Decision of the Constitutional Court No. 203 of 15 June 2016

In:

G.U. 27 July 2016, No. 30

With this decision, the Constitutional Court ruled that the reduction by law of the Lazio Region expenses for health and the consequent redetermination of the amounts due, by contract, to some legal entities in charge with providing hospital care were not in violation of these entities’ economic rights. The ECHR Court’s jurisprudence has highlighted that limits in economic rights are admissible under the First Protocol, if aimed to protect public interests. On other hand, the expenses reduction was too little to be regarded as putting at risk the core content of the individual right to health guaranteed by Article 32 of the Constitution.

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanze del 27 febbraio (due ordinanze), del 28 febbraio, del 14 marzo, del 28 febbraio, del 27 febbraio (due ordinanze), del 28 febbraio (cinque ordinanze), del 14 marzo (quattro ordinanze) e del 27 febbraio 2014 (due ordinanze), rispettivamente iscritte ai nn. 160, 161, 162, 212, 213, 214, 215, 262, 263, 264, 265 e 266 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24, 25, 26, 27 e 28 del registro ordinanze 2015 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2014 e nn. 5 e 10, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visti gli atti di costituzione della San Raffaele spa e San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San Raffaele Pisana), dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata per la Regione Lazio ed altri, dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Santa Lucia, della Casa di cura privata S. Anna srl, dell’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, dell’ARIS, Associazione religiosa istituti-socio sanitari – Regione Lazio, della Provincia religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro, della Poligest spa, della Casa di cura Marco Polo srl, dell’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, della Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita, della Casa di cura Città di Roma spa, dell’Aurelia 80 spa, dell’European Hospital spa, de La Panoramica srl nonché gli atti di intervento della Regione Lazio e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 31 maggio 2016 e nella camera di consiglio del 1° giugno 2016 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Gianluigi Pellegrino per la San Raffaele spa e San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San Raffaele Pisana), per l’Associazione Italiana Ospedalità Privata per la Regione Lazio ed altri e per l’Istituto ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Santa Lucia, Silvio Bozzi per la Casa di cura privata S. Anna srl, per l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, per l’ARIS, Associazione religiosa istituti socio-sanitari – Regione Lazio, per la Provincia religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro e per l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, Francesco Saverio Marini per la Poligest spa, Beniamino Caravita di Toritto per la Casa di cura Marco Polo srl, Domenico Ielo per la Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli, Ospedale San Giovanni Calibita, Matteo Di Raimondo per La Panoramica srl, Massimo Luciani per la Regione Lazio e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con diciotto ordinanze, sei delle quali pronunciate il 27 febbraio 2014 (iscritte ai nn. 160, 161, 214 e 215 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 27 e 28 del registro ordinanze 2015), sette pronunciate il 28 febbraio 2014 (iscritte ai nn. 162, 213, 262, 263, 264, 265 e 266 del registro ordinanze 2014) e cinque il 14 marzo 2014 (iscritte al n. 212 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 23, 24, 25 e 26 del registro ordinanze 2015), il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato plurime questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

1.1.– Le questioni sono sorte nel corso di giudizi promossi da soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate dalla Regione Lazio per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera, al fine di ottenere l’annullamento del decreto n. 349 del 22 novembre 2012, con il quale il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Lazio ha disposto che le previsioni di spesa per il 2012 delle prestazioni ospedaliere sono rideterminate in diminuzione nella misura del 6,8519 per cento.

Il provvedimento è stato emesso in attuazione del citato art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, a norma del quale, nel testo vigente al momento della proposizione dei ricorsi, «a tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l’anno 2011, dello 0,5 per cento per l’anno 2012, dell’1 per cento per l’anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall’anno 2014 […]».

In taluni dei giudizi a quibus la richiesta di annullamento è estesa: al decreto commissariale n. 348 del 22 novembre 2012, che, in attuazione della stessa disposizione, ha disposto la riduzione della previsione di spesa per il 2012 per le prestazioni ambulatoriali nella misura dello 0,4245 per cento; al decreto commissariale n. 100 del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione di spesa per il 2013 per le prestazioni ospedaliere operando una riduzione dello 0,5 per cento di quella già stabilita per il 2012, e al decreto commissariale n. 183 del 2013, con il quale è stato approvato lo schema tipo di contratto-accordo per la definizione dei rapporti giuridici tra le aziende sanitarie del Lazio e i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale.

2.– In tutte le ordinanze – a eccezione di quella iscritta al n. 28 del registro ordinanze 2015 – sono sollevate questioni di illegittimità per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 41 della Costituzione. Sono comuni anche le censure per violazione del principio di irretroattività, evocato in alcune ordinanze senza specifici riferimenti a norme costituzionali (reg. ord. nn. 160, 161, 214 e 215 del 2014 e nn. 27 e 28 del 2015) e nelle altre in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.

Sono parzialmente comuni le censure per violazione degli artt. 32 (reg. ord. nn. 162, 212, 213, 262, 263, 264, 265, 266 del 2014 e nn. 23, 24, 25, 26 e 28 del 2015) e 117, primo comma, Cost. (reg. ord. nn. 162 e 213 del 2014 e nn. 23, 24, 25 e 26 del 2015), quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Superate – là dove sono state sollevate – le questioni di difetto di giurisdizione del giudice adito (reg. ord. n. 212 del 2014) e di inapplicabilità della norma denunciata agli ospedali “classificati”, in quanto equiparabili a quelli pubblici (reg. ord. nn. 215, 262, 263, 264, 265 e 266 del 2014), il rimettente lamenta, innanzi tutto, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., richiamando la competenza concorrente dello Stato e delle regioni in materia di sanità.

A suo avviso, l’art. 15, comma 14, nel prevedere un taglio generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni successivi che esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi precedentemente stipulati con le singole strutture accreditate, non può ritenersi norma che fissa principi fondamentali, e risulta pertanto in contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost.

Il TAR ricorda la giurisprudenza costituzionale secondo la quale obiettivi di finanza pubblica complessiva e di contenimento della spesa possono comportare limiti all’autonomia legislativa concorrente delle regioni nel settore della tutela della salute e in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario, per cui il legislatore statale può legittimamente imporre vincoli alla spesa corrente delle regioni. A suo giudizio, tuttavia, l’art. 15, comma 14, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto individua specificatamente i settori ove conseguire (con imposizione di tagli «lineari» e senza alternative), i risparmi nella spesa sanitaria, senza limitarsi ad una mera quantificazione in via generale dei suddetti risparmi, lasciando alla discrezionalità dell’amministrazione regionale l’individuazione dei comparti di spesa dove ottenerli e delle modalità per conseguirli (magari differenziando i destinatari dei tagli di spesa secondo propri criteri apprezzati discrezionalmente come più rispondenti all’interesse e alle peculiarità regionali).

Il rimettente lamenta, altresì, la violazione dei principi costituzionali in tema di irretroattività della legge extrapenale, evocando (anche se non in tutte le ordinanze, come ricordato) i parametri di cui agli artt. 3 e 97 Cost.

A suo avviso, la norma censurata e i decreti commissariali impugnati – questi ultimi adottati a fine novembre 2012, quando il limite della previsione di spesa annuale sarebbe stato ormai sostanzialmente raggiunto – avrebbero inciso sul legittimo affidamento delle singole strutture sanitarie ad erogare le prestazioni e a ricevere il corrispettivo stabilito nei contratti anteriormente stipulati e per la corretta esecuzione dei quali le medesime strutture sanitarie avevano predisposto le necessarie risorse organizzative ed effettuato i relativi investimenti.

Il giudice rimettente non ignora che la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha ritenuto legittima l’introduzione retroattiva di tetti di spesa in materia sanitaria (cita la sentenza dell’adunanza plenaria n. 4 del 2012), ma osserva che, secondo la stessa giurisprudenza, un intervento di questo tipo è rispettoso della tutela dell’affidamento solo a condizione che i soggetti interessati possano avere riguardo ai tetti di spesa previsti per l’anno precedente, tenendo contemporaneamente conto degli ulteriori limiti imposti dalle disposizioni finanziarie conoscibili all’inizio e nel corso dell’anno. Questa condizione – ad avviso del rimettente – non si sarebbe realizzata nel caso della norma censurata, che impone i tagli delle previsioni di spesa già approvate «con parziale decorrenza retroattiva dall’1.1.2012», senza «alcun preesistente parametro da cui i destinatari abbiano potuto preavvertire l’intervento della disposta riduzione».

In continuità con la censura appena illustrata, il giudice a quo prospetta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per il tramite dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU quale norma interposta, «stante la lesione con effetto retroattivo di un bene acquisito in presenza di un affidamento legittimamente ingenerato da budget attribuiti e relativi contratti stipulati».

