Decision of the Constitutional Court No. 240 of 24 October 2017

In:

G.U. 22 November 2017, No. 47

The Constitutional Court examined certain constitutionality issues concerning Article 62 quater.1 bis of legislative decree No. 504/1995 (Consolidated Act on taxation of production and consumption processes and related penalties) as introduced by legislative decree No. 188/2014 (tax provisions on manufactured tobacco and their substitutes). Doubts on the constitutional legitimacy of this discipline derived from the fact that all inhalation-free liquid products without combustion (i.e., electronic cigarettes) have been subjected to same consumption tax, without distinguishing between products with or without nicotine. In deciding that the constitutionality question was groundless, the Constitutional Court referred to, inter alia, the international and European legal framework relevant to health protection, including WHO recommendations. In this vein, the Court highlighted that the knowledge currently available in the field of electronic smoking is not such as to ensure that liquids without nicotine are completely safe.

  • Original language: Italiano

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con due ordinanze del 1° luglio 2016, rispettivamente iscritte ai nn. 139 e 140 del registro ordinanze del 2016, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visti gli atti di costituzione della Fumador srl ed altri e della ANAFE (Associazione nazionale produttori fumo elettronico) ed altri, nonché gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Massimiliano Nicodemo per Fumador srl ed altri, Fabio Francario per ANAFE ed altri, e l’avvocato dello Stato Francesco Meloncelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ordinanze del 1° luglio 2016 (reg. ord. n. 139 e n. 140 del 2016), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 32, 53, primo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23).

La disposizione censurata prevede che:

«[i] prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina, esclusi quelli autorizzati all’immissione in commercio come medicinali ai sensi del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni, sono assoggettati ad imposta di consumo in misura pari al cinquanta per cento dell’accisa gravante sull’equivalente quantitativo di sigarette, con riferimento al prezzo medio ponderato di un chilogrammo convenzionale di sigarette rilevato ai sensi dell’articolo 39-quinquies e alla equivalenza di consumo convenzionale determinata sulla base di apposite procedure tecniche, definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in ragione del tempo medio necessario, in condizioni di aspirazione conformi a quelle adottate per l’analisi dei contenuti delle sigarette, per il consumo di un campione composto da almeno dieci tipologie di prodotto tra quelle in commercio, di cui sette contenenti diverse gradazioni di nicotina e tre con contenuti diversi dalla nicotina, mediante tre dispositivi per inalazione di potenza non inferiore a 10 watt. Con provvedimento dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli è indicata la misura dell’imposta di consumo, determinata ai sensi del presente comma. Entro il primo marzo di ogni anno, con provvedimento dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli è rideterminata, per i prodotti di cui al presente comma, la misura dell’imposta di consumo in riferimento alla variazione del prezzo medio ponderato delle sigarette. Dalla data di entrata in vigore del presente comma cessa di avere applicazione l’imposta prevista dal comma 1, le cui disposizioni continuano ad avere applicazione esclusivamente per la disciplina delle obbligazioni sorte in vigenza del regime di imposizione previsto dal medesimo comma.».

2.– Il TAR rimettente riferisce, in entrambe le ordinanze, di essere chiamato a decidere su ricorsi proposti da aziende operanti nel settore del commercio delle sigarette elettroniche per l’annullamento delle determinazioni del 24 dicembre 2014, n. 381, e del 20 gennaio 2015, n. 394, adottate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (e della relativa nota del 23 giugno 2015), nonché del decreto ministeriale 29 dicembre 2014, provvedimenti questi attuativi delle disposizioni contenute nell’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del d.lgs. n. 188 del 2014, con efficacia dal 1° gennaio 2015.

Con tali atti si sono definite le procedure tecniche per l’individuazione dell’equivalenza di consumo convenzionale tra le sigarette e i liquidi da inalazione senza combustione ed è stata determinata l’imposta di consumo nella misura di € 0,37344 il millilitro, sulla base dell’equivalenza di 1 milligrammo di prodotto liquido da inalazione al consumo di 5,63 sigarette.

Come riferito dal giudice a quo, le ricorrenti nel giudizio principale hanno denunciato l’illegittimità di tali atti e, in particolare, l’irrazionalità della sottoposizione delle sostanze liquide da inalazione senza combustione prive di nicotina al medesimo regime impositivo previsto per le sostanze liquide contenenti nicotina, censurando quindi la norma primaria che tale assoggettamento prevede, sotto il profilo della sua non conformità ai principi costituzionali.

2.1.– Premette il TAR rimettente che questa Corte, con la sentenza n. 83 del 2015 – intervenuta nelle more del giudizio a quo – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1995, introdotto dall’art. 11, comma 22, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 99, nel testo antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 188 del 2014, che sottoponeva ad imposta di consumo, nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, la commercializzazione dei prodotti non contenenti nicotina, idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, nonché i dispositivi meccanici ed elettronici, comprese le parti di ricambio, che ne consentono il consumo.

In particolare, la sentenza n. 83 del 2015 ha ravvisato la violazione degli artt. 3 e 23 Cost., per effetto della «[…] indiscriminata sottoposizione ad imposta di qualsiasi prodotto contenente “altre sostanze” diverse dalla nicotina, purché idoneo a sostituire il consumo di tabacchi lavorati, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio, che ne consentono il consumo, e in definitiva di prodotti che non hanno nulla in comune con i tabacchi lavorati […]», in ragione della «intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un’aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo», tenuto conto che «mentre il regime fiscale dell’accisa con riferimento ai mercato dei tabacchi trova la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo, tale presupposto non è ravvisabile in relazione al commercio di prodotti contenenti “altre sostanze” diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del tabacco, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio che ne consentono il consumo». Inoltre, la disciplina caducata affidava in tal modo ad una valutazione soggettiva ed empirica l’individuazione della base imponibile con conseguente indeterminatezza della stessa, stante la mancata indicazione di specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione delle norme.

2.2.– Secondo il tribunale rimettente, la questione sarebbe rilevante in quanto la sottoposizione alla medesima imposta di consumo di tutti i prodotti liquidi da inalazione senza combustione, senza alcuna differenziazione tra quelli contenenti nicotina e quelli che ne sono privi, sarebbe prevista già a livello di fonte primaria, in tal modo vincolando la successiva attività dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli. La sospettata illegittimità dell’introduzione di un medesimo regime fiscale anche per i prodotti non contenenti nicotina, dunque, potrebbe essere risolta solo attraverso il sindacato di legittimità costituzionale. La sentenza n. 83 del 2015, inoltre, non inciderebbe quanto alla sottoposizione ad imposta di qualsiasi prodotto liquido idoneo ad essere inalato, anche se privo di nicotina, riferendosi esclusivamente alle diverse precedenti norme non più in vigore.

