerra», come quelle del 1915-1918 e del 1940-1945.
Inoltre, di fatto si tratterebbe di situazioni assolutamente differenti: le missioni per conto dell’ONU sarebbero operazioni c.d. di peacekeeping, volte a garantire sicurezza ed aiuto a milioni di persone, sostenendo nel contempo le fragili istituzioni che sorgono nella fase post-bellica; le campagne di guerra sarebbero, invece, situazioni di conflitto bellico fra Stati sovrani o coalizioni per la risoluzione di una controversia internazionale.
Infine, il Presidente del consiglio evidenzia che l’eventuale accoglimento della questione sollevata esporrebbe l’erario a notevoli esborsi economici, dovendosi riconoscere la supervalutazione in argomento ai moltissimi militari che hanno partecipato nel tempo alle missioni di pace per conto dell’ONU; esborsi, oltretutto, imprevedibili e non calcolabili, considerato che la pretesa economica andrebbe estesa anche a tutti i partecipanti alle future missioni in teatri operativi internazionali.
3.– E’ intervenuto altresì nel presente giudizio l’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per il Friuli-Venezia Giulia sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata. Premette l’INPS di non essere stato evocato nel giudizio pendente dinanzi al TAR friulano, ma nondimeno ritiene di vantare comunque un interesse qualificato ed immediatamente inerente al rapporto dedotto nel giudizio a quo, tale da poter essere inciso dalla decisione del giudice rimettente adottata in esito al giudizio incidentale di legittimità costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 244 del 2014; nn. 134 e 116 del 2013; n. 223 del 2012; nn. 304, 293 e 199 del 2011; n. 151 del 2009). Al riguardo evidenzia che i benefici reclamati dagli attori nel giudizio di merito, tutti appartenenti alle Forze armate dello Stato, si riferiscono a prestazioni pensionistiche e previdenziali la cui gestione ed erogazione è ora normativamente prevista tra i compiti istituzionali dell’INPS, in quanto succeduto ex lege all’INPDAP: le domande dei ricorrenti tendono a conseguire il riconoscimento del diritto alla supervalutazione dei servizi resi per conto dell’ONU in zona d’intervento, con effetti incidenti sia sul trattamento pensionistico, sia sull’indennità di buonuscita, prestazioni entrambe gestite ed erogate dall’INPS.
3.1.– Tanto premesso, l’Istituto interveniente deduce innanzi tutto l’inammissibilità della questione di costituzionalità in quanto il TAR avrebbe denunciato la lesione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. sul presupposto di una piena ed incondizionata equiparabilità dell’attività svolta dal personale militare dello Stato per conto dell’ONU, nelle zone d’intervento individuate dallo Stato Maggiore della difesa, alle «campagne di guerra», ma non avrebbe minimamente indicato quali siano gli elementi identitari delle fattispecie poste a confronto; difatti, si prosegue, il rimettente avrebbe fatto unicamente menzione all’equiparabile rischio mortale presente in entrambe le situazioni; neppure, secondo l’INPS, il giudice a quo avrebbe argomentato per quale ragione non sarebbe possibile addivenire, pur considerato il dedotto diritto vivente costituito dall’orientamento di opposto segno del Consiglio di Stato, ad una interpretazione della norma costituzionalmente orientata nel senso fatto proprio nell’atto di promovimento.
Secondo l’istituto previdenziale ulteriore profilo di inammissibilità della questione sollevata sarebbe costituito dal fatto che il TAR per il Friuli Venezia Giulia avrebbe errato nell’impugnare solamente l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 e non anche – o piuttosto – il primo comma dell’art. 1 della legge n. 390 del 1950, disposizione che invece limita il riconoscimento delle campagne di guerra ai soli combattenti impegnati nelle operazioni che si sono svolte nell’arco temporale ricompreso dal 1° giugno 1940 all’8 maggio 1945.
Rammenta l’INPS che, in base al principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione (è richiamata tra le altre l’ordinanza n. 36 del 2015), le predette carenti indicazioni del giudice rimettente non potrebbero in alcun modo essere ora integrate attraverso una autonoma indagine effettuata sugli atti dei giudizi a quibus.
Nel merito, secondo l’INPS la questione sarebbe infondata in quanto, pur non disconoscendo il valore fondamentale delle missioni di pace ed il rischio effettivamente insito in tale tipo di attività, resterebbero indubbiamente delle differenze sostanziali rispetto agli eventi bellici che hanno caratterizzato il secolo scorso e che quindi ben potrebbero giustificare una diversità di disciplina, sia sotto il profilo pensionistico che previdenziale. Al riguardo, secondo l’INPS la natura, i presupposti e le finalità che hanno connotato l’intervento in guerra da parte del nostro Paese nel secondo conflitto mondiale sarebbero del tutto differenti rispetto a quelli che giustificano ora una specifica missione di pace.
Infine, osserva l’Istituto previdenziale che la disciplina normativa censurata dal giudice rimettente era stata emanata in un contesto di crescita economica in cui ben poteva giustificarsi una supervalutazione di alcuni specifici servizi, peraltro resi al Paese nel contesto di un evento assolutamente unico ed eccezionale; diversamente, si prosegue, nell’attuale situazione economica – caratterizzata da una diffusa ed ormai protratta crisi economica che ha inciso profondamente in tutti i campi, ma particolarmente in tema di quiescenza e di previdenza, comportando un innalzamento dei requisiti per ottenere le prestazioni ed un diverso meccanismo di computo al fine di garantire un significativo risparmio di spesa – la diversità di disciplina censurata dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia non apparirebbe meritevole di censura.
4.– Sono intervenuti nei giudizi iscritti ai nn. 73, 77 e 79 del reg. ord. del 2015, rispettivamente, i sigg. M. B., A. S., D. D. B. ed altri, ricorrenti nei giudizi a quibus pendenti presso il TAR per il Friuli Venezia Giulia, e tutti difesi dall’avv. Luciano Quarta.
