Decision of the Constitutional Court No. 176 of 5 July 2017

In:

G.U. 19 July 2017, No. 29

By Decision No. 176/2017, the Constitutional Court ruled that Article 23.39, last paragraph, of law decree No. 98/2011, “Urgent Measures for Financial Stability” (converted, with modifications, into law No. 111/2011) was inconsistent with Article 117.1 of the Italian Constitution (respect for international obligations) in relation with Article 6 of the ECHR (right to a fair trial). The Court stated that a derogation from the principle of non-retroactivity with regard to the State’s preferential rights in bankruptcy proceedings, was not admissible, in this case, because there were no overriding reasons of general interest justifying it. The decision is in line with the previous Courts’ jurisprudence and, most in particular, decision No. 170/2013.

  • See also:

    Decision of the Constitutional Court No. 170 of 1 July 2013

  • Original language: Italiano

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2776, terzo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 23, comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), come convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e dell’art. 23, comma 39, del d.l. n. 98 del 2011, promosso dal Giudice istruttore del Tribunale ordinario di Forlì, sezione civile, nel procedimento vertente tra C. V. e G. M. e Equitalia Centro spa, con ordinanza del 2 febbraio 2015, iscritta al n. 196 del registro ordinanze 2016 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2016.

Visto l’atto di intervento del Presidente del consiglio dei Ministri;

udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2017 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.

Ritenuto in fatto

1.− Nel corso di un procedimento di esecuzione immobiliare – promosso dalla vittima di un delitto di violenza sessuale (per ottenere il pagamento della provvisionale riconosciutale con la sentenza di condanna dell’imputato), ed in esito al quale il giudice procedente aveva approvato un piano di riparto con cui il prezzo ricavato dalla vendita dell’immobile pignorato veniva per l’intero attribuito alla (successivamente) intervenuta Equitalia Centro spa, in ragione del “privilegio sussidiario” su detta somma da essa vantato, ai sensi della sopravvenuta novella dell’art. 2776 del codice civile, in relazione a crediti tributari relativi a cinque cartelle esattoriali emesse nei confronti del medesimo debitore e per i quali era stato inutilmente tentato il pignoramento di suoi beni mobili – il giudice istruttore del Tribunale ordinario di Forlì, sezione civile, adito in sede di opposizione della creditrice chirografaria avverso il predetto piano di riparto, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, ed ha per ciò sollevato con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale del predetto art. 2776, terzo comma, cod. civ., così come modificato dall’art. 23, comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché dello stesso art. 23, comma 39 [recte: comma 39, ultimo periodo], del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, «per contrasto con gli artt. 3, 117 comma 1 in relazione all’art. 6 della CEDU, 111 e 24 Cost.».

Secondo il giudice a quo, il novellato art. 2776, terzo comma, cod. civ. – con il disporre che anche i crediti dello Stato indicati dall’art. 2752, primo comma, cod. civ. (ossia quelli «per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi»), che hanno già privilegio generale sui mobili del debitore, in caso di infruttuosa esecuzione su detti beni, siano collocati sussidiariamente sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari – si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, «sub specie di violazione del principio di ragionevolezza e non discriminazione, non risultando sussistenti ragioni di interesse costituzionale che giustifichino una diversità di trattamento e apprezzabili motivi che consentano di sacrificare le pretese creditorie di altri soggetti», e con l’art. 111 Cost., per «probabile» alterazione delle condizioni di parità tra le parti del processo esecutivo.

A sua volta, l’art. 23, comma 39, ultimo periodo, del d.l. n. 98 del 2011 – con il prevedere che «[l]a disposizione [di cui al predetto modificato terzo comma dell’art. 2776 cod. civ.] si osserva anche per i crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto» – violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, in quanto l’applicazione retroattiva del privilegio sussidiario sul ricavato della vendita degli immobili del debitore esecutato, in danno della creditrice procedente, determinerebbe un’indebita ingerenza sullo svolgimento del processo esecutivo, orientando la soddisfazione dei crediti in favore dello Stato a scapito del legittimo affidamento nella soddisfazione dei propri crediti riposto dagli altri creditori, senza che sussistano motivi imperativi di interesse generale, attesa la natura meramente economica dell’interesse perseguito dallo Stato.