Il chiaro tenore letterale della disposizione in esame precluderebbe, altresì, la possibilità di esperire un’interpretazione conforme alla Costituzione, risultando quindi la rimessione della questione a questa Corte una scelta necessitata, tenuto conto della priorità logica e giuridica della stessa nella risoluzione della controversia.

2.3.– Riguardo alla non manifesta infondatezza il TAR rimettente precisa che, benché il d.lgs. n. 188 del 2014 abbia modificato la determinazione dell’imposta di consumo per i liquidi da inalazione senza combustione, anche la nuova disciplina fiscale sarebbe affetta dai medesimi vizi di incostituzionalità rilevati dalla citata sentenza n. 83 del 2015. Permarrebbe, infatti, l’assoggettamento ad un medesimo regime fiscale e ad una medesima misura di imposta di consumo, sia di prodotti liquidi da inalazione senza combustione contenenti nicotina, sia di prodotti liquidi senza nicotina, identificati sulla base della sola caratteristica di poter essere inalati senza combustione.

2.3.1.– Nello specifico, infatti, continuerebbe ad essere valorizzata la capacità sostitutiva del prodotto rispetto al fumo di tabacco, se solo si tiene conto che la rubrica del censurato art. 62-quater riferisce l’imposta di consumo ai «prodotti succedanei dei prodotti da fumo», con conseguente indeterminatezza della base imponibile, in violazione dell’art. 23 Cost.

Non potrebbero essere assimilati tra loro, infatti, liquidi contenenti nicotina – potenzialmente idonei a sostituire il consumo del tabacco tradizionale – e liquidi privi di tale sostanza, caratterizzati unicamente dalla presenza di basi neutre o aromi naturali, privi di nocività ed inidonei a creare dipendenza, dunque non avvicinabili alle sostanze nicotiniche ai fini della previsione di un medesimo trattamento impositivo.

La nuova entità dell’imposizione, minore rispetto alle sigarette tradizionali, anzi, attesterebbe il favor del legislatore nei confronti del fumo elettronico, rispetto al fumo tradizionale, risolvendosi in un ulteriore indice di illegittimità della normativa in esame, non potendo tale giudizio di minor disfavore essere indirizzato indistintamente a sostanze eterogenee.

2.3.2.– Il giudice rimettente ritiene violati anche gli artt. 3 e 32 Cost., poiché, per prodotti contenenti mere sostanze aromatizzanti, nei confronti dei quali non vi sarebbero evidenze scientifiche circa la loro dannosità per la salute, non sussisterebbe ragione di applicare una politica fiscale disincentivante. Anzi, ciò contrasterebbe con la politica legislativa nazionale, comunitaria e internazionale di lotta al tabagismo, tenuto conto, altresì, che l’Unione europea considera la politica fiscale uno strumento consentito ed utile per tutelare la salute (raccomandazione del Consiglio del 2 dicembre 2002, 2003/54/CE «sulla prevenzione del fumo e su iniziative per rafforzare la lotta contro il tabagismo»; raccomandazione del Consiglio della Comunità europea del 30 novembre 2009, 2009/C 296/02 «relativa agli ambienti senza fumo»; Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità – OMS – per la lotta al tabagismo, firmata a Ginevra il 21 maggio 2003, ratificata e resa esecutiva con la legge 18 marzo 2008, n. 75; direttiva del Consiglio del 21 giugno 2011, 2011/64/UE «relativa alla struttura e alle aliquote dell’accisa applicata al tabacco lavorato»).

Inoltre, non potrebbero rilevare la nocività della gestualità quale comportamento simile al fumo da tabacco – trattandosi di considerazione priva di qualsivoglia appiglio scientifico, concernente genericamente ambiti psicologici e sociologici – o l’argomentazione che il fumo da sigaretta elettronica sarebbe riconducibile ad un’unica domanda, considerando che è la nicotina a creare dipendenza nel suo consumatore.

La stessa relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 188 del 2014, individuando la ratio di un’imposta commisurata a quella delle sigarette, ma in misura ridotta – in virtù della minore nocività delle sigarette elettroniche, pur in assenza di definitiva certezza scientifica circa la nocività della sigaretta elettronica e la sua utilità nella disassuefazione dal tabagismo – confermerebbe l’irragionevolezza della mancata differenziazione tra liquidi contenenti nicotina, sicuramente nocivi, e liquidi che ne sono privi.

Quanto detto, quindi, precluderebbe il ricorso al concetto di sostituzione equivalente, stante la diversità ontologica dei prodotti, dei sottostanti bisogni e degli effetti del consumo di nicotina, assenti nell’inalazione di prodotti senza nicotina. L’accisa sui tabacchi, d’altronde, troverebbe la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute e del quale si cerca di scoraggiare il consumo, la qual cosa non sarebbe ravvisabile, invece, per il consumo di liquidi non contenenti nicotina. Anzi, in tal modo si potrebbe addirittura favorire il consumo della nicotina e delle sigarette tradizionali, in contrasto con il complessivo scenario volto a combattere il tabagismo. E non sarebbe un caso che il divieto di vendita a soggetti minori di sedici anni – di cui all’ordinanza del Ministero della salute del 4 agosto 2011 – sia riferito unicamente ai vaporizzatori contenenti nicotina.

2.3.3.– Ciò precisato, secondo il TAR rimettente la finalità delle imposte speciali sui consumi ben potrebbe essere quella di disincentivare il consumo di beni che generano esternalità negative a danno della collettività, oltre a quella di aumentare le entrate pubbliche senza eccessivi costi di accertamento e di riscossione.

Dunque, sul piano economico e dal punto di vista della equità distributiva tali imposte avrebbero effetti regressivi o progressivi a seconda delle tipologie di consumo e della elasticità della domanda e dell’offerta. Nel caso di beni voluttuari, come l’alcool e il tabacco, trattandosi di beni che generano dipendenza, a parità dell’onere tributario, i soggetti a basso reddito percepiscono un sacrificio dell’imposta maggiore rispetto ai soggetti ad alto reddito. L’imposta speciale sul consumo di beni voluttuari di questo tipo avrebbe perciò ragione d’essere soltanto se finalizzata a ridurre il consumo di tali beni e non anche per la loro qualità di beni secondari o di lusso.