Espongono i medesimi di essere ufficiali, sottufficiali e graduati dell’Esercito italiano in servizio permanente effettivo, e di aver svolto servizio fuori area, prendendo parte ad una serie di missioni in zone di intervento tutte ricomprese nell’elencazione contenuta nella determinazione dello Stato Maggiore difesa in data 11 gennaio 2007 (Afghanistan, Iraq, Egitto, Somalia, Eritrea, etc.), successivamente aggiornata nel 2013.
Secondo i medesimi i benefici segnatamente riconosciuti ai combattenti ai sensi dell’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 dovrebbero essere estesi, per effetto dell’art. unico della legge n. 1746 del 1962 anche a quei militari che hanno preso parte a quelle missioni in aree geografiche espressamente individuate dallo Stato Maggiore difesa, così come indicato al secondo comma dell’articolo unico citato, alle condizioni e nei termini dettati dalla legge n. 390 del 1950, che quindi stabilirebbe quando sorga il diritto al riconoscimento della campagna di guerra. Il meccanismo sarebbe poi completato da un atto amministrativo di determinazione, con cadenza biennale, dello Stato Maggiore difesa, che elenca ed individua le zone di intervento in cui lo svolgimento del servizio comporta il riconoscimento della «campagna di guerra».
In relazione alla non manifesta infondatezza della questione, osservano innanzi tutto i ricorrenti che dalla tesi sostenuta dal Consiglio di Stato nell’ambito della citata sentenza n. 5172 del 2014, deriverebbe che il beneficio esteso al personale in missione ONU, introdotto dall’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, sarebbe limitato ad un effetto acceleratorio sulla maturazione degli scatti stipendiali, per di più attualmente precluso per il personale militare di rango non dirigenziale, in ragione del mutamento del sistema retributivo, mentre tutto il personale militare, di ogni carriera e grado, che prendesse parte ad una missione con caratteristiche sostanziali del tutto identiche, ma caratterizzata dall’attribuzione della definizione formale di guerra, non avrebbe diritto a conseguire il beneficio di cui all’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973.
Tanto condurrebbe, secondo i ricorrenti, ad una evidente sperequazione che richiederebbe di riflettere sul concetto giuridico di guerra, laddove attualmente l’ipotesi della guerra, intesa come l’evento costituito dalla formale contrapposizione di due governi legittimi ed internazionalmente riconosciuti avrebbe assunto una dimensione marginale, rispetto ad altri fenomeni, quali quello della c.d. “guerra asimmetrica” in cui eserciti regolari si trovano a fronteggiare organizzazioni con chiara capacità ed intenti offensivi, muniti di armi, spesso non dichiaratamente riconducibili a governi e variamente definite (insorti, terroristi, etc.).
Ma in entrambi i casi, secondo i ricorrenti, si avranno combattimenti, uso delle armi, perdite umane, distruzione di beni, profughi, rifugiati, ecc.; come sarebbe avvenuto in molte missioni internazionali di pace quali quelle in Somalia, Balcani, Iraq, Afghanistan, Libano. In tali contesti difetterebbe solamente la formale dichiarazione dello stato di guerra, tanto che anche il diritto internazionale nel definire gli eventi bellici terrebbe conto degli aspetti sostanziali, riferendosi non tanto ad un astratto e formale concetto giuridico di guerra ma di conflitto armato, laddove l’elemento realmente caratterizzante sarebbe proprio quello di un conflitto e si prescinderebbe dall’elemento costituito dalla formale contrapposizione tra eserciti regolari, espressione di governi stranieri legittimi, e dalla formale dichiarazione di guerra dall’uno all’altro.
Secondo i ricorrenti pertanto la partecipazione ad un conflitto armato caratterizzerebbe in modo identico sia il servizio svolto dal personale che opera nell’ambito di una missione di guerra che quello del personale impiegato in una cosiddetta “missione di pace”.
Nondimeno, secondo i medesimi della disciplina impugnata potrebbe darsi anche una interpretazione costituzionalmente orientata, laddove si ritenesse che l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 consenta tutt’ora l’estensione ai militari partecipanti a missioni ONU del beneficio previsto dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, purché vi sia il riconoscimento di una «campagna di guerra», riconoscimento che sarebbe disciplinato dall’art. 3 della legge n. 390 del 1950 e che sarebbe completato con la periodica determinazione da parte dello Stato Maggiore della difesa.
5.– Sono intervenuti nei giudizi iscritti ai nn. 78 ed 80 del reg. ord. 2015, rispettivamente, anche i sigg. V. L., F. F. ed altri, tutti difesi dall’avv. Giacomo Crovetti.
Espongono i medesimi che la disposizione impugnata pone in relazione diretta lo status del soggetto destinatario dei benefici (aver prestato servizio in missioni a guida ONU – elemento soggettivo) con i benefici in oggetto (spettano tutti quei benefici riconoscibili ed attribuibili ai combattenti – elemento oggettivo) senza limitazione alcuna, sicché ogni ulteriore condizione che fosse introdotta in via interpretativa, verrebbe a ledere il principio di eguaglianza sostanziale, introducendo delle disparità assenti nel dettato legislativo.
Evidenziano inoltre che, contrariamente alla giurisprudenza amministrativa relativa al personale in servizio, quella della Corte dei conti relativa al personale in quiescenza è conformemente e costantemente orientata in favore dei ricorrenti (salvo rare decisioni di segno contrario). Ne deriverebbe che il personale in servizio non vedrebbe applicati i richiesti benefici combattentistici, contrariamente a quello in quiescenza; ciò si tradurrebbe nella necessità per il personale in servizio di transitare in quiescenza per vedersi riconosciuti detti benefici attraverso il ricorso alla Corte dei conti mentre, in realtà, si sostiene, tali benefici avrebbero anche la funzione proprio di favorire l’eventuale transito in quiescenza e, pertanto, necessariamente richiederebbero di essere applicati anche al personale in servizio, al fine di evitare disparità di trattamento tra identiche situazioni di fatto e diritto.