La norma in questione contrasterebbe anche con l’art. 41 Cost., in quanto, impedendo la remunerazione di prestazioni già erogate, lederebbe la libertà di iniziativa economica privata.

Contrasterebbe, infine, con l’art. 32 Cost., perché le riduzioni delle previsioni di spesa, giustificate solo da ragioni economico-finanziarie e aggiuntive rispetto ad analoghe misure, adottate in precedenza, potrebbero determinare una compromissione del diritto alla salute.

La rilevanza delle questioni sembra, ad avviso del TAR, «del tutto evidente» in tutti i giudizi a quibus, in quanto esse investono la disciplina normativa in applicazione della quale sono stati adottati i contestati decreti del Commissario ad acta.

3.– Si sono costituite nei giudizi di costituzionalità – a eccezione di quelli promossi con le ordinanze iscritte al n. 215 del registro ordinanze 2014 e ai nn. 26 e 28 del registro ordinanze 2015 – le parti ricorrenti nei giudizi principali, che hanno chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dal TAR nei rispettivi processi.

Gli atti di costituzione della San Raffaele spa e della San Raffaele Roma srl (quale gestore dell’IRCCS San Raffaele Pisana), dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata per la Regione Lazio e altri e dell’Istituto di Ricovero e Cura a carattere scientifico Fondazione Santa Lucia hanno analogo contenuto. In essi si sottolinea la natura puntuale della norma censurata, là dove impone una riduzione in misura percentuale fissa delle previsioni di spesa risultanti dai singoli contratti e accordi stipulati dalle regioni con le case di cura. Si evidenzia, poi, che la norma inciderebbe in modo retroattivo sui rapporti contrattuali in corso nel 2012, precludendo ogni possibilità di riprogrammare l’attività per il brevissimo periodo residuo dell’anno e così ledendo l’affidamento legittimamente sorto in capo ai contraenti a erogare le prestazioni e ricevere il compenso fissato al momento della sottoscrizione del contratto.

La norma contrasterebbe anche con l’art. 41 Cost., in quanto nemmeno un atto legislativo potrebbe negare a un imprenditore la remunerazione di prestazioni sanitarie già eseguite sulla base di contratti stipulati con il Servizio sanitario nazionale, finendosi altrimenti con l’addossare a carico delle strutture private una quota delle spese per l’assistenza sanitaria.

Nei loro atti di costituzione, aventi tutti analogo contenuto, la Casa di cura privata S. Anna srl, l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, l’ARIS, Associazione religiosa istituti socio sanitari – Regione Lazio e la Provincia religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro lamentano la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. Secondo gli intervenienti la norma in questione integrerebbe una legge provvedimento a contenuto dettagliato, destinata a produrre i suoi effetti su specifici aspetti del sistema sanitario regionale. Richiamando la giurisprudenza costituzionale sul rapporto tra normativa statale di principio e normativa statale di dettaglio nelle materie concorrenti, essi negano che la riduzione lineare disposta dall’art. 15, comma 14, stia in rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione rispetto all’obiettivo del contenimento della spesa relativa all’acquisto di prestazioni da soggetti privati. Il legislatore statale avrebbe sostituito «con una legge provvedimento l’esercizio di una funzione amministrativa regionale […] finalizzata espressamente ad allocare in maniera efficiente – attraverso una comparazione tra le qualità dei diversi soggetti erogatori – la spesa per l’acquisto di prestazioni da parte di soggetti privati». La riduzione lineare della spesa dei soggetti erogatori, disposta dall’art. 15, comma 14, sarebbe quindi irragionevole, perché in contrasto con quanto dispone l’art. 8-quinquies, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), che prevede una valutazione comparativa della qualità e dei costi prima della stipulazione dei contratti con le strutture accreditate. Risulterebbe così confermato che la norma non è «coessenziale al principio di competenza nazionale del contenimento della spesa».

L’incidenza retroattiva su un rapporto contrattuale di durata renderebbe manifesta, ad avviso delle parti private, la lesione dell’affidamento nella stabilità di una situazione giuridica acquisita, e quindi il contrasto con l’art. 3 Cost., in assenza di una causa normativa adeguata. Il legislatore avrebbe infatti anche omesso di operare un bilanciamento tra le esigenze contrapposte, riducendo, se non eliminando per il periodo dell’anno già trascorso, la diminuzione di spesa per il 2012, e aumentando le percentuali previste per gli anni successivi.

Un ulteriore profilo di irragionevolezza sarebbe ravvisabile nel fatto che la norma, determinando in concreto una riduzione della spesa per il 2012 pari al 6,85 per cento, avrebbe eliminato ogni margine residuo di utile per le strutture private accreditate, così violando l’art. 41 Cost.

Il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, deriverebbe dalla qualificazione del diritto di credito maturato dalle strutture accreditate come «bene» tutelato da tale disposizione convenzionale, nonché dalla mancanza di una «base legale interna» idonea a operare il giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale e gli imperativi di salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, sicché anche per questa via l’efficacia retroattiva della norma dovrebbe ritenersi lesiva del legittimo affidamento.

Infine, le parti private prospettano sotto un diverso profilo la violazione degli artt. 3, 41 e 97, in relazione all’art. 32 Cost. La norma discriminerebbe gli operatori sanitari privati a discapito di quelli pubblici, benché si tratti di soggetti assimilabili dal punto di vista della definizione delle previsioni di spesa per l’erogazione delle prestazioni, senza alcuna valutazione circa il miglior modo per garantire l’efficienza della spesa residua, al netto delle riduzioni disposte. Ne conseguirebbe il sacrificio del diritto alla salute.

L’interveniente Poligest spa sviluppa gli argomenti offerti dal TAR a sostegno delle censure di violazione dell’art. 41 Cost., osservando che la norma «è andata ad incidere sui contratti già sottoscritti, a prestazioni già irrogate in forza di una precedente e più favorevole determinazione del tetto di spesa da parte delle regioni, quando il budget annuale del 2012 era già stato raggiunto». Ne risulterebbe così lesa la libertà imprenditoriale, costituendo la determinazione preventiva della previsione di spesa elemento fondamentale della programmazione economica della casa di cura.

Aggiunge che l’affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici è gravemente leso allorché l’intervento legislativo incida sulle condizioni essenziali del contratto e non potrebbe trovare giustificazione, secondo la giurisprudenza costituzionale, in una «generalizzata» esigenza di contenimento della finanza pubblica (cita la sentenza n. 94 del 2009).

Quanto alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., la parte privata nega la natura di principio fondamentale di «coordinamento della finanza pubblica» della norma censurata. Essa non lascia alcun margine di discrezionalità alla regione nella riduzione in misura fissa dell’importo e prevede una misura puntuale e esaustiva. L’offerta «minimale» dei servizi sanitari, inoltre, non potrebbe essere unilateralmente imposta dallo Stato, ma dovrebbe essere concordata per taluni aspetti con le regioni, formando «oggetto di concertazione».

Quanto alla violazione degli artt. 3 e 32 Cost., lamenta che non vi sarebbe stato un ragionevole bilanciamento tra la tutela del diritto alla salute e la limitatezza delle risorse della spesa sanitaria. La norme in esame non supererebbe il vaglio di ragionevolezza e non arbitrarietà, poiché le misure da essa disposte si aggiungerebbero retroattivamente ad altre già in essere e contrasterebbero con i principi stabiliti dalla sentenza n. 309 del 1999, secondo la quale le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute. La misura, inoltre, pregiudicherebbe la funzionalità e l’efficienza delle strutture private essenziali nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, così violando l’art. 32 Cost.

Analogo contenuto presentano gli atti di costituzione delle intervenienti Casa di cura Città di Roma spa, Aurelia 80 spa e European Hospital spa. Vi si lamenta che il decreto del Commissario ad acta è intervenuto quando le prestazioni erano già state erogate, negandone il pagamento, e che la riduzione è stata determinata in misura fissa per tutte le strutture, mentre la norma si riferirebbe ai singoli contratti o alle singole convenzioni. Inoltre i dati messi a confronto nel decreto impugnato non sarebbero omogenei.

Con riferimento alla violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., si sostiene che l’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 è una norma di dettaglio, produttiva degli effetti di una «legge provvedimento».

Con riferimento alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., la norma avrebbe carattere retroattivo, incidendo su diritti acquisiti e modificando la disciplina dei contratti in corso, e determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra le strutture interessate dal provvedimento, penalizzando quelle che – come le strutture gestite dalle intervenute – conseguono volumi di produzione più elevati ed esauriscono o superano i livelli massimi di spesa già assegnati.