In ogni caso, poiché l’art. 53, primo comma, Cost. andrebbe letto in maniera congiunta con l’art. 3 Cost., il legislatore dovrebbe operare il riparto del carico pubblico secondo criteri di coerenza interna, non contraddittorietà, adeguatezza e non arbitrarietà, assicurando che a situazioni di fatto uguali corrispondano uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse corrisponda un trattamento tributario diseguale. L’importante, quindi, sarebbe che i presupposti per l’applicazione dell’imposta abbiano una rilevanza economico-sociale e siano oggettivamente rilevabili, prestandosi ad essere comparati con altre situazioni fiscalmente rilevanti (sono richiamate le sentenze n. 156 del 2001, n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 102 del 1993, n. 387 del 1989, n. 159 del 1985, n. 200 del 1976, n. 201 del 1975 e n. 45 del 1964).

Secondo tali principi, dunque, il comma 1-bis dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995 contrasterebbe anche con l’art. 51 (recte: 53) Cost., non potendo la finalità di gettito erariale, sollecitata dalla erosione delle entrate provenienti dalla vendita di tabacchi per effetto dell’ingresso sul mercato delle sigarette elettroniche, non far considerare la profonda diversità tra liquidi contenenti nicotina e liquidi che ne sono privi, quanto ad effetti sulla salute dei consumatori. La presenza di nicotina nei liquidi sottoposti ad imposta, in definitiva, non potrebbe essere irrilevante ai fini della relativa disciplina.

2.3.4.– I profili di tutela della salute sarebbero ulteriormente rafforzati alla luce delle disposizioni contenute nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, 2014/40/UE, «sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE», la quale, nell’indicare agli Stati la necessità di adottare discipline tese ad assicurare un livello elevato di protezione della salute (considerando n. 36), porrebbe in inscindibile connessione la definizione comunitaria di sigaretta elettronica con il consumo di nicotina (art. 2, punto 16), rimettendo invece agli Stati membri la responsabilità di adottare norme sugli aromi (considerando n. 47). Il che non risulterebbe adeguatamente perseguito attraverso la sottoposizione al medesimo regime impositivo di liquidi contenenti nicotina e liquidi che ne sono privi.

3.– Con due memorie, depositate il 13 settembre 2016, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

3.1.– In via preliminare, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR rimettente con riferimento all’art. 97 Cost. Infatti, nell’ordinanza di rimessione non sarebbero indicati i termini e i motivi della questione sollevata, mancando l’illustrazione delle ragioni per cui sarebbero stati violati i principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione.

3.2.– Quanto al rispetto dell’art. 23 Cost., gli elementi essenziali della fattispecie sarebbero sufficientemente determinati dalla norma primaria, poiché il censurato art. 62-quater qualificherebbe come «prodotti succedanei dei prodotti da fumo» non qualsivoglia liquido senza nicotina, bensì le sostanze liquide inalabili senza combustione, mediante dispositivi, tranne che si tratti di medicinali.

La tesi del giudice a quo, secondo cui sarebbe succedaneo soltanto quel prodotto liquido contenente nicotina, sarebbe pertanto priva di fondamento di diritto positivo, assumendo quale criterio di classificazione uno soltanto dei criteri astrattamente e logicamente possibili e privando così il legislatore della libertà di disciplinare la materia dei liquidi meramente aromatici in ragione di un bilanciamento d’interessi più ampio, concessa anche dall’ordinamento comunitario.

Va precisato, infatti, che la direttiva 2014/40/UE riconosce che le sigarette elettroniche (in prosieguo anche: e-cig) potrebbero portare, tramite l’imitazione dell’atto di fumare, al consumo di tabacco tradizionale (considerando n. 43), sottolineando l’esigenza di tener conto dell’attrattiva potenziale dei prodotti aromatizzati per i giovani e i non fumatori (considerando n. 47). Sebbene la direttiva faccia puntuale riferimento alla sola sigaretta elettronica in senso stretto, cioè a quella contenente un liquido con nicotina, non vi sarebbe alcun obbligo, tuttavia, per il quale lo Stato italiano, a fini meramente fiscali, debba riprodurre la specialità del concetto di sigaretta elettronica rilevante per il diritto comunitario, tenuto conto che non vi sarebbe differenza, nelle modalità di consumo, tra liquidi con nicotina e liquidi aromatici.

Dunque, il tratto unificante dell’oggetto dell’imposta sarebbe dato dalla destinazione impressa dal fabbricante – che è il soggetto passivo dell’imposta – al prodotto, ossia la sostanza liquida, funzionale all’aspirazione del vapore generato dalla stessa per mezzo del dispositivo con l’apparenza del fumo di sigaretta tradizionale. La succedaneità dei prodotti da fumo sarebbe individuata razionalmente dal legislatore nella funzione sostitutiva del tabacco, impressa dal produttore al liquido inalabile senza combustione mediante apposito dispositivo.

3.3.– Non sarebbero fondati gli argomenti addotti dal TAR rimettente sulla contrarietà della normativa fiscale rispetto al principio costituzionale di tutela della salute che, ove accolti, indurrebbero all’assurdo di dover conformare l’intero sistema fiscale delle imposte indirette di consumo in funzione di protezione della salute, oltretutto con irragionevole graduazione proporzionale dell’aliquota d’imposta al grado di nocività stabilito di volta in volta nel tempo dalla scienza medica e, nel caso di specie, alla concentrazione di nicotina.

Il d.lgs. n. 188 del 2014, dunque, in conformità ai principi e criteri direttivi della legge delega, avrebbe previsto l’assoggettamento del “fumo elettronico” ad un medesimo regime fiscale, riunendo in un’unica fattispecie, ai soli fini fiscali, tutti i prodotti liquidi da inalazione, anche allo scopo di tenerli distinti dal fumo tradizionale. La differenziazione tra le due tipologie di prodotti sarebbe, quindi, ragionevolmente basata, nell’esercizio della discrezionalità del potere legislativo, non già sul contenuto di nicotina, ma sul diverso processo di assunzione, mediante inalazione, per il fumo elettronico, e mediante combustione, per il fumo da sigarette tradizionali, ritenuto più dannoso, quest’ultimo, per la salute del consumatore.