Evidenziano inoltre l’incoerenza dell’Amministrazione della difesa che, da un lato contrasterebbe le tesi dei ricorrenti sostenendo che i benefici combattentistici non troverebbero più luogo, ma dall’altro continua a pubblicare la Direttiva emessa dallo Stato Maggiore difesa con la quale vengono rese note le missioni internazionali a cui sono applicabili i benefici di cui alla legge n. 1746 del 1962.
Nel merito, i predetti ricorrenti sostengono la totale equiparabilità delle attuali missioni di pace alle campagne militari. L’aumento di tali missioni, a partire dagli anni ’90 avrebbe anzi reso più attuale la disposizione impugnata.
Il criterio discretivo comune sarebbe quindi solo la presenza di un tangibile rischio di assoggettamento ad atti od intenti ostili conseguenti all’espletamento della missione ONU da parte del personale impiegato in teatro operativo. D’altro canto, osservano i medesimi ricorrenti, il concetto stesso di guerra sarebbe profondamente mutato rispetto al passato, alla luce delle recenti esperienze maturate a decorrere dalla prima guerra del Golfo, sicché sarebbe impossibile delimitare tale concetto riferendosi alle sole esperienze dei passati conflitti mondiali, in violazione del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
6.– Ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, per violazione dell’art. 3 Cost., anche il TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con ordinanza iscritta al n. 35 del reg. ord. 2016.
Espone il giudice a quo che i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla supervalutazione, ai sensi dell’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 1997, sia ai fini previdenziali, sia, con relativo riscatto, per la liquidazione dell’indennità di buonuscita, con riferimento al periodo di servizio svolto per conto dell’ONU, essendo stati impiegati in zone operative, per periodi pari o superiori a tre mesi.
I medesimi, pertanto, chiedono l’applicazione, nei loro confronti, dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, che estende al personale militare, in servizio per conto dell’ONU in località operative, i benefici combattentistici previsti dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’art. 3 della legge n. 360 del 1990, dall’art. 5 del d.lgs. n.165 del 1997, dall’art. 1, comma 99, della legge n. 662 del 1996, dagli artt. 15 e 24 del d.P.R. n. 1032 del 1973.
Nondimeno, prosegue il TAR rimettente, tali benefici non sarebbero applicabili ai ricorrenti, in quanto la legge n. 1746 del 1962 riguarderebbe solamente coloro che hanno partecipato alle «campagne di guerra» nel periodo 11 giugno 1940 – 08 maggio 1945.
Il TAR abruzzese espone che la questione non potrebbe essere accolta stante la puntuale previsione del beneficio, per le sole «campagne di guerra», cui il legislatore non avrebbe mai equiparato le missioni per conto dell’ONU, che non avrebbero carattere bellico ed operano in tempo di pace. Difetterebbe in proposito lo «stato di guerra» che, si prosegue, è una dichiarazione rientrante nelle prerogative del Capo dello Stato (a mente dell’art. 87, comma nono, Cost.) e non dello Stato Maggiore della difesa. Inoltre, evidenzia il rimettente, la legge n. 824 del 1971 esclude espressamente (art. 5, comma 2) il personale di cui alla legge n. 1746 del 1962 e parimenti anche il d.P.R. n. 1092 del 1973 richiama gli artt. 19, 20, 21 e 22, ma non l’art.18, riferito alla «campagna di guerra», che non sarebbe quindi applicabile alle operazioni in tempo di pace, così come dicasi per l’art. 1858 del cod. ord. mil., che richiama tale disposizione.
Al riguardo, evidenzia il giudice a quo che sul punto vi sarebbe un costante orientamento giurisprudenziale (confermato anche di recente dal Consiglio di Stato, sezione quarta, con la decisione n. 5172 del 2014), che peraltro darebbe rilevanza alla sollevata questione di costituzionalità: ne deriverebbe in sostanza una unilaterale esclusione dai benefici combattentistici per il personale militare che ha operato nelle cosiddette zone d’intervento ONU; peraltro, osserva il rimettente che si tratterebbe di un beneficio economico che, per essere riscattato ai fini della buonuscita, dovrebbe essere usufruito in costanza del servizio, circostanza che darebbe fondatezza all’eccezione d’incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost.
Conclusivamente, il TAR abruzzese ritiene di sollevare la questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, «in base all’illustrata discriminazione, posta nell’ambito del settore militare, tra le diverse qualifiche del personale, con violazione dell’art. 3 Costituzione».
7.– Ha svolto atto di intervento in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri.
Il patrocinio erariale, premessa un’articolata descrizione dell’ambito normativo di rilievo, ha eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dal TAR per l’Abruzzo per incompleta ricostruzione del quadro normativo, incompleta descrizione della fattispecie e comunque per mancato esperimento di una soluzione costituzionalmente orientata. Nel merito, il Presidente del Consiglio ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata stante l’erroneo accostamento di situazioni differenti, ossia le missioni di pace svolte per conto dell’ONU e le campagne di guerra del periodo 1940-1945.
8.– E’ altresì intervenuto nel presente giudizio l’INPS. L’Istituto previdenziale ha dedotto l’inammissibilità della questione sollevata in quanto non verrebbero «adeguatamente esplicitate le motivazioni per cui si invoca l’esclusione unilaterale dai benefici, nonché la necessità di aver fruito del beneficio in costanza di servizio». Nel merito ritiene che la questione sia infondata stante l’esistenza di differenze sostanziali tra l’intervento in guerra da parte dell’Italia nel secondo conflitto mondiale rispetto alle missioni di pace svolte per conto dell’ONU.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, con nove ordinanze di analogo contenuto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in servizio per conto dell’O.N.U. in zone d’intervento, dei benefici combattentistici), in riferimento all’art. 3 Cost.