Quanto alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., le parti richiamano quale norma interposta anche l’art. 6 del Protocollo addizionale alla CEDU (recte: art. 6 della CEDU). Inoltre, prospettano il contrasto con l’art. 11 Cost., in relazione ai principi comunitari di cui agli artt. 49, 56, 63 e 10 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957.

Infine, con riferimento agli artt. 41 e 32 Cost., deducono che la norma realizzerebbe l’esproprio dei loro crediti, mediante una sorta di prelievo forzoso sproporzionato e irragionevole, e ribadiscono che essa priva le strutture accreditate delle risorse necessarie a garantire i livelli essenziali di assistenza.

Le intervenienti Casa di Cura Marco Polo srl, Casa Generalizia dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita e La Panoramica srl, nel costituirsi in giudizio, hanno chiesto l’accoglimento delle questioni sollevate dal rimettente, senza esporre argomenti a sostegno delle loro conclusioni.

4.– Nei giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 160, 161 e 162 del registro ordinanze 2014 si è costituita anche la Regione Lazio (parte resistente nei rispettivi giudizi a quibus), con atti depositati il 28 ottobre 2014 di analogo tenore.

In via preliminare, la Regione eccepisce l’inammissibilità delle questioni per carenza assoluta di motivazione della rilevanza. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe dovuto dimostrare l’infondatezza dei motivi di impugnazione con i quali i ricorrenti nei processi principali hanno lamentato i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere dei provvedimenti impugnati, giacché, qualora tali censure fossero fondate, il TAR dovrebbe accogliere le domande, senza necessità di sollevare le questioni di legittimità costituzionale.

Altro profilo di inammissibilità deriverebbe dalla lacunosa e insufficiente individuazione dell’oggetto delle questioni, in quanto il rimettente non avrebbe indicato quali, tra le plurime disposizioni contenute nell’art. 15, comma 14 – diverse per ambito di efficacia, validità nel tempo, strumenti amministrativi predisposti – siano investite dai dubbi di legittimità sollevati.

L’inadeguata identificazione dell’oggetto delle questioni determinerebbe, altresì, l’inammissibilità per difetto di motivazione, sia della rilevanza, che della non manifesta infondatezza, non avendo il giudice a quo motivato «partitamente circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di legittimità di ogni singola norma risultante dal vasto complesso di disposizioni di cui al comma in oggetto».

Infine, le questioni sarebbero inammissibili per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata.

Nel merito, la Regione sostiene la possibilità di interpretare l’art. 15, comma 14, in senso conforme a Costituzione, sulla scia di quanto fatto dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 182 del 2011 e n. 139 del 2012, in relazione all’art. 6 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Dunque, l’art. 15, comma 14, garantirebbe alle regioni «un adeguato margine di apprezzamento quanto al governo della spesa sanitaria, ben potendo esse articolare, per ciascun anno finanziario, le opportune poste di bilancio, fermo restando il “taglio” disposto dal legislatore statale». La Regione, poi, rileva che la norma in questione ricadrebbe nell’ambito del «coordinamento della finanza pubblica» prima ancora che in quello della «tutela della salute». La sua legittimità risulterebbe anche «dalla limitazione temporale e dalla eccezionalità delle restrizioni previste».

5.– Nei giudizi di costituzionalità – a eccezione di quelli promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 27 e 28 del registro ordinanze 2015 – è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso l’Avvocatura generale dello Stato, con atti di analogo tenore depositati il 28 ottobre 2014.

In primo luogo, la difesa dello Stato eccepisce l’inammissibilità della questione fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost. I giudizi a quibus hanno ad oggetto atti adottati dal Presidente della Regione in qualità di Commissario ad acta, per cui non sarebbe «rilevante la questione della lesione di prerogative regionali (…), vertendosi in un contenzioso in cui vengono impugnati provvedimenti riferibili sostanzialmente allo Stato».

Quanto al merito, l’Avvocatura generale osserva che, in base alla giurisprudenza costituzionale, l’autonomia regionale in materia di tutela della salute potrebbe essere limitata per esigenze di contenimento della spesa. La norma censurata sarebbe legittima in quanto emanata per garantire «l’efficienza nell’uso delle risorse destinate al settore sanitario e l’appropriatezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie».

Inoltre, l’art. 15, comma 14, lascerebbe alle regioni «un margine di autonomia e di manovra», riservando loro «il potere di stabilire quali sono le prestazioni sanitarie di assistenza specialistica ambulatoriale ed assistenza ospedaliera sulle quali incidere, riducendole». Le regioni potrebbero dunque prevedere «riduzioni maggiori o minori in relazione a particolari prestazioni o a determinate strutture o in base alle peculiarità dei propri servizi sanitari».

Con riferimento alle questioni fondate sugli artt. 3 e 97 Cost., l’intervenuto contesta che la norma abbia efficacia retroattiva, in quanto essa è inserita in un provvedimento che, nella sua versione definitiva a seguito della conversione in legge del d.l. n. 95 del 2012, risale al mese di agosto del 2012. Ciò avrebbe reso possibile per le strutture accreditate la «rimodulazione dei volumi delle prestazioni per la restante parte del 2012», sicché sarebbe da escludere la lesione dell’affidamento e dei crediti già maturati.

L’intervenuto eccepisce, altresì, l’inammissibilità delle questioni fondate sugli artt. 32, 41 e 97 Cost., in quanto non si comprenderebbe «quali siano esattamente i parametri e i precetti costituzionali (tra quelli richiamabili dai richiamati articoli della Carta costituzionale) oggetto di violazione, né quale sia l’iter motivazionale che induca a ritenere che l’art. 15, comma 14, del D.L. 95/2012 vada interpretato esclusivamente nel senso della sua efficacia retroattiva ovvero della non remunerabilità di prestazioni già erogate […] o come possa seriamente incidere sul nucleo essenziale del diritto alla salute dei cittadini».

Nel merito, sostiene che la modesta riduzione della spesa in misura percentuale fissa non sarebbe manifestamente irragionevole, considerata l’eccezionalità del dissesto finanziario nel settore sanitario. Inoltre, l’intervento legislativo non sembrerebbe idoneo a compromettere il diritto alla salute dei cittadini.

Infine, la difesa statale richiama le competenze statali esclusive nelle materie «ordinamento civile» e «livelli essenziali delle prestazioni», previste all’art. 117, secondo comma, lettere l) ed m), Cost., che legittimerebbero lo Stato a incidere sui rapporti giuridici sorti da contratti o accordi tra enti del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati.

6.– Nell’imminenza dell’udienza hanno depositato memorie illustrative, aventi analogo contenuto, la Casa di cura privata S. Anna srl, l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, l’ARIS, Associazione religiosa istituti socio-sanitari – Regione Lazio e la Provincia Religiosa di San Pietro, Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro.

Le intervenienti contestano la tesi, sostenuta dal Presidente del Consiglio dei ministri, che nega l’efficacia retroattiva della norma, in quanto essa consentirebbe ai soggetti privati accreditati di rimodulare le prestazioni per la restante parte del 2012, senza lesione dell’affidamento e dei crediti già maturati. A questo proposito, deducono che la riduzione di spesa incide su un assetto di interessi regolato in rapporto all’intera durata annuale dell’accordo e vale anche per le strutture private che al momento dell’entrata in vigore della disposizione avessero già superato il volume delle prestazioni corrispondente alla previsione di spesa del 2011 decurtata dello 0,5 per cento, cosicché le prestazioni eccedenti questo limite non sarebbero remunerate.

Inoltre, osservano che la norma prevede un taglio complessivo in ragione d’anno e non su base semestrale. Pertanto la riduzione non può che gravare su tutte le prestazioni eseguite nel 2012, alle quali la misura sarebbe stata irrazionalmente estesa.

Le intervenienti ribadiscono che il taglio in questione avrebbe natura “lineare”, non consentendo alle regioni alcun margine di apprezzamento nella scelta dei soggetti, privati o pubblici ai quali applicare le misure di contenimento della spesa, e negano che l’adozione dei provvedimenti da parte del Commissario ad acta, quale organo statale, costituisca una circostanza rilevante ai fini del giudizio sulla costituzionalità della norma in questione.

Anche la Casa di cura Marco Polo srl e la Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita hanno depositato memorie illustrative nell’imminenza dell’udienza.

La Casa di cura Marco Polo srl contesta innanzitutto che l’autonomia legislativa delle regioni subisca deroghe per il fatto che i provvedimenti impugnati nei giudizi a quibus siano stati emanati dal Commissario ad acta quale organo dello Stato.