D’altronde, riguardo alle sigarette elettroniche non risulterebbe ancora scientificamente accertato il grado di nocività, sebbene sia presumibile che il rischio per la salute sia inferiore rispetto a quello del fumo tradizionale, senza però che si possa assicurare l’innocuità dei liquidi senza nicotina. Non a caso, l’OMS, nella raccomandazione del 18 ottobre 2014 sulle misure dissuasive dal fumo, avrebbe espressamente menzionato sia gli ENNDS (electronic non-nicotine delivery system) sia gli ENDS (electronic nicotine delivery system), qualificando come “sigaretta elettronica” qualsiasi dispositivo che vaporizza una soluzione inalabile. Affermazioni, queste, ribadite dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza del 4 maggio 2016, in causa C-477/14, ove si riconoscerebbe che gli effetti sulla salute umana delle sigarette elettroniche costituiscono l’oggetto di una controversia a livello internazionale e che i dati disponibili non consentono di affermare che gli inalatori in questione costituiscano una promessa, ovvero una minaccia, per la lotta al tabagismo.

Dunque, la differenziazione del regime fiscale, in funzione della presenza o meno del processo di combustione per il consumo dei prodotti, sarebbe basata su un criterio coerente anche con l’impostazione di fondo della Corte di giustizia UE. Anzi, per lo Stato italiano, l’adozione del principio di precauzione costituirebbe un obbligo, dato che, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione quadro dell’OMS, l’Italia si è impegnata ad «adottare misure per evitare che le persone comincino a fumare».

3.4.– Riguardo all’art. 53 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato precisa che non sarebbe necessaria la finalità secondaria di protezione della salute per rendere legittima l’imposizione sui liquidi senza nicotina. In altri termini, il perseguimento della tutela della salute sarebbe sufficiente, ma non necessario, per la legittimità costituzionale della disposizione in esame. Dunque, mentre la finalità di tutela della salute, in particolare rispetto ai liquidi con nicotina, che creano dipendenza, consentirebbe di giustificare la regressività di un’imposta di consumo per il consumatore finale, qualora essa fosse traslata dal soggetto passivo d’imposta, il medesimo livello d’imposta fissato per le sostanze senza nicotina manifesterebbe quella progressività nell’imposizione che è prescritta dall’art. 53 Cost. L’imposta, così, verrebbe ad incidere sui fabbricanti e i produttori che riescono a immettere in consumo beni del tutto voluttuari, che dimostrerebbero in re ipsa una capacità contributiva adeguata, così come i consumatori finali sui quali fosse traslata volontariamente l’imposta. La scelta di consumo, nel caso dei prodotti senza nicotina, non sarebbe condizionata da alcuna dipendenza organica da sostanze chimiche, ma dipenderebbe unicamente dall’attrattività del prodotto per il consumatore finale e dalla sua capacità di spesa.

Inoltre, secondo la difesa statale, anche un’aliquota minore sui liquidi con nicotina, in ragione dell’effetto di dipendenza corporea data da tale sostanza, sarebbe presumibilmente ininfluente ai fini del consumo di sostanze nicotiniche. Invece, sarebbe certo un aumento del rischio d’indurre i più giovani e i non fumatori a cominciare a sperimentare il prodotto più economico (la sostanza non nicotinica), favorendo il successivo passaggio al consumo di tabacco, magari per il tramite d’inalazione di sostanze con nicotina che è realizzabile negli stessi dispositivi già in uso, per effetto di abitudine, imitazione ed emulazione. Al contrario, rispetto a chi volesse trarre aiuto dai prodotti non nicotinici per cercare di “smettere di fumare” o di “svapare nicotina”, non sarebbe certo il medesimo livello d’imposizione a influire sulla scelta di smettere, tenuto conto della forza di volontà necessaria per eliminare la nicotina. E, in ogni, caso, sarebbe più ragionevole la protezione degli interessi della prima categoria di persone rispetto alla seconda.

3.5.– La censura mossa in riferimento all’art. 97 Cost. sarebbe in ogni caso infondata; anzi, proprio una differenziazione di aliquote tra liquidi nicotinici e liquidi non nicotinici si porrebbe in contrasto con i principi di economicità e buon andamento dell’amministrazione pubblica. Infatti, essendo realizzabili infiniti livelli di concentrazione di nicotina in una sostanza, si dovrebbe individuare scientificamente il punto esatto di discrimine che possa costituire la base di una differenziata rilevanza giuridica della concentrazione di nicotina di un prodotto. Inoltre, la mera verifica della presenza di nicotina, attraverso complesse analisi di laboratorio, renderebbe oltremodo onerosa l’attività di accertamento e di riscossione dei tributi, in contrasto con la finalità di semplificazione imposta dalla legislazione in materia.

4.– Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 139 del 2016, con memoria depositata il 12 settembre 2016, si sono costituite le società Fumador srl, New Smoke Network srl, Flavourland srl, Biofumo srl, DEA Flavor srl, Royal Blend srl, Lol srls, Alterna Farmaceutici srl, Elixir International srl, parti ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995 per contrasto con gli artt. 3, 23, 32, 53 e 97 Cost.

4.1.– La scelta legislativa, in primo luogo, sarebbe del tutto irragionevole e lesiva dell’art. 3 Cost. e del principio di eguaglianza e/o ragionevolezza, inteso come divieto sia di arbitrarie distinzioni normative tra situazioni omologhe, sia di arbitrarie parificazioni fra situazioni differenti. Principio che avrebbe subito una progressiva espansione sino ad arrivare ad un giudizio sulla “razionalità” della disposizione legislativa – con un controllo che comporta considerazioni di adeguatezza, pertinenza, proporzionalità, coerenza – nonché sul bilanciamento degli interessi costituzionalmente tutelati (si richiamano le sentenze n. 143 del 2013, n. 264 del 2012, n. 313 del 1995, n. 108 del 1994, n. 1130 del 1988 e n. 14 del 1964).

La differenza tra le sigarette elettroniche e i prodotti lavorati del tabacco, anche a prescindere dalla presenza di nicotina nei liquidi componenti delle prime, sarebbe talmente sostanziale da far escludere l’assimilazione imposta dal legislatore. Dunque, se la ratio dell’intervento legislativo è data dalla necessità di precostituire una forma di riparazione rispetto ai “potenziali” danni alla salute da uso delle e-cig, l’entità del “costo sociale” da porre a carico degli operatori economici del settore non potrebbe mai parametrarsi a quello scientificamente certo che produce il fumo di sigaretta ed ogni altra forma di fruizione di tabacco combusto. Pur ad ammettere una comparazione tra tabacchi lavorati e liquidi da inalazione senza combustione, in ogni caso, sarebbe irragionevole e incoerente il raffronto tra i primi e quei liquidi da inalazione privi addirittura di nicotina. Inoltre, risulterebbe paradossale che i tabacchi da inalazione senza combustione (art. 39-terdecies del d.lgs. n. 504 del 1995, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera e, del d.lgs. n. 188 del 2014), nuova categoria merceologica, siano tassati in maniera inferiore.