E, in questa prospettiva, il rimettente – che adombra la violazione anche dell’art. 24 Cost. – richiama la sentenza di questa Corte n. 170 del 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 37, ultimo periodo, e 40 del medesimo art. 23 del d.l. n. 98 del 2011.

2.– Nel giudizio innanzi a questa Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

L’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende, ha eccepito preliminarmente l’inammissibilità delle censure per violazione dei precetti di cui agli artt. 111 e 24 Cost.: entrambi, a suo avviso, non pertinentemente evocati. Ha eccepito l’inammissibilità, altresì, della questione relativa all’art. 23, comma 39, ultimo periodo, del d.l. n. 98 del 2011, non reputando che possa «parlarsi di irretroattività [recte: retroattività] di una norma, nella misura in cui essa disciplina modalità di soddisfazione di un credito avente già natura privilegiata».

Nel merito, ha escluso che sussista la denunciata violazione dell’art. 3 Cost., poiché la deroga – che l’art. 2776, terzo comma, cod. civ. apporta al principio della par condicio creditorum – sarebbe giustificata «in ragione della specifica natura dei crediti ivi indicati, che già godono di privilegio generale sui beni mobili ai sensi degli articoli 2751, 2751-bis e 2752 c.c.».

In subordine, ha contestato, comunque, anche la fondatezza della questione relativa al su citato art. 23, comma 39, ultimo periodo, del d.l. n. 98 del 2011, stante la non equiparabilità, a suo avviso, di tale disposizione alla normativa caducata dalla sentenza n. 170 del 2013, richiamata dal rimettente.

Con memoria successivamente depositata, l’Avvocatura dello Stato ha poi ancora sottolineato come, per effetto della novella impugnata, il trattamento dei crediti per imposte dirette sia stato uniformato a quello dei crediti per imposte sul valore aggiunto, i quali godevano già della medesima collocazione sussidiaria, sia per il tributo, sia per le sanzioni, in base al testo previgente dell’art. 2776 cod. civ.

Ed ha, infine, aggiunto che l’estensione di un tale regime anche ai crediti sorti anteriormente al 6 luglio 2011 avrebbe riproposto un principio di retroattività dei privilegi già cristallizzato a suo tempo dall’art. 15 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi), che aveva introdotto una nuova disciplina organica dei privilegi, e risponderebbe allo scopo di consentire il più celere soddisfacimento dei crediti erariali, come precisato nella relazione al denunciato decreto-legge.

Considerato in diritto

1.– In riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione – evocato, quest’ultimo, in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 – il giudice istruttore del Tribunale ordinario di Forlì, sezione civile, dubita, come in narrativa detto, della legittimità costituzionale dell’art. 2776, terzo comma, del codice civile, così come modificato dall’art. 23, comma 39, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché dello stesso art. 23, comma 39 [recte: comma 39, ultimo periodo], del d.l. n. 98 del 2011, come convertito.

1.1.– Il novellato art. 2776 cod. civ., denunciato in via principale, è raggiunto da una duplice censura di violazione dell’art. 3 e dell’art. 111 Cost., nella parte in cui dispone che «[i] crediti dello Stato indicati dal primo […] comma dell’art. 2752 [ossia quelli per le imposte e le sanzioni dovute secondo le norme in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, imposta sul reddito delle persone giuridiche, imposta sul reddito delle società, imposta regionale sulle attività produttive ed imposta locale sui redditi] sono collocati sussidiariamente, in caso di infruttuosa esecuzione sui mobili, sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai crediti chirografari […]».

Questa disposizione violerebbe, appunto, secondo il rimettente, «il principio di ragionevolezza e non discriminazione» (art. 3 Cost.), «non risultando sussistenti ragioni di interesse costituzionale che giustifichino una diversità di trattamento e apprezzabili motivi che consentano di sacrificare le pretese creditorie di altri soggetti». E contrasterebbe, altresì, con il principio del giusto processo (art. 111 Cost.), per alterazione delle condizioni di parità tra le parti del processo esecutivo.