Nel merito, osserva che la norma in questione, non lasciando margini di intervento alternativo alle regioni, avrebbe natura dettagliata, incompatibile con la natura di previsione che fissa un principio fondamentale della materia.

Ad avviso dell’interveniente, anche a volere ammettere che le regioni possano scegliere le prestazioni da ridurre nei vari settori, come sostiene l’Avvocatura dello Stato, la disposizione sarebbe lesiva dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento fra le strutture private. Esse sarebbero infatti esposte a un potere discrezionale illimitato delle regioni, in totale assenza di criteri per la rimodulazione delle riduzioni di spesa, successivamente introdotti dall’art. 1, comma 574, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016), solo a decorrere dal 2016.

Neppure si potrebbe invocare la competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» e di «determinazione dei livelli essenziali» di assistenza, dal momento che in questo caso non si tratterebbe della regolazione contrattuale dei rapporti privati, «né l’intervento statale potrebbe investire singoli e specifici profili organizzativi senza ledere l’autonomia legislativa delle Regioni».

La norma in questione contrasterebbe, altresì, con i principi costituzionali e convenzionali sull’efficacia retroattiva delle leggi, modificando retroattivamente i rapporti contrattuali in essere e incidendo così sul legittimo affidamento delle strutture private nella sicurezza giuridica. Sotto tale profilo, l’interveniente osserva che le riduzioni devono essere attuate con provvedimenti amministrativi, e che nel 2012 le strutture private hanno potuto conoscere l’effettiva decurtazione subita solo a fine anno, quando la previsione di spesa era già completamente esaurita, senza che fosse stato previsto un meccanismo di riequilibrio per la perdita dei loro diritti di credito. Osserva inoltre che anche i crediti devono essere qualificati come «beni» ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, con la conseguenza che l’applicazione retroattiva delle riduzioni di spesa a tutti gli accordi vigenti nel 2012 pregiudicherebbe un bene acquisito in virtù di un legittimo affidamento, senza trovare idonea giustificazione nelle esigenze finanziarie dello Stato.

L’incisione retroattiva sui rapporti contrattuali in corso nel 2012, e quindi sui crediti sorti dalle prestazioni già erogate, comporterebbe anche la lesione dell’art. 41 Cost. – che il rimettente avrebbe adeguatamente illustrato –, in assenza di ragioni giustificatrici della limitazione dell’iniziativa economica privata.

Infine, la norma contrasterebbe con l’art. 32 Cost., prevedendo tagli generalizzati e indifferenziati per tutte le strutture private, senza distinguere in base al fabbisogno sul territorio e al tipo di prestazioni. Sarebbero così penalizzate le strutture che, come quella gestita dall’interveniente, erogano cure altamente specialistiche, con rischi di diminuzione delle garanzie di cure adeguate e efficienti ai cittadini, non sufficientemente soddisfatte dalle strutture pubbliche, caratterizzate da lunghe liste d’attesa.

La Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita deduce che l’art. 3 Cost. è violato dall’art. 15, comma 14, sotto il duplice profilo della disparità di trattamento, incidendo solo sulle strutture sanitarie private e non su quelle pubbliche, e della lesione del legittimo affidamento, per avere introdotto una modifica in peius degli accordi contrattuali vigenti nel 2012, con efficacia retroattiva.

Dall’indicata disparità di trattamento conseguirebbe anche la violazione dell’art. 41 Cost., per l’illegittimo limite apportato dalla riduzione della previsione di spesa all’esercizio della libertà di iniziativa economica privata, e dell’art. 32 Cost., per la riduzione dell’offerta sanitaria che la norma comporta.

La parte privata sostiene, altresì, che il contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo dell’invasione della competenza concorrente delle regioni in materia di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica», deriverebbe dall’impossibilità di qualificare la norma censurata come un principio fondamentale nelle materie indicate, considerata la durata non transitoria della misura di contenimento della spesa pubblica, essendone prevista l’applicazione anche a decorrere dal 2014, e la sua natura dettagliata, che non lascerebbe margini di intervento alle regioni.

La San Raffaele spa, l’Associazione Italiana Ospedalità Privata per la Regione Lazio e altri e l’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico Fondazione Santa Lucia hanno depositato memorie fuori termine.

6.1.– Hanno depositato memorie illustrative anche la Regione Lazio e il Presidente del Consiglio dei ministri.

La prima insiste nelle eccezioni già formulate di inammissibilità delle questioni per insufficiente individuazione del loro oggetto, per difetto di motivazione sulla rilevanza e per omesso esperimento del tentativo di interpretazione conforme.

Nel merito, ribadisce che la natura puntuale della disposizione non elimina il margine di manovra delle regioni nella scelta dei singoli settori di intervento e contesta che la riduzione degli importi e dei volumi di acquisto si debba necessariamente eseguire in percentuale fissa. Essa potrebbe invece essere modulata dalle singole regioni. L’intervenuta rileva, altresì, che l’entità della riduzione per il 2012 è oggettivamente modesta e non si riferisce alle prestazioni già erogate, sicché non vi sarebbe lesione del legittimo affidamento dei soggetti accreditati, come avrebbe ritenuto anche la giurisprudenza amministrativa, in linea con quella costituzionale (è citata TAR Molise, sezione prima, sentenza 27 giugno 2013, n. 436).

Infine, sarebbe da escludere anche la violazione dell’art. 41 Cost., in quanto i privati interessati dalla misura avevano a disposizione un arco di tempo idoneo ad assorbirne gli effetti. Tali effetti sarebbero comunque percentualmente molto limitati.

Il Presidente del Consiglio dei ministri ribadisce, a sua volta, le eccezioni di inammissibilità già formulate e sottolinea, nel merito, che la legittimità della norma deriva, sotto tutti i profili evocati, dal corretto bilanciamento degli interessi in gioco eseguito dal legislatore, diretto ad assicurare la realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica riservando al contempo alle regioni il potere di selezionare le prestazioni sanitarie da ridurre.

Considerato in diritto

1.– Con diciotto ordinanze di rimessione il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sottoposto a questa Corte le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

1.1.– I giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia, avendo ad oggetto la medesima disposizione, censurata in riferimento a parametri e per motivi in gran parte coincidenti.

1.2.– L’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, nel testo vigente all’epoca della pronuncia delle ordinanze di rimessione, così recitava: «A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi vigenti nell’esercizio 2012, ai sensi dell’articolo 8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati per l’assistenza specialistica ambulatoriale e per l’assistenza ospedaliera, si applica una riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto in misura percentuale fissa, determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre la spesa complessiva annua, rispetto alla spesa consuntivata per l’anno 2011, dello 0,5 per cento per l’anno 2012, dell’1 per cento per l’anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall’anno 2014. Qualora nell’anno 2011 talune strutture private accreditate siano rimaste inoperative a causa di eventi sismici o per effetto di situazioni di insolvenza, le indicate percentuali di riduzione della spesa possono tenere conto degli atti di programmazione regionale riferiti alle predette strutture rimaste inoperative, purché la regione assicuri, adottando misure di contenimento dei costi su altre aree della spesa sanitaria, il rispetto dell’obiettivo finanziario previsto dal presente comma. La misura di contenimento della spesa di cui al presente comma è aggiuntiva rispetto alle misure eventualmente già adottate dalle singole regioni e province autonome di Trento e Bolzano e trova applicazione anche in caso di mancata sottoscrizione dei contratti e degli accordi, facendo riferimento, in tale ultimo caso, agli atti di programmazione regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano della spesa sanitaria. Il livello di spesa determinatosi per il 2012 a seguito dell’applicazione della misura di contenimento di cui al presente comma costituisce il livello su cui si applicano le misure che le regioni devono adottare, a decorrere dal 2013, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, lettera a), terzo periodo del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111».

1.3.– Le questioni sono sorte nel corso di giudizi promossi da soggetti che gestiscono strutture sanitarie accreditate dalla Regione Lazio per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e ospedaliera, al fine di ottenere l’annullamento del decreto n. 349 del 22 novembre 2012. Con tale decreto il Commissario ad acta per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Lazio ha disposto che, in attuazione del citato art. 15, comma 14, le previsioni di spesa per il 2012 delle prestazioni ospedaliere sono rideterminate in diminuzione nella misura del 6,8519 per cento. In taluni dei giudizi a quo la richiesta di annullamento è estesa: al decreto commissariale n. 348 del 22 novembre 2012, che, in attuazione della stessa disposizione, ha disposto la riduzione della previsione di spesa per il 2012 per le prestazioni ambulatoriali nella misura dello 0,4245 per cento; al decreto commissariale n. 100 del 9 aprile 2013, che ha definito la previsione di spesa per il 2013 per le prestazioni ospedaliere operando una riduzione dello 0,5 per cento di quello già stabilito per il 2012; al decreto commissariale n. 183 del 2013, con il quale è stato approvato lo schema tipo di contratto-accordo per la definizione dei rapporti giuridici tra le Aziende sanitarie del Lazio e i soggetti erogatori di prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale (SSN).