4.2.– L’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, in secondo luogo, violerebbe il principio di legalità fissato dall’art. 23 Cost., per il cui rispetto sarebbe quanto meno necessaria la preventiva determinazione di sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (sentenze n. 350 del 2007 e n. 105 del 2003), richiedendosi, in particolare, che «la concreta entità della prestazione imposta sia desumibile chiaramente dagli interventi legislativi che riguardano l’attività dell’amministrazione» (sentenze n. 115 del 2011 e n. 190 del 2007).

Dunque, non sarebbe superato il difetto di determinatezza della base imponibile già rilevato nella sentenza n. 83 del 2015, poiché non sarebbero sostanzialmente cambiati l’oggetto, la misura e le modalità di determinazione dell’imposizione, se non in maniera ininfluente e irrilevante. Continuerebbe ad essere valorizzata la capacità sostitutiva dell’assunzione di un prodotto rispetto al fumo tradizionale a base di tabacco, in tal modo riproponendosi la definizione empirica e soggettiva sottesa alla previgente disposizione dichiarata incostituzionale, con conseguente indeterminatezza della base imponibile, accumunando irragionevolmente sostanze tra loro radicalmente diverse. Con l’ulteriore irragionevolezza data dal fatto che, alla luce della sentenza n. 83 del 2015, rispetto alle sigarette elettroniche prodotte e immesse in consumo nel 2014, l’imposta graverebbe sui soli liquidi contenenti nicotina, mentre, per quelle immesse in consumo nel 2015, l’imposta medesima inciderebbe sia su questi ultimi, sia sui liquidi neutri.

4.3.– Secondo la difesa delle parti private vi sarebbe anche una palese violazione del principio di tutela della salute umana, così come sancito dall’art. 32 Cost.

Sarebbe indubbio, infatti, che, sulla base degli studi al momento disponibili, le sigarette elettroniche, in particolare quelle contenenti liquidi privi di nicotina, svolgano una funzione di dissuasione e di disincentivo dall’uso dei tabacchi a fini di riabilitazione, cura e profilassi dai danni certi alla salute provocati dal fumo. L’introduzione di un’imposta in misura indiscriminata sia per i prodotti da inalazione contenenti nicotina, sia per quelli che ne sono privi, disincentiverebbe, quindi, l’acquisto di questi ultimi da parte dei consumatori, a tutto favore dei prodotti da fumo, con evidente danno per la salute della collettività. Anche il diritto comunitario confermerebbe tali considerazioni, tenuto conto che la direttiva 2014/40/UE si concentrerebbe esclusivamente sui dispositivi contenenti nicotina.

4.4.– Da ultimo, sarebbe violato il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., che esigerebbe prima di tutto un collegamento effettivo tra la prestazione imposta e il presupposto considerato, il quale dovrebbe essere sempre economicamente rilevante ed attuale (sono richiamate l’ordinanza n. 124 del 2003; le sentenze n. 156 del 2001, n. 42 del 1980, n. 126 del 1979, n. 200 del 1976, n. 144, n. 120 e n. 91 del 1972 e n. 50 del 1965).

Ne deriverebbe che la previsione sottoposta al vaglio di legittimità non sarebbe rispettosa del principio di capacità contributiva, non essendovi identità tra l’inalazione di sostanze contenenti nicotina e di sostanze che ne sono prive e trovando l’imposta speciale sul consumo di beni voluttuari, come quelli in esame, la propria giustificazione nella finalità di riduzione del loro consumo, non nella loro qualità di beni secondari o di lusso.

4.5.− I vizi sin qui indicati lederebbero, infine, i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione, giacché l’azione impositiva dovrebbe essere improntata a equità e sostenibilità ed essere connotata dai caratteri di efficacia, efficienza e miglior contemperamento dei vari interessi. Principi che troverebbero specifica traduzione legislativa nell’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme sul procedimento amministrativo) e soprattutto nell’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), che in particolare richiama il principio di buona fede nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria.

5.– Nel giudizio relativo all’ordinanza n. 140 del 2016, con memoria depositata il 12 settembre 2016, si sono costituite le società ANAFE, Flavourart srl, Dyprintech srl, Arbi Group srl, Smart evolution trading spa, Vaporart srl, parti ricorrenti nel giudizio a quo, insistendo sull’irragionevolezza della disposizione impugnata, per violazione degli art. 3, 97 e 53 Cost.

5.1.– Secondo la difesa delle parti private, quanto già affermato dalla sentenza n. 83 del 2015 precluderebbe non solo una tassazione ad valorem del bene complessivamente considerato, ma anche e proprio il fatto di assoggettare ad accisa liquidi aromatizzati (o basi neutre) solo perché ritenuti merceologicamente idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati. Il regime di accisa troverebbe giustificazione solo per il consumo di nicotina o di tabacco propriamente inteso. Inoltre, l’accisa, allorché riferita ad un prodotto liquido, dovrebbe essere calcolata ed applicata solo sulla componente di prodotto sul quale si appunta il giudizio di disvalore dell’ordinamento giuridico o il cui uso si intende reprimere o scoraggiare, come avviene per le bevande alcoliche, e non quindi sull’intero volume di prodotto (art. 32 del d.lgs. 504 del 1995).

Invece, l’accisa verrebbe determinata dall’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, non già sui millilitri di nicotina presenti nel liquido, ma sull’intero volume dei liquidi vaporizzabili, con la conseguenza abnorme di finire per applicare l’accisa su componenti aromatiche e basi neutre che sono prodotti largamente impiegati nell’industria farmaceutica, cosmetica e alimentare, liberamente acquistabili sul mercato senza essere gravati da accisa.

5.2.– L’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, inoltre, opererebbe un intervento addirittura peggiorativo rispetto a quello riservato alle sigarette tradizionali. L’imposta sui tabacchi lavorati, infatti, sarebbe strutturata in modo da garantire un sistema di aliquote differenziate per tipologia di prodotto, distinguendo tra quattro categorie (sigarette, sigari e sigaretti, tabacco da fumo trinciato, tabacco da fiuto e da mastico), con differenti aliquote (Allegato I al d.lgs. n. 504 del 1995).