1.2.– L’art. 23, comma 39, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, è denunciato in via subordinata, in ragione della previsione (contenuta nell’ultimo suo periodo) per cui «[l]a disposizione [di cui al predetto modificato terzo comma dell’art. 2776 cod. civ.] si osserva anche, per i crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto».

Nella prospettazione del giudice a quo, detta norma di diritto intertemporale violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, in quanto l’applicazione retroattiva del privilegio sussidiario sul ricavato della vendita degli immobili del debitore esecutato determinerebbe un’indebita ingerenza sullo svolgimento del processo esecutivo, privilegiando crediti dello Stato a scapito del legittimo affidamento nella soddisfazione dei propri crediti riposto dagli altri creditori, senza che sussistano motivi imperativi di interesse generale, attesa la natura meramente economica dell’interesse perseguito dallo Stato.

E contrasterebbe, inoltre, con l’art. 24 Cost., in quanto la disposta retroattività verrebbe a «menomare il diritto di difesa e di azione della parte».

2.– La difesa dello Stato ha formulato preliminari eccezioni di inammissibilità delle censure attinenti agli artt. 111 e 24 Cost. – non ritenendo prospettabile la violazione di detti parametri – e della questione di legittimità dell’art. 23, comma 39, ultimo periodo, del d.l. n. 98 del 2011, in quanto sollevata sul presupposto, a suo avviso errato, di una portata retroattiva di detta norma.

Ma tali eccezioni di inammissibilità sono superabili, come tali, poiché finiscono con il rifluire sul merito delle questioni in esame, di ciascuna delle quali l’Avvocatura dello Stato ha, comunque, contestato la fondatezza, come più ampiamente riferito nel Ritenuto in fatto.

3.– In relazione ad entrambi i parametri evocati, il novellato comma terzo dell’art. 2776 cod. civ. supera lo scrutinio di legittimità costituzionale.

3.1.– La prevista estensione, in via sussidiaria, sul prezzo degli immobili, del privilegio già accordato sui beni mobili ai crediti dello Stato per le imposte dirette (di cui al primo comma dell’art. 2752 cod. civ.) non viola, in primo luogo, l’art. 3 Cost.

Ciò che, infatti, introduce la norma denunciata è non altro che un privilegio, seppur valevole solo in via sussidiaria, su crediti (dello Stato) già privilegiati in ragione della causa che li connota, e dunque una “causa legittima di prelazione”, che giustifica la deroga alla par condicio creditorum, ai sensi dell’art. 2741 cod. civ.

Per di più, tale nuova disposizione – estendendo ai crediti per tributi erariali diretti il privilegio sussidiario già accordato, in base al testo previgente dell’art. 2776 cod. civ., ai crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto (IVA) – armonizza e razionalizza il regime dei crediti tributari, già muniti di privilegio generale sui beni mobili, che rimangano in tutto o in parte insoddisfatti.

E ciò anche alla luce della contestuale abrogazione (ad opera del comma 38 dello stesso art. 23 del d.l. n. 98 del 2011) dei privilegi previsti dall’art. 2771 cod. civ., che attribuiva ai crediti dello Stato per le imposte o quote d’imposta imputabili ai redditi immobiliari, non tutelati dall’art. 2752 cod. civ., un privilegio speciale sugli immobili del contribuente situati nel Comune in cui era effettuata la riscossione.

3.2.– Il privilegio, come sopra introdotto, diversamente da quanto paventato dal rimettente, non incide, del resto, sulla parità delle armi tra le parti, ma solo sulla causa del credito e sull’esigenza che lo stesso sia soddisfatto. E ciò toglie fondamento anche alla censura di violazione dell’art. 111 Cost.

4.– L’art. 23, comma 39, ultimo periodo, del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, è sospettato, in via gradata, di contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost. – in relazione all’art. 6 della CEDU – e con l’art. 24 Cost. E ciò in ragione della presupposta sua portata retroattiva, ricollegata dal rimettente alla prevista osservanza del privilegio sussidiario – introdotto nel corpus dell’art. 2776 cod. civ. dal medesimo art. 23, comma 39, del d.l. n. 98 del 2011 – anche «per i crediti sorti anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto».