1.4.– Il rimettente lamenta innanzitutto la violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, richiamando la competenza concorrente dello Stato e delle regioni in materia di sanità.

A suo avviso l’art. 15, comma 14, laddove prevede un taglio generalizzato della spesa per il 2012 e per gli anni successivi che esse sono chiamate a sostenere sulla base di accordi precedentemente stipulati con le singole strutture accreditate, non può ritenersi norma che fissa principi fondamentali. La previsione risulta pertanto in contrasto con il richiamato art. 117, terzo comma, Cost.

Il rimettente lamenta, altresì, la violazione dei principi costituzionali in tema di irretroattività della legge extrapenale, evocando (anche se non in tutte le ordinanze) gli artt. 3 e 97 Cost.

A suo avviso la norma censurata e i decreti commissariali impugnati – questi ultimi adottati a fine novembre 2012, quando il limite della previsione di spesa annuale sarebbe stato ormai sostanzialmente raggiunto – avrebbero inciso negativamente sul legittimo affidamento delle singole strutture sanitarie a erogare le prestazioni e a ricevere il corrispettivo stabilito nei contratti anteriormente stipulati e per la corretta esecuzione dei quali le medesime strutture sanitarie avevano predisposto le necessarie risorse organizzative ed effettuato i relativi investimenti.

In continuità con la censura appena illustrata, il giudice a quo prospetta la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., per il tramite, quale norma interposta, dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, «stante la lesione con effetto retroattivo di un bene acquisito in presenza di un affidamento legittimamente ingenerato da budget attribuiti e relativi contratti stipulati».

La norma contestata contrasterebbe anche con l’art. 41 Cost., in quanto, impedendo la remunerazione di prestazioni già erogate, lederebbe la libertà di iniziativa economica privata.

Si porrebbe infine in contrasto con l’art. 32 Cost., perché le riduzioni delle previsioni di spesa, giustificate solo da ragioni economico-finanziarie e aggiuntive rispetto ad analoghe misure adottate in precedenza, potrebbero compromettere il diritto alla salute.

2.– Al fine di delimitare l’oggetto del giudizio di costituzionalità, va esaminata in limine l’ammissibilità di alcune deduzioni svolte dalle parti private costituitesi nel giudizio costituzionale, le quali tendono ad ampliare il thema decidendum.

La Casa di cura privata S. Anna srl, l’Ospedale Israelitico – Ospedale Provinciale Specializzato Geriatrico, l’Istituto Figlie di San Camillo – Ospedale Madre Giuseppina Vannini, l’ARIS, Associazione religiosa istituti socio-sanitari – Regione Lazio e la Provincia Religiosa di San Pietro, Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale Villa San Pietro lamentano la violazione degli artt. 3, 41 e 97, in relazione all’art. 32 Cost., sotto un profilo dichiaratamente diverso da quello prospettato nelle ordinanze di rimessione. A loro avviso la norma discriminerebbe gli operatori sanitari privati a discapito di quelli pubblici, non colpiti dai tagli, senza operare alcuna comparazione diretta a garantire l’efficienza della spesa residua al netto delle riduzioni disposte. Ne risulterebbe sacrificato il diritto alla salute dei cittadini.

Analoghe censure, con riferimento agli artt. 3, 41 e 32 Cost., sono illustrate dalla Casa generalizia dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio Fatebenefratelli – Ospedale San Giovanni Calibita nella memoria depositata nell’imminenza dell’udienza. In essa si prospetta anche la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., sotto il profilo – non prospettato dal giudice a quo – della non transitorietà della misura di contenimento della spesa sanitaria, che ne impedirebbe la qualificazione come norma di principio nelle materie di «tutela della salute» e di «coordinamento della finanza pubblica».

Un’autonoma violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento fra le strutture private è sollevata anche dalla Casa di cura Marco Polo srl. A suo giudizio, se la norma contestata dovesse essere interpretata nel senso di consentire alle regioni di scegliere quali specifiche prestazioni sanitarie ridurre, le strutture accreditate sarebbero esposte a un eccessivo potere discrezionale delle regioni.

La Poligest spa sostiene, tra l’altro, che l’offerta «minimale» dei servizi sanitari non potrebbe essere unilateralmente imposta dallo Stato, come avviene con la norma denunciata, ma dovrebbe essere concordata per taluni aspetti con le regioni mediante «concertazione» (sono citate le sentenze n. 203 del 2008, n. 98 del 2007 e n. 168 del 2004). L’interveniente sembra lamentare la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e regioni nella determinazione mediante procedure non legislative dei cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza nel settore sanitario), come si desume dai richiamati precedenti giurisprudenziali. La censura attiene a un profilo non sollevato dal giudice rimettente. Peraltro essa sarebbe inconferente nel caso di specie nel quale non si fa questione di determinazione dei LEA mediante procedure non legislative.

La Casa di cura Città di Roma spa sostiene che la norma determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra le strutture sanitarie interessate dal provvedimento, penalizzando quelle che conseguono volumi di produzione più elevati e pertanto esauriscono – e anzi superano, come la interveniente avrebbe superato – i livelli massimi di spesa già assegnati. Nemmeno questa censura è prospettata dal rimettente, che ha denunciato il contrasto con l’art. 3 Cost. sotto il diverso profilo della lesione dell’affidamento.

A proposito della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., la stessa interveniente invoca quale parametro interposto, oltre all’art. 1 già indicato dal TAR, anche l’art. 6 del Protocollo addizionale alla CEDU, che riguarda la firma e la ratifica del trattato internazionale. È probabile che la parte intenda più correttamente riferirsi all’art. 6 della CEDU, sia perché la deduzione si affianca ad argomenti difensivi che trattano del principio di irretroattività, sia perché a suo sostegno è richiamata la giurisprudenza della Corte EDU formatasi sull’art. 6 della Convenzione. Anche questa censura è estranea a quelle sollevate dal giudice a quo.

L’interveniente lamenta, infine, la violazione dell’art. 11 Cost. in relazione agli artt. 10, 49, 56 e 63 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sottoscritto a Roma il 25 marzo 1957, da considerare quali parametri interposti. Stando al tenore letterale delle deduzioni, sembrano richiamati i principi comunitari di libertà di stabilimento e di certezza del diritto, ancorché i riferimenti normativi non siano del tutto corretti (l’art. 10 del TFUE, ad esempio, concerne il divieto di discriminazione per ragioni di sesso, razza, origine etnica, religione, convinzioni personali, disabilità, età o orientamento sessuale, che nel caso concreto non rileva). Nemmeno queste violazioni sono state prospettate dal giudice a quo.

Tutte le censure indicate si traducono in questioni non sollevate dal rimettente e in quanto tali inammissibili. In relazione al thema decidendum, l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle norme e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non possono essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissate, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2011, n. 236 del 2009, n. 56 del 2009, n. 86 del 2008).

3.– L’interveniente Regione Lazio solleva plurime eccezioni di inammissibilità delle questioni che vanno esaminate in via preliminare.

In primo luogo deduce la carenza assoluta di motivazione sulla rilevanza. A suo avviso, il giudice a quo avrebbe dovuto dimostrare l’infondatezza dei motivi con i quali i ricorrenti nei processi principali lamentano i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, poiché, qualora tali censure fossero fondate, il TAR dovrebbe accogliere le impugnazioni e non vi sarebbe necessità di sollevare le questioni di legittimità costituzionale.

L’eccezione è infondata.

È vero che i provvedimenti del Commissario ad acta sono impugnati anche per vizi diversi dall’illegittimità derivata che li colpirebbe nel caso di accoglimento delle questioni di costituzionalità. Alcune ordinanze di rimessione che meglio descrivono le fattispecie concrete precisano che tali vizi – di violazione di legge e di eccesso di potere – conseguirebbero alla scorretta applicazione dell’art. 15, comma 14, in quanto i decreti commissariali sarebbero stati emanati sulla base di dati incongrui e non definitivi e tratterebbero tutte le strutture accreditate senza distinzioni.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, tuttavia, nel giudizio di costituzionalità non è sindacabile l’ordine logico secondo il quale il rimettente reputa, in modo non implausibile, di affrontare le varie questioni o motivi di ricorso portati al suo esame (ex plurimis, sentenze n. 132 del 2015, n. 272 del 2007, n. 409 e n. 226 del 1998).