La normativa in esame, separando l’ammontare del prelievo dal quantitativo di nicotina presente, pertanto, violerebbe il principio della capacità contributiva fissato dall’art. 53 Cost., per assoluta incoerenza tra presupposto del tributo e misura del prelievo. Tale principio, infatti, pur non costituendo un vincolo rigido per il legislatore, non lo esimerebbe dal rispetto dei limiti di razionalità e coerenza, poiché la Costituzione esigerebbe comunque un raccordo dell’imposizione con la capacità contributiva (sentenze n. 142 del 2014, n. 116 del 2013, n. 341 del 2000, n. 111 del 1997 e n. 126 del 1979).

5.3.– La normativa in esame, quindi, risulterebbe così ampia, generica e indeterminata nella definizione della base imponibile del tributo da impedire una predeterminazione legislativa della stessa. Non vi sarebbe neppure una indicazione circa le modalità con le quali l’amministrazione dovrebbe attuare la fonte normativa primaria e definire il tributo, con la conseguenza che l’amministrazione risulterebbe sostanzialmente libera di includere nella base imponibile qualsivoglia sostanza liquida da inalazione senza combustione ritenuta idonea a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati, in aperto contrasto con la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte sancita dall’art. 23 Cost.

Viceversa, le incombenze degli organi amministrativi dovrebbero essere integrative della norma primaria e fondate su apprezzamenti di ordine tecnico, spettando alla legge l’individuazione degli obiettivi perseguiti dall’applicazione del tributo e la determinazione anche quantitativa del sacrificio patrimoniale imposto a carico di categorie di soggetti dotati di capacità contributiva (si richiamano le sentenze n. 350 del 2007, n. 190 del 2007 e n. 105 del 2003). Il principio di legalità sostanziale, infatti, non consentirebbe l’assoluta indeterminatezza del potere conferito dalla legge ad una autorità amministrativa, con l’effetto di attribuire una totale libertà al soggetto od organo investito della funzione (ex plurimis, sentenze n. 32 del 2009, n. 307 del 2003 e n. 150 del 1982). L’art. 23 Cost. «implica che la legge che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione non lasci all’arbitrio dell’ente impositore la determinazione della prestazione (sentenza n. 4 del 1957)» (sentenza n. 115 del 2001; sono richiamate anche le ordinanze n. 323 e n. 7 del 2001 e le sentenze n. 157 del 1996, n. 182 del 1994 e n 67 del 1973).

5.4.– Da ultimo, la difesa delle parti private richiama i rilievi posti dal giudice rimettente in riferimento all’art. 32 Cost. In particolare, l’assenza di differenziazione, a livello impositivo, tra i liquidi nicotinici e i liquidi non contenenti nicotina interromperebbe la corrispondenza tra il carico impositivo e il grado di nocività delle sostanze inalate, così violandosi non solo la finalità extrafiscale dell’imposizione, ma altresì i principi di ragionevolezza e di tutela della salute, nel rapporto di integrazione reciproca che ne dovrebbe assicurare il rispetto.

6.– In prossimità dell’udienza, le parti costituite nel giudizio relativo all’ordinanza n. 139 del 2016 hanno presentato un’ulteriore memoria, precisando le argomentazioni già svolte in sede di intervento e rispondendo alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

6.1.– In primo luogo, la difesa delle parti private contesta l’eccezione d’inammissibilità della questione sollevata con riferimento all’art. 97 Cost., ritenendo la stessa implicita e strettamente connessa a quella formulata in riferimento agli altri principi costituzionali assunti violati, senza necessità di ulteriore specificazione in ordine alle motivazioni.

I principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, infatti, si estenderebbero oltre l’amministrazione in senso stretto (si richiamano le sentenze n. 383 del 1998, n. 86 del 1982 e n. 44 del 1977). A tale principio, quindi, dovrebbe essere conformata anche la disciplina tributaria (sono richiamate le sentenze n. 356 del 2008, n. 307 del 2002, n. 229 del 1999 e n. 284 del 1985), senza considerare il necessario bilanciamento dei medesimi principi con altri valori costituzionali, come nel caso del diritto alla salute (ex multis, sentenze n. 1143 del 1988, n. 167 del 1986 e n. 212 del 1983).

6.2.– Alcun ausilio nel senso della ragionevolezza della disposizione legislativa potrebbe ricavarsi dal diritto comunitario, che in tutti i provvedimenti e raccomandazioni emanati per combattere il fenomeno del tabagismo si riferirebbe esclusivamente a prodotti contenenti nicotina. Lo stesso decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6 (Recepimento della direttiva 2014/40/UE sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE) fornirebbe le stesse identiche definizioni di «sigaretta elettronica» e di «contenitore di liquido di ricarica» proprie del diritto europeo. E anche la sentenza della Corte di giustizia UE del 14 maggio 2016, richiamata dalla difesa statale, farebbe riferimento alle sole sigarette elettroniche utilizzabili per il consumo di vapore contenente nicotina.

Il documento dell’OMS del 18 ottobre 2014, invece, non avrebbe carattere vincolante in questa sede. Infatti, pur essendo stato già richiamato dalla difesa statale nel giudizio definito con la sentenza n. 83 del 2015, la Corte non vi avrebbe dato rilevanza. Inoltre, lo stesso sarebbe stato oggetto di critiche da parte del Comitato scientifico internazionale per la ricerca sulla sigaretta elettronica, poiché non avrebbe considerato la possibile riduzione del rischio per la salute dei fumatori che passano all’utilizzo di sigarette elettroniche.

6.3.– Infine, la difesa delle parti private sottolinea la carenza di base scientifica della teoria, richiamata dalla difesa statale, secondo cui una riduzione del costo delle e-cig prive di nicotina potrebbe indurre i più giovani a sperimentare il prodotto più economico, favorendo così il passaggio al consumo di tabacco, per effetto di abitudine, imitazione o emulazione, in virtù di una dipendenza legata alla gestualità dell’atto del fumare; sarebbe inconfutabile, invece, che a creare dipendenza sia solo l’assunzione di nicotina.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con due ordinanze del 1° luglio 2016 (reg. ord. n. 139 e n. 140 del 2016), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 32, 53, primo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), nella parte in cui assoggetta alla medesima imposizione – pari al cinquanta per cento dell’accisa gravante sull’equivalente quantitativo di sigarette – i prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina, esclusi quelli autorizzati all’immissione in commercio come medicinali.