Il giudice a quo riferisce di essere stato adito da numerosi dipendenti del Ministero della difesa, tutti ufficiali, sottufficiali, graduati e militari, i quali hanno agito contro il Ministero della difesa chiedendo il riconoscimento dei cosiddetti benefici combattentistici previsti dall’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, dall’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), dall’art. 3 della legge 24 aprile 1950, n. 390 (Computo delle campagne della guerra 1940-45), dall’art. 5 del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 165 (Attuazione delle deleghe conferite dall’articolo 2, comma 23, della L. 8 agosto 1995, n. 335, e dell’articolo 1, commi 97, lettera g), e 99 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 in materia di armonizzazione al regime previdenziale generale dei trattamenti pensionistici del personale militare, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché del personale non contrattualizzato del pubblico impiego.
I ricorrenti, in qualità di militari impiegati in missioni di pace svolte per conto dell’ONU, aspirerebbero innanzi tutto ad ottenere il beneficio previsto dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, comportante la cosiddetta supervalutazione dei periodi di svolgimento di servizio in missioni per conto dell’ONU, mediante la quale si otterrebbe il riconoscimento di periodi di anzianità figurativa, utili sia ai fini del conseguimento anticipato della pensione che dell’incremento del trattamento di buonuscita.
Il rimettente riferisce che alcuni tribunali amministrativi regionali (TAR per il Friuli Venezia Giulia, sentenza n. 450 del 2014, e TAR per la Lombardia, sentenza n. 1168 del 2014), pronunciandosi su identiche questioni, avevano riconosciuto il beneficio richiesto; nondimeno, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5172 del 2014, che costituirebbe attualmente il diritto vivente in materia, ha affermato che l’interpretazione corretta dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 limiterebbe il beneficio della supervalutazione solamente alle campagne di guerra svoltesi negli anni 1940-1945. Per tali motivi, il giudice a quo solleva d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, così come interpretato dal Consiglio di Stato nella predetta decisione, e cioè in quanto esso si riferirebbe unicamente al beneficio previsto per le campagne di guerra della seconda guerra mondiale.
A suo avviso l’attività svolta dai militari italiani per conto dell’ONU nelle cosiddette missioni di pace o equiparate si dovrebbe considerare, per le concrete modalità ed i rischi anche mortali, equivalente ad una campagna di guerra vera e propria, anche se le finalità siano ovviamente quelle di mantenere o di ripristinare la pace.
Pertanto, la limitazione dei benefici previsti espressamente dalla disposizione impugnata alle sole attività belliche della seconda guerra mondiale costituirebbe una disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente identiche e quindi violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 Cost.
2.– Anche il TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con ordinanza iscritta al n. 35 del reg. ord. 2016, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 in riferimento all’art. 3 Cost. .
Il giudice a quo espone che i ricorrenti hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla supervalutazione con riferimento al periodo di servizio svolto per conto dell’ONU ed, in via subordinata, hanno eccepito l’incostituzionalità dei limiti applicativi della medesima norma in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost.
Il TAR riferisce che i ricorrenti sono stati impiegati dall’ONU, in zone operative, per periodi pari o superiori a tre mesi e chiedono l’applicazione, nei loro confronti, dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, che estende al personale militare, in servizio per conto dell’ONU in località operative, i benefici combattentistici previsti dagli artt. 15 e 24 del d.P.R. n. 1032 del 1973, dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dall’art. 3 della legge n. 360 del 1990, dall’art. 5 del d.lgs. n.165 del 1997 e dall’art. 1, comma 99 della legge n. 662 del 1996.
Nondimeno, prosegue il rimettente, tali benefici non sarebbero applicabili ai ricorrenti in quanto la legge n. 1746 del 1962 riguarderebbe solamente coloro che hanno partecipato alle campagne di guerra nel periodo 11 giugno 1940 – 08 maggio 1945, mentre le missioni svolte per conto dell’ONU non sarebbero tali.
Il TAR per l’Abruzzo espone che la pretesa non potrebbe essere accolta stante la puntuale previsione del beneficio per le sole «campagne di guerra», cui il legislatore non avrebbe mai equiparato le missioni per conto dell’ONU, che non avrebbero carattere bellico ed operano in tempo di pace. Difetterebbe in proposito lo «stato di guerra» che è una dichiarazione rientrante nelle prerogative del Capo dello Stato (a mente dell’art. 87, nono comma, Cost.) e non dello Stato maggiore della difesa. Inoltre, evidenzia il rimettente, la legge 9 ottobre 1971, n. 824 (Norme di attuazione, modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed assimilati), esclude espressamente (art. 5, comma 2) il personale di cui alla legge n. 1746 del 1962 e parimenti nel d.P.R. n. 1092 del 1973 sono richiamati gli artt. 19, 20, 21 e 22, ma non anche l’art.18, riferito alla campagne di guerra, che sarebbe quindi inapplicabile alle operazioni in tempo di pace, così come l’art. 1858 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’Ordinamento militare), che richiama tale disposizione.
Al riguardo, il giudice a quo rammenta l’orientamento giurisprudenziale espresso dalla decisione del Consiglio di Stato, sezione quarta, n. 5172 del 2014, che confermerebbe l’unilaterale esclusione dai benefici combattentistici per il personale militare che ha operato in “zone d’intervento” ONU.
Conclusivamente, il TAR per l’Abruzzo solleva la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 «in base all’illustrata discriminazione, posta nell’ambito del settore militare, tra le diverse qualifiche del personale, con violazione dell’art. 3 Costituzione».
3.– I giudizi devono essere riuniti, riguardando la medesima disposizione e potendo essere definiti con un’unica pronuncia.
4.– La questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, è inammissibile.