Le questioni di costituzionalità sollevate rivestono natura ictu oculi pregiudiziale nel giudizio a quo, in quanto hanno ad oggetto la norma che, fungendo da presupposto dei provvedimenti impugnati, deve essere necessariamente applicata per decidere la controversia. Occupandosi della rilevanza, il rimettente sottolinea come tale natura pregiudiziale sia «del tutto evidente» in tutti i giudizi a quibus, poiché le questioni investono la norma in applicazione della quale sono stati adottati i decreti impugnati, e fornisce così una motivazione non implausibile della ritenuta rilevanza, che non impone ulteriori illustrazioni della scelta operata nell’affrontare i vari motivi di ricorso.

Un altro profilo di inammissibilità deriverebbe, secondo l’interveniente, dalla individuazione lacunosa e insufficiente dell’oggetto delle questioni. Il rimettente non avrebbe indicato quali, tra le plurime disposizioni contenute nell’art. 15, comma 14 – diverse per ambito di efficacia, validità nel tempo, strumenti amministrativi predisposti – siano investite dai dubbi di legittimità costituzionale sollevati. L’inadeguata identificazione dell’oggetto delle questioni determinerebbe, altresì, l’inammissibilità per difetto di motivazione sia della rilevanza che della non manifesta infondatezza, non avendo il giudice a quo motivato «partitamente circa il nesso di rilevanza e circa i dubbi di legittimità di ogni singola norma risultante dal vasto complesso di disposizioni di cui al comma in oggetto».

Anche questa eccezione è, nel suo complesso, infondata.

L’oggetto del giudizio costituzionale deve essere individuato interpretando il dispositivo dell’ordinanza di rimessione con la sua motivazione.

Nonostante il TAR sollevi le questioni con generico riferimento al comma 14 nella sua interezza, senza distinguere tra le varie disposizioni in esso contenute, dalla motivazione delle ordinanze di rimessione si evince con chiarezza che è intenzione del rimettente circoscrivere le censure al solo primo periodo, id est alla disposizione che prevede il contenimento della spesa sanitaria mediante la riduzione degli importi e dei corrispondenti volumi d’acquisto stabiliti nei contratti e negli accordi vigenti nell’esercizio 2012 per l’acquisto di prestazioni sanitarie dai soggetti privati accreditati.

Infine le questioni sarebbero inammissibili per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata.

Per il suo stretto collegamento con il tema della violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., questa eccezione verrà esaminata nel prosieguo.

4.– Sempre in via preliminare occorre verificare quale influenza esplica nel presente giudizio lo ius superveniens. Infatti, l’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 è stato modificato (dopo l’adozione di tutte le ordinanze di rimessione) dall’art. 1, comma 574, lettere a) e b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2016).

Per effetto della lettera a) del comma 574, «all’articolo 15, comma 14, […] al primo periodo, le parole: “A tutti i singoli contratti e a tutti i singoli accordi” sono sostituite dalle seguenti: “Ai contratti e agli accordi” e le parole: “percentuale fissa,” sono soppresse». Dunque, a differenza della disposizione contenuta alla lettera b) del comma 574 (che, pur aggiungendo diversi periodi all’interno dell’art. 15, comma 14, non ha intaccato né il testo né il significato della disposizione oggetto del presente giudizio), le modifiche introdotte dalla lettera a) hanno inciso sulla disposizione censurata dal giudice a quo, abrogando due suoi incisi.

Tale abrogazione non impone la restituzione degli atti al giudice a quo, essendo essa palesemente ininfluente nei giudizi a quibus, che hanno ad oggetto atti amministrativi da valutare in base al principio tempus regit actum (sentenze n. 49, n. 44 e n. 30 del 2016). D’altro canto, la novella presenta un’incidenza solo parziale sulla disposizione della cui costituzionalità si dubita, riguardando frammenti normativi che rilevano esclusivamente ai fini della prima questione sollevata dal giudice a quo (quella fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost.), e, a questi fini, come si vedrà meglio nel prosieguo, non è comunque idonea a mutare i termini della questione così come è stata posta dal giudice a quo.

5.– Venendo all’esame della prima delle questioni proposte, riguardante la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., e segnatamente della competenza concorrente della Regione in materia di «tutela della salute», occorre verificare in primo luogo la sua ammissibilità alla luce dell’argomentazione utilizzata dal giudice rimettente.

Come visto, il TAR invoca esclusivamente la competenza regionale in materia di «tutela della salute», lamentando in particolare il superamento dei limiti di intervento statale in questa materia, ma poi argomenta richiamando i limiti del potere statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica», materia questa peraltro mai nominata nelle ordinanze di rimessione.

L’ambiguità – sotto questo profilo – delle ordinanze di rimessione non si traduce tuttavia in una ragione di inammissibilità delle questioni. In diverse pronunce, questa Corte ha fatto riferimento sia alla materia della «tutela della salute» sia alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», al fine di collocare “materialmente” norme statali aventi l’obiettivo di ridurre la spesa sanitaria (sentenze n. 125 del 2015, n. 278 del 2014, n. 91 del 2012, n. 330 del 2011, n. 240 e n. 162 del 2007). Ciò conferma che norme di questo tipo creano un intreccio inscindibile fra le due materie, nessuna delle quali può ritenersi prevalente. Dunque, da un lato il riferimento operato dal giudice a quo alla competenza regionale in materia di «tutela della salute» è plausibile, dall’altro la mancata considerazione espressa della competenza concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» non determina incertezza sulla portata della questione, i cui termini risultano con sufficiente chiarezza nelle singole ordinanze di rimessione: il giudice a quo lamenta un’eccessiva limitazione della competenza regionale in materia di «tutela della salute», che è sì comprimibile tramite l’esercizio del potere statale di coordinamento finanziario in funzione di riduzione della spesa, ma a condizione che questa funzione non si esprima in norme dettagliate.

5.1.– Sempre con riferimento alla questione di legittimità costituzionale fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost., la Regione Lazio ne ha eccepito l’inammissibilità – come detto – per omesso esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata.

L’eccezione è fondata.

Il giudice a quo non ha argomentato per nulla sull’impossibilità di un’interpretazione alternativa dell’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, idonea a rendere tale disposizione conforme a Costituzione. In particolare, ha omesso completamente di motivare l’impossibilità di intendere la previsione nel senso che essa non costringa le regioni ad applicare la medesima riduzione (dell’importo e del volume di acquisto) a tutti i contratti e a tutte le strutture private accreditate. La possibilità, invece, per le regioni, di modulare le riduzioni è stata sostenuta, non solo dalla Regione Lazio, ma anche dall’Avvocatura generale dello Stato e non sembra esclusa dalla lettera della disposizione. Da un lato, questa precisa che la percentuale della riduzione deve essere «determinata dalla regione», con ciò affidando alla regione stessa un evidente margine di scelta nelle sue determinazioni. Dall’altro, l’aggettivo «fissa» non esclude necessariamente l’interpretazione “adeguatrice”, potendo esso essere inteso nel senso che la percentuale della riduzione può variare fra contratto e contratto, sebbene non nell’ambito delle prestazioni oggetto di un singolo contratto (tale vincolo è poi venuto meno, come visto, con il citato art. 1, comma 574, lettera a, della legge n. 208 del 2015).

La giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere necessario che il giudice a quo motivi sulla impraticabilità di un’interpretazione adeguatrice, salvo il caso in cui sussista un diritto vivente (sentenze n. 85 del 2016 e n. 262 del 2015, ordinanza n. 15 del 2016) o il caso in cui l’interpretazione conforme risulti «incompatibile con il disposto letterale della disposizione» o «eccentrica e bizzarra» (sentenza n. 36 del 2016). Nel caso di specie, il giudice non attesta l’esistenza di un diritto vivente (in effetti assente), né fornisce altri elementi (ad esempio, tratti dalla prassi applicativa della disposizione nelle diverse regioni, o dalla giurisprudenza che si è formata su tale prassi) idonei ad escludere la plausibilità di un’interpretazione alternativa, che invece, per le ragioni esposte, non pare incompatibile con la lettera dell’art. 15, comma 14.

Dunque, la totale assenza di motivazione sulla impossibilità di un’interpretazione conforme a Costituzione determina l’inammissibilità della questione fondata sull’art. 117, terzo comma, Cost.