2.– Le due ordinanze di rimessione pongono questioni identiche in relazione alla normativa censurata e ai parametri costituzionali invocati.

I giudizi, pertanto, vanno riuniti per essere congiuntamente esaminati e decisi con unica pronuncia.

3.– Secondo il giudice rimettente, benché il d.lgs. n. 188 del 2014 abbia modificato la determinazione dell’imposta di consumo per i liquidi da inalazione senza combustione, anche la nuova disciplina fiscale sarebbe affetta dai medesimi vizi di costituzionalità rilevati dalla sentenza di questa Corte n. 83 del 2015, relativa al previgente testo dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995.

Anche nella vigente disciplina, infatti, permarrebbe l’assoggettamento ad un medesimo regime fiscale sia di prodotti liquidi da inalazione senza combustione contenenti nicotina, sia di prodotti liquidi senza nicotina, con indeterminatezza della base imponibile, in violazione dell’art. 23 Cost.

Inoltre, la scelta legislativa apparirebbe irragionevole e lesiva del diritto alla salute, poiché per i prodotti contenenti sostanze aromatizzanti, nei confronti dei quali non vi sarebbero evidenze scientifiche circa la loro dannosità per la salute, non sussisterebbe ragione di applicare una politica fiscale disincentivante.

Il comma 1-bis dell’art. 62- quater del d.lgs. n. 504 del 1995 contrasterebbe anche con l’art. 53 Cost. e il principio di capacità contributiva, quale espressione in campo fiscale del principio d’uguaglianza, non potendo la finalità di gettito erariale, sollecitata dall’erosione delle entrate provenienti dalla vendita di tabacchi per effetto dell’ingresso sul mercato delle sigarette elettroniche, non far considerare la profonda diversità tra liquidi contenenti nicotina e liquidi che ne sono privi, quanto ad effetti sulla salute dei consumatori. La presenza di nicotina o meno nei liquidi sottoposti ad imposta, in definitiva, non potrebbe essere irrilevante ai fini della relativa disciplina.

Le disposizioni censurate, infine, sarebbero lesive anche dell’art. 97 Cost.

4.– In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, sollevata in riferimento all’art. 97 Cost.

Il giudice rimettente, con riferimento al suddetto parametro costituzionale, non articola alcuna specifica censura, limitandosi ad affermare, senza motivazione, l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata. Il che comporta, appunto, l’inammissibilità della questione.

Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, è inammissibile la questione di legittimità costituzionale priva di un’adeguata ed autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato (ex plurimis: sentenze n. 219 del 2016, n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011).

5.– Va premesso che la sentenza di questa Corte n. 83 del 2015 ha censurato sotto due profili la precedente disciplina prevista dall’art. 62-quater del d.l.gs. n. 504 del 1995, che sottoponeva ad imposta di consumo – nella misura pari al 58,5 per cento del prezzo di vendita al pubblico, equiparata dunque all’accisa sulle sigarette – la commercializzazione dei prodotti succedanei dei tabacchi lavorati, nonché dei dispositivi per il loro consumo.

Da un lato, la violazione del parametro di cui all’art. 3 Cost. è stata ravvisata «nell’intrinseca irrazionalità della disposizione che assoggetta ad un’aliquota unica e indifferenziata una serie eterogenea di sostanze, non contenenti nicotina, e di beni, aventi uso promiscuo». Infatti, mentre il regime fiscale dell’accisa prevista per le sigarette e i tabacchi lavorati potrebbe trovare la sua giustificazione nel disfavore nei confronti di un bene riconosciuto come gravemente nocivo per la salute, quale la nicotina, tale presupposto non poteva ravvisarsi in relazione al commercio di prodotti contenenti sostanze diverse dalla nicotina, idonee a sostituire il consumo del tabacco, nonché dei dispositivi e delle parti di ricambio che ne consentono il consumo.

Dall’altro lato, l’indicazione della mera idoneità a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati evidenziava la violazione dell’art. 23 Cost., per «l’indeterminatezza della base imponibile e la mancata indicazione di specifici e vincolanti criteri direttivi, idonei ad indirizzare la discrezionalità amministrativa nella fase di attuazione della normativa primaria». La disposizione censurata, infatti, affidava ad una valutazione soggettiva ed empirica l’individuazione della base imponibile, senza consentire di ricavare i criteri e i limiti volti a circoscrivere la discrezionalità amministrativa nella definizione del tributo.

L’indeterminatezza della base impositiva, unita all’irragionevolezza di una aliquota unica d’imposta equiparata all’accisa sulle sigarette tradizionali, rendeva pertanto l’art. 62-quater del d.l.gs. n. 504 del 1995 illegittimo, poiché lesivo degli artt. 3 e 23 Cost., nella parte in cui sottoponeva alla suddetta imposta di consumo la commercializzazione anche dei prodotti non contenenti nicotina, nonché dei dispositivi meccanici ed elettronici che ne consentono il consumo.

5.1.– L’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del d.lgs. 188 del 2014 introduce una disposizione che si discosta da quella dichiarata illegittima dalla sentenza n. 83 del 2015 per due elementi fondamentali.

In primo luogo, infatti, non vi è più l’equiparazione con l’accisa sulle sigarette tradizionali, poiché l’aliquota è ora fissata nella misura del cinquanta per cento dell’imposta che si applicherebbe su un quantitativo equivalente di sigarette tradizionali. In secondo luogo, l’imposta non colpisce più «i prodotti contenenti nicotina o altre sostanze idonei a sostituire il consumo dei tabacchi lavorati», nonché i relativi dispositivi necessari per consumarli, bensì i prodotti da inalazione senza combustione costituiti da sostanze liquide, contenenti o meno nicotina.

Il d.lgs. n. 188 del 2014, dunque, ha rimosso le ragioni d’illegittimità della disciplina precedente, che non potrebbero essere replicate, come sostiene il giudice rimettente, per l’attuale formulazione dell’art. 62-quater del d.lgs. n. 504 del 1995.

6.– Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, sollevate in riferimento agli artt. 3, 23, 32 e 53, primo comma, Cost.