Il giudice a quo si è limitato ad indicare il parametro costituzionale (art. 3 Cost.) senza minimamente enunciare le ragioni della denunciata discriminazione e quindi i motivi di contrasto tra la norma censurata ed il parametro invocato.
5.– Come disposto con ordinanza letta all’udienza del 4 ottobre 2016 l’intervento dell’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) è ammissibile sebbene lo stesso non fosse parte nei giudizi pendenti davanti al TAR per il Friuli Venezia Giulia. L’INPS difatti, pur non essendo parte del giudizio principale, è portatore di un interesse qualificato, direttamente collegato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e, conseguentemente, suscettibile di essere inciso dall’esito del processo principale in quanto ente preposto all’erogazione delle prestazioni reclamate dai ricorrenti (sentenza n. 244 del 2014 ed allegata ordinanza emessa all’udienza del 7 ottobre 2014).
6.– Le eccezioni di inammissibilità sollevate dall’Avvocatura Generale dello Stato e dall’INPS circa l’insufficiente ricostruzione del quadro normativo da parte dei giudici rimettenti non sono fondate.
Ancorché le ordinanze di rimessione non contengano la ricostruzione completa del vastissimo quadro normativo di riferimento dei benefici combattentistici, nondimeno il richiamo alle provvidenze previste dalla partecipazione alle «campagne di guerra» rende sufficiente ed univoco il collegamento tra la legge impugnata e la pretesa equiparazione ai «combattenti».
Tale collegamento, tuttavia, è precluso dall’interpretazione adottata dal Consiglio di Stato nella citata sentenza n. 5172 del 2014. In questi termini la ricostruzione del TAR per il Friuli Venezia Giulia risulta coerente con la premessa ermeneutica e rende sufficientemente chiara la rilevanza della questione sollevata.
Parimenti, non è fondata l’eccezione d’inammissibilità sollevata dalla difesa erariale per il mancato esperimento da parte del giudice a quo del tentativo di individuare una diversa interpretazione della norma in senso costituzionalmente orientato.
Secondo il rimettente la predetta decisione del Consiglio di Stato, unitamente al rilievo che ad essa si sono rapidamente adeguati altri tribunali amministrativi regionali, avrebbe fatto sorgere un diritto vivente in materia.
In proposito, può invero revocarsi in dubbio che una sola pronuncia del giudice amministrativo di appello, seppur seguita da altre decisioni conformi di vari organi giurisdizionali di primo grado, abbia già determinato l’insorgenza di un diritto vivente sull’interpretazione dell’articolo unico oggetto di censura.
Tuttavia, pur assumendo il difetto di un vero e proprio diritto vivente, si deve tenere conto della circostanza che un’eventuale pronuncia di dissenso da parte del TAR rimettente lo avrebbe esposto ad una assai probabile riforma della propria decisione. In situazioni come queste, se il giudice non si determinasse a sollevare la questione di legittimità costituzionale, l’alternativa sarebbe dunque solo adeguarsi ad una interpretazione che non si condivide o assumere una pronuncia in contrasto, probabilmente destinata ad essere riformata. In tale ipotesi, quindi, la via della proposizione della questione di legittimità costituzionale costituisce l’unica idonea ad impedire che continui a trovare applicazione una disposizione ritenuta costituzionalmente illegittima.
Al riguardo, si osserva ulteriormente che, in considerazione della struttura della norma censurata, la soluzione prescelta dal giudice rimettente, cioè di ritenere l’interpretazione data dal Consiglio di Stato non altrimenti superabile, tanto più essendo essa in via di consolidamento, non pare implausibile e non lascia spazio in concreto alla sperimentazione di altre opzioni, dato che tutte comunque verrebbero a confliggere con quella fatta propria dal giudice amministrativo di appello. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri, la questione proposta non si risolve nella mera ricerca di un avallo interpretativo da parte di questa Corte. Infatti, una volta che il giudice abbia consapevolmente scelto in modo non implausibile una determinata interpretazione della norma, che ritiene non superabile, «la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità» (sentenza n. 221 del 2015).
È altresì priva di fondamento l’eccezione sollevata dall’INPS secondo la quale il giudice avrebbe errato nel sollevare la questione di legittimità costituzionale del solo articolo unico della legge n. 1746 del 1962 e non anche di questo in combinato disposto con l’art. 1, primo comma, della legge n. 390 del 1950 (laddove esso ne limiterebbe l’applicabilità alle «campagne di guerra del 1940-45»), se non, addirittura, solamente di quest’ultima disposizione.
Si osserva in proposito che il rimettente avrebbe potuto prestare ossequio all’interpretazione del Consiglio di Stato ed in tal caso ne sarebbe derivata l’irrilevanza dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962, mentre avrebbero assunto rilievo esclusivo altre disposizioni (quali l’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 e l’art. 1 della legge n. 390 del 1950), suscettibili di essere denunciate per aver esse previsto che i benefici sono riservati ai soli partecipanti alle «campagne di guerra» e non invece anche ai partecipanti alle missioni ONU. Ma, come già detto, la diversa opzione interpretativa prescelta dal rimettente, in conformità ai nuovi orientamenti della giurisprudenza amministrativa, non è implausibile e quindi la disposizione impugnata mantiene la sua rilevanza nel percorso decisionale a cui è chiamato.
7.– Venendo al merito, occorre innanzitutto sottolineare come non possa essere accolto l’argomento della difesa erariale, che ha prospettato le conseguenze pregiudizievoli per le casse dell’Erario in ragione dell’elevato numero di ricorrenti.
Se «appartiene alla discrezionalità legislativa, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire i modi e la misura dei trattamenti di quiescenza, nonché le variazioni dell’ammontare delle prestazioni, attraverso un bilanciamento fra valori contrapposti che contemperi le esigenze di vita dei beneficiari con le concrete disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio» (sentenza n. 372 del 1998), nondimeno la prospettazione del rilevante impegno finanziario derivante per le casse dello Stato dell’accoglimento della questione sollevata non può di per sé rappresentare una preclusione all’accoglimento, ma semmai un elemento da tenere in considerazione, ove dettagliatamente documentato dallo Stato, nel bilanciamento degli interessi coinvolti nel giudizio costituzionale.