5.2.– L’accoglimento dell’eccezione sollevata dalla Regione Lazio conduce a dichiarare assorbita l’eccezione sollevata – sempre con riferimento alla prima questione – dalla difesa dello Stato, sulla base della considerazione che i giudizi a quibus hanno ad oggetto atti adottati dal Presidente della Regione in qualità di Commissario ad acta, cioè come organo statale, per cui la questione della lesione di prerogative regionali non sarebbe rilevante.

6.– Il TAR censura l’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012 anche per violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di irretroattività della legge. Il principio è evocato in qualche ordinanza di rimessione senza espressi riferimenti a parametri costituzionali. Ad avviso del rimettente la norma censurata sarebbe intervenuta quando i limiti delle previsioni di spesa per l’anno 2012 erano stati ormai sostanzialmente raggiunti dalle strutture sanitarie accreditate e avrebbe così inciso sul legittimo affidamento delle singole strutture a erogare le prestazioni e a ricevere il corrispettivo concordato nei contratti anteriormente stipulati. La questione è sollevata anche in riferimento all’art. 97 Cost., ma senza che vengano esposte specifiche ragioni di contrasto con tale parametro, che è pertanto da considerare evocato in stretta connessione con l’art. 3 Cost.

Il TAR ritiene inoltre che la riduzione degli importi e dei volumi di acquisto contrattualmente stabiliti vìoli, altresì, l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, perché la norma contestata produrrebbe la lesione con effetto retroattivo di un «bene» che le strutture sanitarie private avrebbero acquisito sulla base di un legittimo affidamento ingenerato dalle previsioni di spesa ad esse attribuite per il 2012.

Il giudice a quo muove dal presupposto, comune a tutte le censure appena esposte, che l’art. 15, comma 14, abbia prodotto effetti retroattivi, là dove prescrive una riduzione delle spese per l’acquisto delle prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati anche in relazione ai contratti vigenti nel 2012.

Tale presupposto tuttavia non è condivisibile.

La norma si presta infatti a essere interpretata nel senso che essa incide sì sui contratti già stipulati, ma con decorrenza successiva alla sua entrata in vigore, ovvero con esclusivo riguardo alle prestazioni sanitarie non ancora eseguite dai soggetti accreditati. Secondo questo significato essa produce effetti solo ex nunc (il credito nei confronti del Servizio sanitario nazionale sorge in capo all’operatore privato solo dopo che la prestazione sanitaria è stata concretamente erogata), anche se con riferimento a contratti stipulati in precedenza e operanti nel 2012.

Nel senso dell’interpretazione proposta depone innanzitutto il tenore letterale della disposizione, la quale parla di «riduzione dell’importo e dei corrispondenti volumi d’acquisto». La previsione della «riduzione» dei volumi di «acquisto» consente di considerare riferito l’ambito di operatività della riduzione stessa alle prestazioni ancora da erogare, che saranno conseguentemente ridotte, e non alle prestazioni già erogate, per le quali soltanto si potrebbe parlare propriamente di retroattività. Una volta erogata nei limiti dei tetti di spesa determinati nel contratto, infatti, la prestazione fa sorgere l’obbligazione del SSN di corrisponderne il prezzo concordato. E un intervento retroattivo sull’obbligazione è escluso dal fatto che la previsione parla appunto di «riduzione» (riferendola ai volumi di acquisto) e non di «estinzione» – eventualmente parziale – ex lege, come sarebbe stato necessario, se essa avesse inteso incidere anche sulle obbligazioni già sorte.

In questo stesso contesto assumono ancora rilievo l’epoca di entrata in vigore della norma (6 luglio 2012) e l’esiguità della riduzione percentuale disposta (0,5 per cento). Sulla scorta di quanto sostengono i ricorrenti nei processi principali, il rimettente lamenta che i tagli sarebbero sopravvenuti quando le strutture accreditate avevano ormai esaurito o stavano esaurendo le previsioni di spesa assegnate nel 2012 e ne trae la conclusione che l’art. 15, comma 14, non potrebbe non avere inciso con efficacia retroattiva anche sulla remunerazione dovuta dagli enti del SSN per le prestazioni già eseguite. Tuttavia, non solo le ordinanze non offrono elementi a sostegno del fatto che ciò sia accaduto, ma, se anche effettivamente così fosse stato, l’effetto paventato nell’ordinanza di rimessione non sarebbe da attribuire alla norma contestata, come visto intervenuta a metà dell’anno di riferimento, e quindi in un momento nel quale la prevista esigua riduzione delle previsioni di spesa (dello 0,5 per cento) avrebbe potuto essere facilmente assorbita nella restante parte dell’anno. Solo successivamente all’entrata in vigore della norma le amministrazioni sono vincolate a non remunerare le prestazioni erogate dopo quella data, in superamento degli importi di spesa rideterminati.

In questo primo senso, dunque, le censure riguardanti la lesione dell’affidamento non sono fondate, in quanto, secondo l’interpretazione prospettata, va escluso che la norma incida – con effetti retroattivi in senso proprio – sui crediti per prestazioni sanitarie già erogate al momento della sua entrata in vigore.

6.1.– La lesione dell’affidamento è riferita dal TAR anche alla incisione dell’aspettativa delle strutture sanitarie a erogare effettivamente tutte le prestazioni rientranti nella previsione di spesa concordata e a percepire il relativo corrispettivo. Sempre presupponendo la retroattività dell’art. 15, comma 14, il rimettente fa leva sull’aspettativa delle singole strutture sanitarie di poter «erogare le prestazioni e […] ricevere il relativo corrispettivo stabilito nei contratti anteriormente stipulati, per la corretta esecuzione dei quali le medesime strutture sanitarie hanno allestito le relative risorse organizzative ed effettuato i correlati investimenti in materiali, personale e attrezzature». La lesione si concreterebbe dunque nella sopravvenuta impossibilità di erogare quanto convenuto – e percepirne il corrispettivo – una volta raggiunto il minore volume di acquisto risultante dalla riduzione imposta dalla previsione. Con riferimento a questo secondo profilo occorre dunque verificare se la norma contestata rispetti il principio del legittimo affidamento.

Gli indici sintomatici della lesione di tale principio elaborati da questa Corte e dalla Corte EDU in gran parte convergono e ciò consente di esaminare congiuntamente la lamentata violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.

6.2.– Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica è un «elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto» (sentenze n. 822 del 1988 e n. 349 del 1985). Il principio della tutela dell’affidamento non comporta che, nel nostro sistema costituzionale, sia assolutamente interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, e ciò «anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.)», ma esige tuttavia che «dette disposizioni […] al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale e arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali, poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica […]» (sentenza n. 349 del 1985; in senso analogo, ex plurimis, sentenze n. 302 del 2010; n. 236, n. 206 e n. 24 del 2009; n. 409 e n. 264 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999).

L’esame della norma in contestazione e della sua ratio conduce a escludere che il legislatore abbia operato una scelta irragionevole e arbitraria alla stregua del principio evocato.

Le ragioni che hanno giustificato la riduzione degli importi e dei volumi d’acquisto delle prestazioni vanno individuate nella finalità, espressamente dichiarata dal legislatore, di far fronte all’elevato e crescente deficit della sanità e alle esigenze ineludibili di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, da valutare nello specifico contesto di necessità e urgenza indotto dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il Paese a partire dalla fine del 2011. Un contesto nel quale le misure di riequilibrio dell’offerta sanitaria per esigenze di razionalizzazione della spesa pubblica costituiscono una «“causa” normativa adeguata», che giustifica la penalizzazione degli operatori privati (sentenze n. 34 del 2015 e n. 92 del 2013).

Nello scrutinare la legittimità costituzionale di disposizioni finalizzate al contenimento della spesa pubblica nel settore sanitario, questa Corte ha avuto più volte modo di ribadire la necessità che la spesa sanitaria sia resa compatibile con «la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (sentenze n. 203 del 2008 e n. 111 del 2005). In particolare, ha osservato che «non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, certamente non compromesse con le misure ora in esame» (sentenza n. 356 del 1992). La giurisprudenza costituzionale ha chiarito, altresì, che, anche nel regime dell’accreditamento introdotto dall’art. 8, comma 5, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della L. 23 ottobre 1992, n. 421), il principio di concorrenzialità tra strutture pubbliche e strutture private e di libera scelta dell’assistito «non è assoluto e va contemperato con gli altri interessi costituzionalmente protetti, in considerazione dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore ordinario incontra in relazione alle risorse finanziarie disponibili (sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1996)» (sentenza n. 94 del 2009).

Le risorse disponibili per la copertura della spesa sanitaria costituiscono quindi un limite invalicabile non solo per l’amministrazione ma anche per gli operatori privati, il cui superamento giustifica l’adozione delle necessarie misure di riequilibrio finanziario (in tale senso Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4).