6.1.– Gli elementi essenziali della fattispecie impositiva sono determinati dalla disposizione legislativa in esame in maniera esaustiva, risultando di conseguenza sufficientemente delimitata la discrezionalità dell’amministrazione.

L’oggetto dell’imposizione, infatti, non è più costituito dai «succedanei dei tabacchi lavorati», così come individuati dall’amministrazione. Esso, invece, è rappresentato dai «prodotti da inalazione costituiti da sostanze liquide», secondo la destinazione d’uso datane dal fabbricante. Non vi è più, quindi, uno spazio definitorio per l’amministrazione, alla quale spetta solo la determinazione, sulla base di criteri già individuati dalla norma di legge (prezzo medio e tempi di aspirazione), del procedimento tecnico teso ad individuare il quantitativo equivalente di sigarette su cui viene applicata l’imposta, nella misura di metà dell’accisa prevista per le sigarette tradizionali.

In tal modo, quindi, non si ravvisano profili di criticità rispetto all’art. 23 Cost., risultando soddisfatti i requisiti costantemente sottolineati da questa Corte: la preventiva determinazione di sufficienti criteri e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (tra le tante, sentenze n. 307 del 2013, n. 33 del 2012, n. 350 del 2007, n. 105 del 2003, n. 435 del 2001, n. 157 del 1996 e n. 4 del 1957), nonché la necessità che l’entità della prestazione imposta sia chiaramente desumibile dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 115 del 2010, n. 190 del 2007 e n. 236 del 1994).

6.2.– L’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, inoltre, ha effettuato una differenziazione ragionevole tra sigarette elettroniche e sigarette tradizionali, fondata, nell’esercizio della discrezionalità legislativa, sul diverso processo di assunzione del fumo elettronico e del fumo da sigarette tradizionali, quest’ultimo ritenuto più dannoso per la salute del consumatore. Per tale motivo, non a caso, l’imposta di consumo sui prodotti liquidi da inalazione è stata fissata in misura ridotta rispetto a quella prevista per i prodotti tradizionali da fumo, in virtù dell’assenza di combustione.

Tale differenziazione dell’imposizione, come osservato, mancava nella disciplina censurata dalla sentenza n. 83 del 2015, ove l’imposta equiparata all’accisa sulle sigarette tradizionali, oltre che ai liquidi contenenti nicotina, si applicava anche agli aromi e addirittura alle parti meccaniche necessarie all’inalazione di tali liquidi. L’eliminazione di siffatta equiparazione, pertanto, fa venir meno l’irragionevolezza ravvisata nella previgente disciplina, mentre rientra nell’apprezzamento del legislatore adottare la medesima aliquota per liquidi nicotinici e liquidi solo aromatici.

Peraltro, una tale scelta è anche corroborata da ragioni attinenti alla tutela della salute.

Com’è noto, infatti, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, 2014/40/UE «sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE» ha riconosciuto che le sigarette elettroniche possono diventare un prodotto di passaggio verso la dipendenza dalla nicotina e il consumo di tabacco tradizionale, «in quanto imitano e rendono normale l’atto di fumare» (considerando n. 43). Sotto tale profilo, non pare esservi differenza tra i liquidi senza nicotina e quelli con nicotina, che sono consumati nella stessa maniera. È bensì vero che l’art. 1 della direttiva, ai fini della disciplina di cui agli articoli successivi, definisce «sigaretta elettronica» quella utilizzabile per il consumo di nicotina. Tuttavia, nel considerando n. 47, essa afferma di non armonizzare tutti gli aspetti della sigaretta elettronica. Ed è su questa premessa che lascia «per esempio» agli Stati la responsabilità di adottare norme sugli aromi, asserendo che nel farlo essi «debbano tener conto dell’attrattiva potenziale di tali prodotti per i giovani e i non fumatori».

Si tenga presente, tra l’altro, che il livello di conoscenze attuali in materia di fumo elettronico non sembra essere tale da assicurare l’innocuità dei liquidi senza nicotina; ciò trova conferma anche nelle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), le cui raccomandazioni tese all’adozione di misure dissuasive dal fumo (con particolare riferimento alla raccomandazione del 18 ottobre 2014) considerano unitariamente i dispositivi elettronici da inalazione, a prescindere dal contenuto di nicotina dei liquidi inalabili.

I principi propri dell’ordinamento europeo e internazionale, dunque, pur non costituendo parametro del presente giudizio, confermano ulteriormente la ragionevolezza della disciplina legislativa anche in relazione alle esigenze di tutela della salute, tenuto conto dell’attrattività che l’inalazione senza combustione, anche priva di nicotina, potrebbe avere rispetto ai giovani e ai non fumatori. Appare, quindi, esente da censura costituzionale la sottoposizione ad un identico regime fiscale – comunque dal carico ridotto rispetto ai prodotti da combustione – di tutti i prodotti liquidi da inalazione.

6.3.– Le argomentazioni sin qui svolte consentono di escludere anche profili di contrasto tra l’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995 e l’art. 53 Cost.

L’imposta di consumo in questione – la cui finalità primaria è data dal recupero di un’entrata erariale (l’accisa sui tabacchi lavorati) erosa dal mercato delle sigarette elettroniche – non contrasta con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., anche nella parte in cui assoggetta i liquidi privi di nicotina alla medesima aliquota impositiva dei liquidi nicotinici. Essa, infatti, colpisce beni del tutto voluttuari, immessi in consumo dai fabbricanti e dai produttori, che per ciò stesso dimostrano una capacità contributiva adeguata, così come i consumatori finali sui quali viene traslata l’imposta. D’altronde, al legislatore spetta un’ampia discrezionalità in relazione alle varie finalità alle quali s’ispira l’attività di imposizione fiscale, essendogli consentito, «[…] sia pure con il limite della non arbitrarietà, di determinare i singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice rivelatore di ricchezza […]» (sentenza n. 111 del 1997).

Nondimeno, la finalità secondaria di tutela della salute propria dell’imposta di consumo, che già di per sé giustifica l’imposizione sui prodotti nicotinici, legittima anche l’eventuale effetto di disincentivo, in nome del principio di precauzione, nei confronti di prodotti che potrebbero costituire un tramite verso il tabacco.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 1), del decreto legislativo 15 dicembre 2014, n. 188 (Disposizioni in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi, a norma dell’articolo 13 della legge 11 marzo 2014, n. 23), sollevata, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 62-quater, comma 1-bis, del d.lgs. n. 504 del 1995, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 32 e 53, primo comma, Cost., dal TAR Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2017.