8.– Tutto ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 sollevata dal TAR per il Friuli Venezia Giulia in riferimento all’art. 3 Cost. non è fondata.
Innanzitutto, si deve evidenziare che il giudice a quo nelle ordinanze di rimessione non riporta fedelmente il contenuto della sentenza n. 5172 del 2014 del Consiglio di Stato che – a suo dire – costituirebbe diritto vivente. Al riguardo deve precisarsi che tale decisione ha escluso che l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 si riferisca alla legge n. 390 del 1950, dacché tale provvedimento riguarderebbe solamente quei militari che hanno preso parte a campagne di guerra del secondo conflitto mondiale; diversamente, detta decisione ha ritenuto che il riferimento si dovesse intendere rivolto ai benefici concernenti aumenti stipendiali attribuiti ai combattenti in forza dell’art. 7 del regio decreto-legge 27 ottobre 1922, n. 1427, «concernente il trattamento economico degli ufficiali e dei sottufficiali del Regio esercito, della Regia guardia di finanza e della Regia guardia per la pubblica sicurezza».
Nondimeno, tale imprecisione non muta la sostanza della questione, che appunto è imperniata sulla negazione che l’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 possa valere ad estendere ai militari impegnati in missioni per conto dell’ONU i benefici previsti in disposizioni entrate in vigore in periodi successivi, in primis quello contemplato dall’art. 18, comma 1, del d.P.R. n. 1092 del 1973, il quale prevede che «il servizio computabile è aumentato di un anno per ogni campagna di guerra riconosciuta ai sensi delle disposizioni vigenti in materia».
8.1.– Pertanto l’inquadramento corretto della questione non può prescindere dalla considerazione del tempo e delle circostanze che costituirono l’occasio legis della disposizione impugnata, nonché la successiva evoluzione del complessivo quadro normativo di riferimento. Le circostanze dell’adozione della legge, rese esplicite dagli atti parlamentari (l’uccisione di numerosi militari italiani impiegati in Kindu, ex Congo belga, avvenuta nel novembre del 1961), evidenziano una situazione a quel tempo del tutto nuova (la partecipazione delle forze armate italiane a missioni in zone di conflitto per conto dell’ONU) ed in gran parte sfornita di adeguata disciplina specifica. Di qui la soluzione legislativa di estendere al personale partecipante alla missione la disciplina prevista per le campagne di guerra.
Solo molti anni dopo e in un contesto profondamente mutato, dal punto di vista sia internazionale che dell’ordinamento militare italiano, la proliferazione delle cosiddette “missioni di pace” sotto l’egida delle Nazioni Unite ha prodotto una legislazione specifica, di regola dettata per singole missioni o per gruppi di missioni. Tra i tanti provvedimenti si possono ricordare il decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 1 (Disposizioni urgenti per prorogare la partecipazione militare italiana a missioni internazionali di pace), convertito dall’art. 1, comma 1, della legge 7 marzo 2000, n. 44, nonché l’art. 3 della legge 3 agosto 2009, n. 108 (Proroga della partecipazione italiana a missioni internazionali). Inoltre una disciplina di carattere generale è stata adottata di recente con la legge 21 luglio 2016, n. 145 (Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali), in vigore dal 31 dicembre 2016.
Tali provvedimenti legislativi contengono tra l’altro previsioni dettagliate in materia di trattamento economico e previdenziale, di indennità di missione e di coperture assicurative specifiche in favore del personale militare coinvolto.
Difatti, ai suddetti militari in servizio all’estero è stato riconosciuto: il trattamento di missione all’estero (regio decreto 3 giugno 1926, n. 941 (Indennità al personale dell’amministrazione dello Stato incaricato di missione all’estero), rideterminato di volta in volta e graduato a seconda dei diversi teatri operativi; la percezione di altre indennità o rimborsi, tra le quali l’indennità di lungo servizio all’estero: legge 8 luglio 1961, n. 642, recante «Trattamento economico del personale dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica destinato isolatamente all’estero presso Delegazioni o Rappresentanze militari ovvero presso enti, comandi od organismi internazionali»; l’estensione delle disposizioni in materia di missione all’estero: art. 1 della legge 18 maggio 1982, n. 301, recante «Norme a tutela del personale militare in servizio per conto dell’ONU in zone di intervento»; si vedano ora al riguardo gli artt. 1807 e 1808 del cod. ord. mil.); il godimento di un trattamento assicurativo specifico (si vedano tra gli altri: l’art. 3 del decreto-legge 28 dicembre 2001 n. 451, recante «Disposizioni urgenti per la proroga della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali» – convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2002, n. 15; l’art. 10 del decreto-legge 19 gennaio 2005, n. 3, recante «Proroga della partecipazione italiana alla missione internazionale in Iraq e misure di incentivazione della produttività del personale dei Ministeri della difesa e degli affari esteri» – convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 18 marzo 2005, n. 37; l’art. 39-viciesbis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, recante «Definizione e proroga di termini, nonché conseguenti disposizioni urgenti», convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 23 febbraio 2006, n. 51).
Quindi, per effetto del mutato contesto internazionale e dell’evoluzione dell’ordinamento militare, l’interprete non può più arrestarsi alla generale equiparazione posta dalla disposizione impugnata tra i militari impegnati in missioni per conto dell’ONU ed i «combattenti» impegnati in «campagne di guerra», in quanto per i primi il legislatore ha di volta in volta individuato regole specifiche incidenti sul trattamento retributivo e pensionistico nonché dirette anche a compensare gli specifici rischi connessi agli interventi.
