Decision of the Constitutional Court No. 140 of 20 April 2016

In:

G.U. 20 June 2016, No. 25

The Constitutional Court examined a question of constitutional legitimacy concerning Article 9 of law No. 67/2014, which introduced a new legal framework for proceedings in absentia (Articles 420 bis, 420 quater and 420 quinquies of the code of criminal procedure), in order to overcome criticisms pointed out by the ECHR Court. The Court of La Spezia (the referring judge) was of the opinion that such innovative measures should be extended to the execution process, which would be otherwise inconsistent with the defense rights and the fair trial principles under the ECHR. The Constitutional Court declared the question inadmissible, however, because the censured provisions were not applicable in the case (the relevant procedure is found, in reality, in Article 666 of the code). Moreover, the decision on whether to extend the new norms on proceedings in absentia to the execution proceedings is at the discretion of Parliament, and not a matter for the Constitutional Court.

  • See also:

    Law No. 67 of 28 April 2014, delegation of power to the government on penalty alternative to prison detention, and reform of sanctions. Provisions on the suspension of criminal proceedings with probation and on proceedings in absentia

  • Original language: Italiano

Sentenza

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), promosso dal Tribunale ordinario della Spezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, nel procedimento penale nei confronti di A.M.L., con ordinanza del 29 gennaio 2015, iscritta al n. 118 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 2015.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale ordinario della Spezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 29 gennaio 2015 (r.o. n. 118 del 2015), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui «non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche alla costituzione delle parti in sede di incidente d’esecuzione ex art. 666 c.p.p.; ciò, quanto meno, laddove nei confronti del soggetto interessato a esercitare i propri diritti di difesa venga sollecitata al giudice una statuizione per lui pregiudizievole».

Il giudice rimettente premette di essere investito del giudizio di esecuzione promosso dal pubblico ministero, che ha chiesto, ai sensi dell’art. 168, primo comma, numero 2), del codice penale, la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena, concesso con la sentenza del 22 novembre 2011 a una persona «già condannata in contumacia». Il giudice rileva che il condannato è stato dichiarato irreperibile con decreto emesso ai sensi dell’art. 159 del codice di procedura penale, in seguito alla infruttuosità delle ricerche disposte per la notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza di esecuzione.

Osserva il giudice che con il capo terzo della legge n. 67 del 2014 è stata introdotta una disciplina che prevede la sospensione del procedimento in assenza dell’imputato per superare le censure mosse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti della precedente normativa. Le nuove disposizioni, riguardanti essenzialmente l’imputato irreperibile, consentirebbero però la sospensione del procedimento unicamente nella fase di costituzione delle parti davanti al giudice dell’udienza preliminare o davanti al giudice del dibattimento.

La legge in questione non conterrebbe un’analoga disciplina per i procedimenti in assenza che si svolgono in sede esecutiva, e, in particolare, per quelli «promossi dal pubblico ministero a carico del condannato e volti a ottenere provvedimenti incidenti sul suo status libertatis (ad esempio, la revoca della sospensione condizionale, o dell’indulto, ecc.)».

La rilevata mancanza di una disciplina sulla sospensione del procedimento di esecuzione nei confronti delle persone irreperibili che non ne hanno avuto conoscenza ha indotto il giudice a quo a sollevare la questione di legittimità costituzionale nei termini sopraindicati.

Nel caso di specie la persona condannata avrebbe interesse ad evitare la revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa, interesse che però non potrebbe essere soddisfatto per la sua irreperibilità e la conseguente probabile mancanza incolpevole di conoscenza del procedimento esecutivo pendente nei suoi confronti.

L’art. 9 della legge n. 67 del 2014, nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche alla costituzione delle parti nel procedimento di esecuzione, quanto meno «laddove nei confronti del soggetto interessato a esercitare i propri diritti di difesa venga sollecitata al giudice una statuizione per lui pregiudizievole», lederebbe «il principio di parità di trattamento normativo di situazioni simili (con riferimento in particolare alla posizione dell’imputato nel procedimento di cognizione), in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni».

Sarebbero violati, inoltre, il diritto di difesa, il principio del giusto processo, nonché i «principi di fair trial di cui al parametro interposto costituito dall’art. 6 CEDU (in quanto richiamato dall’art. 117 c. 1 Cost.), poiché l’ipotesi in esame pone la persona nei cui confronti si procede in executivis nelle condizioni di non poter pienamente esercitare i propri diritti difensivi, che nella specie si riferirebbero alla necessità di evitare conseguenze, per l[e]i pregiudizievoli sul piano della libertà personale, sollecitate dall’ufficio del Pubblico Ministero».