Ritiene, al riguardo, il giudice a quo che ricorrano nella specie le medesime ragioni di tutela dell’affidamento del privato che hanno già comportato la declaratoria di illegittimità costituzionale dei commi 37 (ultimo periodo) e 40 del predetto art. 23 del d.l. n. 98 del 2011, con sentenza n. 170 del 2013.

La questione, nei termini della sua prospettazione, è fondata.

4.1.– Per principio generale regolatore delle procedure concorsuali (fallimentari ed espropriative in generale), il privilegio introdotto ex novo dal legislatore è destinato a ricevere immediata applicazione da parte del giudice procedente, anche con riguardo a crediti che – ancorché sorti anteriormente alla legge istitutiva di quel privilegio – vengano, comunque, fatti valere, in concorso con altri, in un momento successivo.

Nella sentenza n. 170 del 2013 − a proposito della disposizione (contigua ed omologa a quella ora in esame) di cui al precedente comma 37, ultimo periodo, dello stesso art. 23 del d.l. n. 98 del 2011, come convertito (disposizione che, con riguardo al privilegio, per tributi e sanzioni tributarie, introdotto in sede di novellazione dell’art. 2771, primo comma, cod. civ., identicamente ne prescriveva l’osservanza «anche per i crediti sorti anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto») − questa Corte ha già osservato che «una previsione come quella contenuta nel comma 37 non può avere altro significato che quello di estendere retroattivamente l’applicabilità della nuova regola oltre ai casi consentiti in base ai principi generali e cioè a quelli in cui lo stato passivo esecutivo è già definitivo».

Su questa linea, la Corte di legittimità ha da epoca risalente, del resto, espresso il principio, consolidatosi in termini di diritto vivente, secondo cui, in presenza di una legge retroattiva che introduca nuovi privilegi, questi ultimi assistono anche i crediti sorti anteriormente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal tempo in cui siano stati azionati in sede concorsuale e, quindi, anche i crediti prima chirografari, e come tali ammessi al passivo fallimentare, con la conseguenza che tale privilegio può esercitarsi anche dopo l’approvazione dello stato passivo (e, per ciò, anche dopo la formazione del cosiddetto giudicato endofallimentare), fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo (in tal senso, da ultimo, Corte di cassazione, sezione prima, 24 giugno 2015, n. 13090).

4.2. − Sulla base di tali premesse – e con riferimento al medesimo parametro di cui all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, invocato anche nell’odierno giudizio, oltreché all’art. 3 Cost. – la richiamata sentenza n. 170 del 2013 ha, appunto, dichiarato, l’illegittimità costituzionale del comma 37, ultimo periodo, e del connesso comma 40, dell’art. 23 del d.l. n. 98 del 2011, per la ragione che una tale disciplina «altera […] i rapporti tra i creditori, già accertati con provvedimento del giudice ormai consolidato dall’intervenuta preclusione processuale, favorendo le pretese economiche dello Stato a detrimento delle concorrenti aspettative delle parti private». E ciò in «assenza di adeguati motivi che giustifichino la retroattività della legge».

4.3.− Alla disposizione (sub comma 39, ultimo periodo, del predetto art. 23), che viene qui ora in esame, sono riconducibili effetti (del tutto identici, come si è visto, a quelli prodotti dal caducato comma 37, ultimo periodo), di indebita ingerenza sullo svolgimento del processo esecutivo, e di orientamento della soddisfazione dei crediti tributari in favore dello Stato a detrimento del legittimo affidamento nella soddisfazione dei propri crediti riposto dagli altri creditori, senza che sussistano motivi imperativi di interesse generale che lo giustifichino.

E ciò, analogamente, comporta l’illegittimità costituzionale anche del qui censurato comma 39, ultimo periodo, dell’art. 23 del d.l. n. 98 del 2011, come convertito, per il profilo, assorbente, della violazione del citato art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU.

4.4.− Resta di conseguenza assorbito l’ulteriore dedotto profilo di violazione dell’art. 24 Cost.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 23, comma 39, ultimo periodo, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2776, terzo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 23, comma 39, del d.l. n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione, dal giudice istruttore del Tribunale ordinario di Forlì, sezione civile, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2017.