Al riguardo è significativo rammentare il comma 39 dell’art. 39-vicies semel (rubricato: «Partecipazione di personale militare a missioni internazionali») del d.l. n. 273 del 2005 (ora sostituito dall’art. 1808, comma 2, del cod. ord. mil.), a mente del quale i trattamenti economici previsti in favore dei militari in questione sono erogati anche per compensare disagi e rischi collegati al loro impiego nei teatri operativi.
Inoltre, in occasione dell’adozione delle disposizioni successive, il legislatore ha sempre dimostrato di aver avuto ben presente la distinzione tra le campagne di guerra e le missioni ONU, tanto che ha ritenuto di estendere ai partecipanti alle suddette missioni alcune provvidenze riservate alle campagne di guerra (l’art. 2, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978, n. 915, recante «Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra», ha esteso ai militari la spettanza della pensione, assegno o indennità di guerra), mentre per le altre ha escluso espressamente tale estensione (l’art. 5, comma 2, della legge 9 ottobre 1971, n. 824, recante «Norme di attuazione, modificazione ed integrazione della legge 24 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti dello Stato ed enti pubblici ex combattenti ed assimilati», precisa che le disposizioni della legge 24 maggio 1970, n. 336, recante «Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati», «non si applicano al personale di cui alla legge 11 dicembre 1962, n. 1746»).
Peraltro, il concetto di “combattente” è stato a suo tempo individuato con riferimento ai partecipanti a vario titolo al secondo conflitto mondiale, come testimonia il decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137 (Norme per la concessione dei benefici ai combattenti della seconda guerra mondiale), il quale individua i destinatari di tali benefici (militari, militarizzati, prigionieri e partigiani).
In proposito, questa Corte ha già affermato che «Il decreto legislativo 4 marzo 1948, n. 137, come modificato dalla legge n. 93 del 1952, costituisce la fonte normativa cui occorre riferirsi per la qualifica di “combattente” e per l’individuazione dei requisiti – comprese le cause di esclusione – che definiscono l’ambito soggettivo di applicazione dei benefici combattentistici. Tanto i requisiti che le cause di esclusione fissate dal decreto hanno portata generale perché determinano, circoscrivendola, la categoria dei combattenti ai fini dell’individuazione dei destinatari dei benefici (già) previsti (all’epoca dell’entrata in vigore della normativa: art. 1, primo comma) nonché di quelli riconosciuti da leggi successive (sentenza n. 234 del 1989)» (sentenza n. 211 del 1993).
Con specifico riferimento poi all’art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, che prevede il beneficio reclamato dai ricorrenti, è opportuno ricordare che nei lavori preparatori del Codice dell’ordinamento militare e del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (sono significative in proposito le note a pié di testo all’articolato degli schemi dei provvedimenti posti all’esame del Consiglio di Stato, Commissione Speciale Difesa, Adunanza del 10 febbraio 2010, nn. 149 e 152) viene affermato, con riferimento all’art. 1858 cod. ord. mil., che, pur trattandosi di norma non più attivata in favore dei militari appartenenti a contingenti inviati in missione all’estero, «la conservazione dell’art. 18 (campagne di guerra) del d.P.R. n. 1092 del 1973 nell’ordinamento giuridico è, però, opportuna, tenuto conto dei rischi conseguenti al verificarsi di una crisi internazionale».
Tale osservazione conferma la volontà del legislatore di riservare l’applicabilità di tale disposizione a situazioni ben diverse da quelle dell’impiego di militari nelle missioni ONU.
Ed infatti, la legge n. 108 del 2009, mentre da un canto con l’art. 3, comma 4, in virtù del rinvio posto all’art. 19 del d.P.R. n. 1092 del 1973, prevede l’aumento di un terzo del servizio prestato sulla costa in tempo di guerra, estendendo quindi ai militari in questione un trattamento all’origine riservato a chi prestava il servizio «in tempo di guerra», di contro non applica ai suddetti militari anche il precedente art. 18 del medesimo d.P.R., rendendo così evidente come tale opzione derivi direttamente da una consapevole scelta del legislatore che ha inteso riservare l’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per il caso di sopravvenienza di una nuova crisi internazionale, fonte di situazioni estreme.
In sostanza, l’esame della disciplina entrata in vigore successivamente alla legge impugnata restituisce un quadro particolarmente articolato, stratificatosi nel corso degli ultimi decenni, nei quali buona parte dei benefici sono stati destinati esclusivamente a soggetti coinvolti a vario titolo nell’ultimo conflitto mondiale. Solo alcuni di tali benefici sono stati successivamente estesi anche ai militari impiegati nelle missioni ONU.
Di contro, a quei soggetti che dovessero assumere in futuro la qualifica di veri e propri “combattenti”, anche al di fuori del servizio militare svolto professionalmente, attualmente l’ordinamento riserva la particolare provvidenza prevista dall’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, giusta il richiamo posto dall’art. 1858 cod. ord. mil.
Il tutto risulta quindi frutto di scelte discrezionali del legislatore non irragionevoli. Tale assunto è confermato proprio dalla disciplina delle missioni svolte per conto delle Nazioni Unite, per le quali le disposizioni, che di volta in volta hanno stabilito il trattamento economico ed accessorio unitamente ad altre provvidenze, hanno tenuto in considerazione anche le rilevanti specificità e criticità delle singole missioni.
8.2.– Non risulta pertinente l’obiezione sollevata dai ricorrenti nei giudizi principali secondo la quale, dovendosi adeguare l’ordinamento interno a quello internazionale (pur se per diverse finalità), al concetto di guerra inteso in senso tradizionale sarebbero stati nel tempo assimilati altri concetti, quali quelli di crisi internazionale o di conflitto armato, cosicché l’estensione potrebbe riguardare anche quello di missione di pace svolta per conto dell’ONU.