La questione sarebbe rilevante, posto che, ove fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9 della legge n. 67 del 2014, nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche nel procedimento di esecuzione, la persona nei cui confronti il procedimento è stato attivato beneficerebbe della sua sospensione fino al momento in cui la stessa non venga rintracciata e comunque messa nelle condizioni di esercitare i suoi diritti di difesa in modo pieno e concreto.

2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

L’Avvocatura generale sottolinea che la legge n. 67 del 2014 ha introdotto con il nuovo art. 625-ter cod. proc. pen. l’istituto della “rescissione del giudicato”, che comporta l’annullabilità, a determinate condizioni, del giudicato formatosi su una decisione emessa in absentia, qualora il condannato dimostri l’incolpevole mancata conoscenza del procedimento.

Aggiunge la difesa dello Stato che nel caso in esame dovrebbe farsi applicazione della previgente disciplina, trattandosi di giudizio definito prima dell’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014. Secondo questa disciplina, nella fase di cognizione, su richiesta dell’imputato, dovrebbe concedersi la restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza di condanna da parte della persona giudicata in contumacia, salvo che venga dimostrato che la stessa ha avuto conoscenza del processo.

Il diritto alla restituzione nel termine per l’impugnazione consentirebbe una tutela ex post, che farebbe salvo «il diritto di difesa e contraddittorio dell’imputato» giudicato in contumacia. Nella circostanza l’interessato potrebbe evitare la «misura restrittiva» con l’impugnazione della sentenza di condanna.

Sussisterebbe una differenza ontologica tra la fase di cognizione, volta all’accertamento della responsabilità dell’imputato, caratterizzata dalla presunzione di non colpevolezza, e la fase di esecuzione, preordinata a dare attuazione alla sentenza di condanna esercitando la pretesa punitiva dello Stato. In questa seconda fase, nel caso di sospensione del procedimento esecutivo, «l’imputato irreperibile» potrebbe rimanere sine die impunito, sì da comprimere irragionevolmente le esigenze di difesa sociale.

Inoltre, la legge n. 67 del 2014, più che un intervento volto a conformare il processo alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, costituirebbe una scelta del legislatore per impedire che il ricorso al rimedio straordinario della restituzione nel termine per impugnare da parte delle persone giudicate in contumacia possa determinare «una diseconomica e disfunzionale reiterazione delle attività processuali», con un maggior carico di lavoro per gli uffici giudiziari già fortemente gravati.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale ordinario della Spezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, della legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), nella parte in cui «non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche alla costituzione delle parti in sede di incidente d’esecuzione ex art. 666 c.p.p.; ciò, quanto meno, laddove nei confronti del soggetto interessato a esercitare i propri diritti di difesa venga sollecitata al giudice una statuizione per lui pregiudizievole».

Il giudice rimettente è chiamato a decidere sulla richiesta del pubblico ministero di revocare, ai sensi dell’art. 168, primo comma, numero 2), del codice penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a un condannato in contumacia.

Ai fini della notificazione dell’avviso di fissazione dell’udienza del procedimento esecutivo l’interessato è stato dichiarato irreperibile.

Secondo il giudice rimettente, l’art. 9 della legge n. 67 del 2014, nella parte in cui non prevede che la disciplina ivi recata si applichi anche alla costituzione delle parti nel procedimento di esecuzione, quanto meno «laddove nei confronti del soggetto interessato a esercitare i propri diritti di difesa venga sollecitata al giudice una statuizione per lui pregiudizievole», lederebbe «il principio di parità di trattamento normativo di situazioni simili (con riferimento in particolare alla posizione dell’imputato nel procedimento di cognizione), in assenza di ragionevoli motivi che giustifichino la differenza di statuizioni».

Sarebbero inoltre violati il diritto di difesa, il principio del giusto processo, nonché i «principi di fair trial di cui al parametro interposto costituito dall’art. 6 CEDU (in quanto richiamato dall’art. 117 c. 1 Cost.), poiché l’ipotesi in esame pone la persona nei cui confronti si procede in executivis nelle condizioni di non poter pienamente esercitare i propri diritti difensivi, che nella specie si riferirebbero alla necessità di evitare conseguenze, per l[e]i pregiudizievoli sul piano della libertà personale, sollecitate dall’ufficio del Pubblico Ministero».

2.– La questione è inammissibile perché il Tribunale rimettente è incorso in un errore nell’individuazione della norma censurata, diversa da quella da applicare nel caso in esame.