Anche sul versante della disciplina convenzionale, l’espresso collegamento operato dalla norma contestata tra le esigenze di contenimento della spesa pubblica e l’intervento sugli importi e i volumi di acquisto dei contratti sanitari consente di considerare integrato il requisito del legittimo interesse pubblico, il quale, ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, può giustificare l’ingerenza da parte di un’autorità pubblica nel pacifico godimento dei «beni». Più precisamente la Corte EDU ‒ dopo aver premesso che le autorità nazionali sono generalmente nella migliore posizione per decidere cosa sia di pubblico interesse nell’attuazione degli interventi di razionalizzazione della spesa pubblica ‒ ha a sua volta anch’essa più volte espressamente affermato che il pubblico interesse può consistere anche nella necessità di ridurre la spesa pubblica in ragione della particolarità della situazione economica (sentenza 19 giugno 2012, Khoniakina contro Georgia, paragrafo 76; sentenza 20 marzo 2012, Panfile contro Romania, paragrafi 11 e 21; sentenza 6 dicembre 2011, Šulcs contro Latvia, paragrafi 25 e 29; sentenza 7 giugno 2001, Leinonen contro Finlandia).

6.3.– Sotto un altro profilo, facendo riferimento a quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale circa il fatto che una mutazione ex lege dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi in modo «improvviso e imprevedibile» (sentenze n. 64 del 2014 e n. 302 del 2010, entrambe relative alla incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori di beni demaniali), va rilevato che la disposizione censurata non si presta a tale rilievo.

Per un verso, infatti, si deve considerare che, nel contesto del mercato “amministrato” delle prestazioni sanitarie, «la sopravvenienza dell’atto determinativo della spesa solo in epoca successiva all’inizio di erogazione del servizio» ha carattere «fisiologico» (ex plurimis, Consiglio di Stato, sezione terza, 30 gennaio 2013, n. 598; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenze 12 aprile 2012, n. 3 e n. 4; Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 2 maggio 2006, n. 8), con la conseguenza che l’operatore prudente e accorto non può non sapere di essere esposto a correttivi dei contenuti economici del contratto imposti in corso d’anno.

Per altro verso, va sottolineato che, come ricordato, l’art. 15, comma 14, è entrato in vigore il 6 luglio 2012, in un momento dunque nel quale, nel corso dell’anno di riferimento, era ancora a disposizione degli operatori privati il tempo necessario per porre in essere tutte le misure organizzative e strategiche necessarie a evitare o attenuare, nell’arco temporale dello stesso anno, le conseguenze negative dell’intervento legislativo, mentre non può essere dato rilievo in questa sede, nello scrutinio di costituzionalità della norma contestata dal rimettente, ai tempi dei provvedimenti amministrativi di attuazione successivamente adottati dalle amministrazioni competenti.

6.4.– Da ultimo, questa Corte ha sottolineato che il legislatore deve compiere un «necessario bilanciamento» tra il perseguimento dell’interesse pubblico sotteso al mutamento normativo e la tutela da riconoscere al legittimo affidamento di coloro che hanno conseguito una situazione sostanziale consolidata sulla base della normativa previgente (sentenza n. 236 del 2009). L’intervento normativo in esame proporziona in maniera non irragionevole il peso imposto agli operatori privati al fine che il legislatore intende con esso realizzare. La misura di riduzione che i privati sono chiamati a sopportare non può essere ritenuta un onere individuale eccessivo, sia per i tempi con i quali è stata imposta, sia perché, come visto, non va intesa come riferita alle prestazioni già legittimamente erogate, prima della sua entrata in vigore, oltre la previsione di spesa massima rideterminata ai sensi della norma in contestazione, sia ancora perché essa comporta riduzioni quantitative alquanto modeste e calibrate in considerazione delle aspettative di credito degli operatori sanitari, in una percentuale minore per il periodo più ravvicinato e un progressivo (pur sempre ridotto) aumento per i periodi successivi.

Per questi stessi motivi si deve ritenere salvaguardato il giusto equilibrio che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, deve sussistere tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e l’obbligo di proteggere i diritti fondamentali della persona (ex plurimis, sentenza 13 gennaio 2015, Vékony contro Ungheria, paragrafo 32; sentenza 30 giugno 2005, Jahn e altri contro Germania, paragrafi 93-95; sentenza 3 luglio 2003, Buffalo srl in liquidazione contro Italia, paragrafo 32; sentenza 5 gennaio 2000, Beyeler contro Italia, paragrafo 114).

6.5.– Alla luce delle considerazioni fin qui esposte, le questioni sollevate con riferimento agli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost. sono da ritenere infondate.

7.– Ad avviso del TAR, la norma contestata viola l’art. 41 Cost., poiché impedirebbe la remunerazione di prestazioni già erogate dalle strutture sanitarie accreditate, ledendo così la libertà di iniziativa economica privata delle stesse.

La questione è infondata.

La censura muove dal presupposto, come visto erroneo, secondo il quale le riduzioni di spesa previste dal comma 14 inciderebbero anche sulle prestazioni sanitarie già erogate dalle strutture private accreditate in esecuzione degli accordi contrattuali stipulati con gli enti del SSN.

Inoltre, va escluso che la previsione determinerebbe il venir meno di ogni residuo margine di utile con conseguente compromissione della libertà di iniziativa economica privata – come lamentano alcune parti ricorrenti nel processo principale –, essendo indimostrato che il contenuto precettivo della norma produca un tale effetto.

Va peraltro ricordato che la tutela costituzionale della sfera dell’autonomia privata non è assoluta. Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non è configurabile una lesione della libertà d’iniziativa economica allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost., purché, per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2015, n. 247 e n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009).

In un caso analogo, relativo a uno sconto imposto ex lege ai produttori di farmaci, questa Corte ha ritenuto che la lamentata compressione nella determinazione del prezzo non sia costituzionalmente illegittima per lesione dell’art. 41 Cost., quando si riveli preordinata, in maniera né sproporzionata, né inidonea, a consentire il soddisfacimento contestuale di una pluralità di interessi costituzionalmente rilevanti, tra i quali va annoverato anche l’obiettivo di contenere la spesa sanitaria (sentenza n. 279 del 2006).

8.– È infondata anche la questione sollevata con riferimento all’art. 32 Cost.

Ad avviso del rimettente, le riduzioni delle previsioni di spesa potrebbero compromettere il diritto alla salute garantito dall’art. 32 Cost., in quanto sarebbero giustificate solo da ragioni economico-finanziarie e si aggiungerebbero ad analoghe misure adottate in precedenza.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che «la tutela del diritto alla salute non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone», con la precisazione che «le esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 309 del 1999; nello stesso senso, sentenze n. 267 del 1998, n. 416 del 1995, n. 304 e n. 218 del 1994, n. 247 del 1992 e n. 455 del 1990). In questi termini, «nell’ambito della tutela costituzionale accordata al “diritto alla salute” dall’art. 32 della Costituzione, il diritto a trattamenti sanitari “è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell’interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone al momento” (v. sent. n. 455 del 1990; v. anche sentt. nn. 218 del 1994, 247 del 1992, 40 del 1991, 1011 del 1988, 212 del 1983, 175 del 1982)» (sentenza n. 304 del 1994; nello stesso senso, sentenza n. 200 del 2005).

Come rilevato, le riduzioni della spesa complessiva disposte dalla norma in esame sono relativamente esigue in termini percentuali e gravano esclusivamente sui contratti o sugli accordi vigenti nel 2012 per l’acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti privati accreditati. Nonostante esse si risolvano in una riduzione del volume annuo complessivo delle prestazioni erogabili da tali soggetti, non vi è alcuna evidenza che il diritto alla salute dei cittadini sia inciso dalla norma – considerata in sé o insieme a non meglio precisate misure anteriori evocate dal rimettente – al punto tale da comprimere il suo nucleo irriducibile, né che l’opera di bilanciamento perseguita dal legislatore, al fine di conseguire l’obiettivo di risparmio, abbia irragionevolmente commisurato la concreta attuazione del diritto alla salute alle risorse esistenti e al rispetto dei vincoli di bilancio pubblico.

In definitiva, l’affermazione della possibilità che, a causa delle misure in esame, la funzionalità del SSN sia compromessa con conseguente pregiudizio del diritto alla salute dei cittadini si risolve «in un’argomentazione meramente ipotetica che, appunto perché tale, è inidonea a dare consistenza alla censura» (sentenza n. 94 del 2009).

per questi motivi

La Corte Costituzionale

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, sollevate, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 14, del d.l. n. 95 del 2012, sollevate , in riferimento agli artt. 3, 32, 41, 97 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 2016.