In proposito, se invero, a partire dal decreto-legge 1° dicembre 2001, n. 421 (Disposizioni urgenti per la partecipazione di personale militare all’operazione multinazionale denominata “Enduring Freedom”), convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 31 gennaio 2002, n. 6, e dal d.l. n. 451 del 2001, è stata prevista l’applicazione del codice penale militare di guerra ai soggetti impiegati in (solamente) alcune operazioni armate e che con l’art. 2 della legge n. 15 del 2002 sono stati aggiunti due commi all’art. 165 del cod. pen. mil. guerra, parificando a tali fini le «operazioni militari armate svolte all’estero» al «conflitto armato», tanto però dimostra ulteriormente che in tale ambito non esiste nell’ordinamento un principio generale di assimilazione, se non laddove il legislatore abbia ritenuto discrezionalmente di equiparare – a certi fini ed entro certi limiti – le missioni internazionali ai conflitti bellici. Un’ulteriore conferma di tale distinta disciplina, a seconda che ricorra il caso dello «stato di guerra deliberata» o della «crisi internazionale» era contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. f), della legge 14 novembre 2000, n. 331 (Norme per l’istituzione del servizio militare professionale), abrogata dall’art. 2268, comma 1, n. 984, del d.lgs. n. 66 del 2010, laddove si prevedeva che si potesse ricorrere al reclutamento mediante leva obbligatoria:
1) qualora fosse deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione;
2) qualora una grave crisi internazionale nella quale l’Italia fosse coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza ad un’organizzazione internazionale giustificasse un aumento della consistenza numerica delle Forze armate.
Il comma 2 stabiliva che «il servizio militare obbligatorio nei casi previsti dalla lettera f) del comma 1 ha la durata di dieci mesi, prolungabili unicamente in caso di deliberazione dello stato di guerra», rendendo quindi evidente la distinta considerazione del legislatore di eventi estremi come la grave crisi internazionale e lo stato di guerra deliberato.
Per tutto quanto sin qui esposto non rileva l’equiparazione proposta dal TAR tra le guerre e le missioni di pace sotto il profilo dei rischi mortali egualmente presenti in entrambe le situazioni.
Difatti, al di là della presenza di rischi mortali (rischi che nelle missioni ONU il legislatore, di recente, sembra aver scelto di compensare graduando gli emolumenti e le indennità a seconda del teatro operativo e degli obiettivi della missione), ben diversa rimarrebbe la situazione di una partecipazione di limitati contingenti di soldati professionisti in missioni svolte in territorio estero e quella di «guerre» o «crisi internazionali» che imponessero addirittura il ricorso alla leva obbligatoria generalizzata. Tanto basterebbe a giustificare di per sé la scelta del legislatore di non estendere tout court ai militari impegnati in missioni ONU tutti i benefici combattentistici, quali essi siano.
In proposito, questa Corte ha già riconosciuto la piena discrezionalità del legislatore nella decisione di non estendere (altri) benefici combattentistici riservati ai soli partecipanti a veri e propri fatti di guerra ai partecipanti alle operazioni di polizia coloniale, le quali, per essere tese alla reintegrazione ed al mantenimento dell’ordine pubblico interno nel territorio soggetto alla sovranità dello Stato e non dirette contro uno Stato straniero, non potevano assimilarsi alle operazioni belliche (sentenza n. 509 del 1988).
8.3.– Tali considerazioni conducono ad ulteriori ragioni d’infondatezza.
Poiché i ricorrenti dei giudizi a quibus aspirano a provvidenze aventi natura retributiva e pensionistica che attualmente l’ordinamento riserva ai soli «combattenti» in «campagne di guerra», il raffronto non andrebbe fatto tenendo conto dei rischi mortali presenti in entrambe le situazioni, ma tra il trattamento complessivo riservato ai militari partecipanti alle missioni svolte per conto dell’ONU e quello destinato ai «combattenti». Ed al riguardo, per quanto si è detto, non sussiste alcuna sperequazione tra la posizione del militare che nell’ambito di un servizio svolto professionalmente decida volontariamente di partecipare a missioni internazionali e che quindi riceva un peculiare trattamento retributivo e stipendiale, comunque migliorativo rispetto a quello normalmente percepito nel corso del rapporto di lavoro, e quella dell’arruolato in seguito a provvedimenti più o meno generali di richiamo alle armi, cui spetterebbe – allo stato della legislazione esistente – oltre alla sola supervalutazione di cui all’art. 18 del d.P.R. n. 1092 del 1973, un compenso giornaliero, il cosiddetto “soldo”, poco più che simbolico.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge 11 dicembre 1962, n. 1746 (Estensione al personale militare, in servizio per conto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – ONU – in zone d’intervento, dei benefici combattentistici), sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo unico della legge n. 1746 del 1962 sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2016.
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 4 ottobre 2016
Ordinanza
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con le ordinanze del Tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia, iscritte ai numeri da 73 ad 80 del Reg. ord. 2015;
rilevato che in tali giudizi è intervenuto l’INPS – Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t.;
considerato che il suddetto Istituto non è parte dei giudizi principali;
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, nei giudizi in via incidentale sono legittimati ad intervenire i soggetti che, pur non essendo parti del giudizio principale, siano tuttavia portatori di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (tra le tante, ordinanze nn. 318, 134 e 116 del 2013);
che, nel caso specifico, l’Istituto nazionale della previdenza sociale è portatore di un siffatto interesse qualificato, suscettibile di essere inciso dall’esito del processo principale, in quanto i ricorsi sono stati proposti anche al fine del riconoscimento del diritto alla c.d. “supervalutazione” dei servizi resi per conto dell’ONU in zona d’intervento, con riflessi quindi sia sul trattamento pensionistico, sia sull’indennità di buonuscita, prestazioni entrambe gestite ed erogate dall’INPS.
per questi motivi
La Corte Costituzionale
dichiara ammissibile l’intervento dell’INPS – Istituto nazionale della previdenza sociale.