L’articolo 9 della legge n. 67 del 2014, oggetto della questione di legittimità costituzionale, ha novellato gli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies del codice di procedura penale introducendo la nuova disciplina del procedimento in assenza dell’imputato, in sostituzione di quella precedente del procedimento in contumacia. Gli articoli novellati riguardano l’udienza preliminare e, per effetto dei rinvii operati dagli artt. 484, comma 2-bis, e 598 cod. proc. pen., si estendono ai giudizi di primo grado e di appello, e si collegano con altre norme del codice di procedura penale pure modificate dalla legge n. 67 del 2014.

Sono tutte norme del giudizio di cognizione; altra è la disciplina del procedimento di esecuzione, contenuta, per la parte che interessa, nell’art. 666 cod. proc. pen., il quale prevede, tra l’altro, le modalità e i termini di convocazione delle parti, e le forme della loro partecipazione al procedimento.

L’art. 9 della legge n. 67 del 2014 (ovvero, più esattamente, gli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., che dall’art. 9 sono stati novellati) non poteva in alcun modo trovare applicazione da parte del giudice rimettente, il quale era chiamato ad applicare l’art. 666 cod. proc. pen. È perciò nei confronti di questa norma che andavano rivolte le censure per denunciare la mancata previsione della sospensione del procedimento nei confronti del condannato irreperibile.

Volendo rendere applicabili gli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen. nel procedimento di esecuzione, il giudice rimettente avrebbe dovuto sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 666 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede l’applicazione di quegli articoli, invece di denunciare direttamente la loro illegittimità costituzionale.

Anche se il giudice avesse fatto ciò, però, difficilmente sarebbe stato possibile estendere al procedimento di esecuzione le norme degli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., relative al processo in assenza e specificamente congegnate per il giudizio di cognizione.

Come è stato rilevato, infatti, «non può ignorarsi il divario strutturale tra giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione, tenuto conto delle peculiarità “di accertamento giudiziale a contenuto limitato” di quest’ultimo, le quali ostano ad una trasposizione tout court di concetti e istituti propri del processo penale di cognizione, contraddistinto dall’accertamento del fatto oggettivo e della sua riferibilità all’imputato» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 21 gennaio 2010, n. 18288).

Il tasso di manipolatività richiesto a questa Corte, al fine di rendere operante in sede esecutiva la disciplina del procedimento in assenza, concreterebbe l’invasione di un campo, quale quello della conformazione degli istituti processuali, riservato alla discrezionalità del legislatore, con il solo limite della manifesta irragionevolezza. Inoltre, il rimedio auspicato eccederebbe lo scopo perseguito, rischiando anche di creare “frizioni”, perché sarebbe difficile la trasposizione integrale delle norme in questione nel procedimento esecutivo. In altri termini, la soluzione sollecitata dal giudice a quo non sarebbe l’unica possibile e risulterebbe eccedente rispetto all’obiettivo perseguito (ordinanza n. 193 del 2009), che è quello di far sospendere il procedimento di esecuzione nei confronti del condannato irreperibile.

Al riguardo occorre ricordare che la disciplina posta dall’art. 9 della legge n. 67 del 2014 si inserisce coerentemente in un contesto più ampio nell’ambito del processo penale, che coinvolge anche altre parti del codice di rito, come quelle relative all’impedimento dell’imputato e del difensore, alla restituzione nel termine, al dibattimento, al giudizio di appello e di cassazione, al ricorso ex art. 625-ter cod. proc. pen., o anche del codice penale, come quella relativa ai termini di prescrizione del reato, al fine di stabilire la eventuale durata massima della sospensione del processo (art. 159, ultimo comma, cod. pen.), parti estranee al procedimento di esecuzione.

Prive di pertinenza con questo procedimento sono anche numerose norme specificamente richiamate dagli artt. 420-bis, 420-quater e 420-quinquies cod. proc. pen., quali, ad esempio, quelle relative alle misure cautelari o precautelari, all’«acquisizione di atti e documenti ai sensi dell’articolo 421, comma 3», al «diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell’articolo 493», alla «rinnovazione di prove già assunte» (art. 420-bis cod. proc. pen.), alla pronuncia della «sentenza a norma dell’articolo 129» (art. 420-quater e art. 420-quinquies), o ancora alla «richiesta ai sensi degli articoli 438 e 444» (art. 420-quinquies).

Tutto ciò considerato, deve concludersi che la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario della Spezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, è inammissibile.

per questi motivi

La Corte Costituzionale

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario della Spezia, in funzione di giudice dell’esecuzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2016.